donald Trump

Una Fed a misura di Trump

Entro la metà del prossimo anno Trump potrà nominare 5 membri del FOMC della Fed e influire maggiormente sulle prossime mosse della banca centrale americana.

24 Aprile 2017 11:04

financialounge -  donald Trump Federal Reserve inflazione Pictet politica monetaria Steve Donzé
La capacità di influire sulla Federal Reserve senza tuttavia condizionarne le decisioni. Potrebbe essere questa la mission che l’amministrazione Trump cercherà di realizzare nel corso del suo mandato. Per farlo Donald Trump potrà fare leva sul potere di rinnovare il consiglio della Fed. Dal 5 aprile sono valide le dimissioni di Daniel Tarullo, e al neopresidente spetta ora il compito di nominare tre delle sette poltrone del consiglio della Fed: entro la metà del 2018, inoltre, scadranno i mandati del presidente e del suo vice. Si tratta di cinque membri su un totale di 12 del Federal Open Market Committee (FOMC), l’organo che stabilisce la linea della Fed, composto dai sette governatori del Federal Reserve Board, dal presidente della Fed di New York e da quattro degli 11 presidenti delle altre Federal Reserve Bank, a rotazione.

Sebbene le personalità scelte da Trump rappresenterebbero una minoranza all’interno del FOMC, costituirebbero comunque un gruppo importante per esercitare l’influenza del presidente sulla banca centrale. “Una Fed a misura di Trump potrebbe adottare un approccio decisamente più morbido nei confronti dell’inflazione rispetto alla linea tenuta dalla banca centrale dagli anni ‘70” dichiara Steve Donzé, Senior Macro Strategist di Pictet Asset Management, secondo il quale se è vero che Trump ha criticato le misure non ortodosse della banca centrale che hanno mantenuto i tassi di interesse prossimi allo zero per gran parte del gli ultimi 10 anni, è altrettanto importante ricordare le sue priorità.

In particolare, il neopresidente aspira ad una crescita economica alimentata da un vantaggio competitivo alle aziende USA rispetto a quelle estere tramite la riduzione delle imposte societarie, il sostegno agli esportatori e l’incremento della spesa pubblica nelle infrastrutture: per realizzare tali condizioni non può scontrarsi con una politica monetaria avversa.

“Inoltre, la debolezza del dollaro, probabile conseguenza di una linea monetaria meno rigida, contribuirebbe a spostare la domanda interna dai prodotti importati a quelli locali anche senza la tassa che la nuova amministrazione USA vorrebbe imporre sulle importazioni (la cosiddetta border tax),” puntualizza Steve Donzé che, passando alle implicazioni derivanti da un’inflazione in risalita ritiene possibile che la Fed possa tranquillamente propendere per un mantenimento dei prezzi al consumo al 2% per tutto il ciclo economico.

In alternativa, sempre secondo Steve Donzé , la banca centrale potrebbe abbracciare un nuovo regime di “obiettivo di inflazione flessibile”, in modo da riuscire ad ampliare il range di inflazione accettabile senza abbandonare l’impegno di raggiungere il target nel lungo periodo. Il tutto, però, evitando accuratamente ogni minima percezione di politicizzazione della Fed: l’indipendenza dell’autorità monetaria è un principio macroeconomico basilare.

“Adesso agire in base all’inflazione potrebbe tornare di moda, soprattutto se c’è sostegno politico. In tal caso sarebbe ora di ridurre le posizioni nei bond nominali e proteggersi contro l’aumento dei prezzi con oro, obbligazioni indicizzate all’inflazione e asset reali” conclude Steve Donzé.

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