Capital Group
Cina, perchè monitoriamo le trattative commerciali con gli USA
L’influenza della Cina negli ultimi anni si è estesa in campo economico e finanziario negli USA e nei mercati emergenti: è indispensabile osservarne l’evoluzione.
30 Giugno 2017 11:48
Anche se lo sviluppo economico sta decelerando, la Cina rimane il principale motore della crescita degli utili e dei ricavi per molte società in tutto il mondo.
Per poter misurare il successo globale di molte società, per noi è fondamentale comprendere la loro strategia in Cina. Per questo Capital Group investe significative risorse a tal fine, sia sul campo nel paese che in tutto il mondo.
A questo proposito sarà di fondamentale importanza monitorare le trattative commerciali tra la Cina e gli USA, i cui rapporti sono sia di natura economica che finanziaria. Nel 2016, il deficit commerciale degli USA con la Cina era pari a 347 miliardi di dollari, frutto della differenza tra esportazioni per 116 miliardi e importazioni per 463 miliardi, gran parte delle quali riconducibili a produttori statunitensi che hanno costituito catene di montaggio e stabilimenti in Cina.
Al contempo, la Cina dipende da alcuni prodotti chiave altamente tecnologici che vengono fabbricati solamente negli Stati Uniti e si sta adoperando per ridurre questa dipendenza sviluppando una propria industria dedicata ai chip per semiconduttori e ai sistemi di pagamento elettronici.
Sul fronte finanziario, invece, la Cina detiene circa 1.250 miliardi di dollari in titoli di Stato USA (pari a circa il 10% del totale): inoltre le società cinesi raccolgono a loro volta capitale sui mercati finanziari statunitensi attraverso offerte pubbliche iniziali e obbligazioni in dollari offshore.
Ma c’è di più. L’influenza della Cina si è estesa in modo significativo ai mercati emergenti: secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 il 30% delle esportazioni dei mercati sviluppati era diretto verso i mercati emergenti e il 46% dell’attività commerciale dei mercati emergenti riguardava il fronte interno.
“Grazie alla domanda interna, che rappresenta una percentuale crescente della produzione totale, in Asia stanno emergendo dei leader di settore regionali. Molte di queste società sono meno vulnerabili alla domanda proveniente da Stati Uniti ed Europa. Inoltre, l’economia globale sta acquisendo un rinnovato slancio (in particolare l’economia industriale e con essa le materie prime) e i mercati emergenti dovrebbero trarne vantaggio” tiene a precisare Rob Lovelace, gestore del [tooltip-fondi codice_isin="LU1295551144"]Capital Group New Perspective Fund[/tooltip-fondi] di Capital Group.
Lovelace ricorda anche che in passato i benefici fiscali di operare in diverse giurisdizioni abbia influenzato le decisioni delle multinazionali in merito al posizionamento degli stabilimenti e delle strutture di produzione, in futuro tali benefici potrebbero essere destinati a ridursi.
Il riferimento è a diversi fattori a cominciare, per esempio, dall’aumento dei salari in Cina che sta riducendo il vantaggio riferito al costo della manodopera, di cui il paese ha goduto negli ultimi tre decenni.
In secondo luogo, la crescente automazione delle linee di produzione in numerosi settori potrebbe ridurre ulteriormente i vantaggi delle strategie di arbitraggio del lavoro globale.
“Secondo i dati della International Federation of Robotics, nel 2015 sono stati venduti oltre 250.000 robot industriali, e uno su quattro è stato venduto in Cina. Il Messico è un’altra destinazione chiave, oltre agli USA e all’Europa. L’economia dell’automazione si trova in una congiuntura interessante, caratterizzata dal calo dei costi dei sistemi robotici e dal rapido miglioramento delle competenze” puntualizza Rob Lovelace secondo il quale anche il passaggio generazionale che sta vivendo la Cina avrà forti influenze sul mercato del lavoro dal momento che i lavoratori più giovani sono meno inclini a dedicarsi a incarichi ripetitivi.
“Dal momento che l’automazione riduce la rilevanza del fattore costo della manodopera, potremmo assistere a uno spostamento della produzione verso i mercati finali e questa trasformazione dell’economia del lavoro potrebbe trasferire strutture di produzione e posti di lavoro negli Stati Uniti” riferisce Rob Lovelace.
Infatti, molte delle multinazionali affermate (come per esempio Unilever, Nestlé e Coca-Cola) che hanno adottato la scelta strategica di avvicinarsi ai mercati finali, hanno localizzato in maniera significativa le rispettive operazioni per ottenere una migliore comprensione dei mercati locali ed essere in grado di competere con le società domestiche. Un percorso che nei prossimi anni potrebbe essere inverso.
Per poter misurare il successo globale di molte società, per noi è fondamentale comprendere la loro strategia in Cina. Per questo Capital Group investe significative risorse a tal fine, sia sul campo nel paese che in tutto il mondo.
A questo proposito sarà di fondamentale importanza monitorare le trattative commerciali tra la Cina e gli USA, i cui rapporti sono sia di natura economica che finanziaria. Nel 2016, il deficit commerciale degli USA con la Cina era pari a 347 miliardi di dollari, frutto della differenza tra esportazioni per 116 miliardi e importazioni per 463 miliardi, gran parte delle quali riconducibili a produttori statunitensi che hanno costituito catene di montaggio e stabilimenti in Cina.
Al contempo, la Cina dipende da alcuni prodotti chiave altamente tecnologici che vengono fabbricati solamente negli Stati Uniti e si sta adoperando per ridurre questa dipendenza sviluppando una propria industria dedicata ai chip per semiconduttori e ai sistemi di pagamento elettronici.
Sul fronte finanziario, invece, la Cina detiene circa 1.250 miliardi di dollari in titoli di Stato USA (pari a circa il 10% del totale): inoltre le società cinesi raccolgono a loro volta capitale sui mercati finanziari statunitensi attraverso offerte pubbliche iniziali e obbligazioni in dollari offshore.
Ma c’è di più. L’influenza della Cina si è estesa in modo significativo ai mercati emergenti: secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 il 30% delle esportazioni dei mercati sviluppati era diretto verso i mercati emergenti e il 46% dell’attività commerciale dei mercati emergenti riguardava il fronte interno.
“Grazie alla domanda interna, che rappresenta una percentuale crescente della produzione totale, in Asia stanno emergendo dei leader di settore regionali. Molte di queste società sono meno vulnerabili alla domanda proveniente da Stati Uniti ed Europa. Inoltre, l’economia globale sta acquisendo un rinnovato slancio (in particolare l’economia industriale e con essa le materie prime) e i mercati emergenti dovrebbero trarne vantaggio” tiene a precisare Rob Lovelace, gestore del [tooltip-fondi codice_isin="LU1295551144"]Capital Group New Perspective Fund[/tooltip-fondi] di Capital Group.
Lovelace ricorda anche che in passato i benefici fiscali di operare in diverse giurisdizioni abbia influenzato le decisioni delle multinazionali in merito al posizionamento degli stabilimenti e delle strutture di produzione, in futuro tali benefici potrebbero essere destinati a ridursi.
Il riferimento è a diversi fattori a cominciare, per esempio, dall’aumento dei salari in Cina che sta riducendo il vantaggio riferito al costo della manodopera, di cui il paese ha goduto negli ultimi tre decenni.
In secondo luogo, la crescente automazione delle linee di produzione in numerosi settori potrebbe ridurre ulteriormente i vantaggi delle strategie di arbitraggio del lavoro globale.
“Secondo i dati della International Federation of Robotics, nel 2015 sono stati venduti oltre 250.000 robot industriali, e uno su quattro è stato venduto in Cina. Il Messico è un’altra destinazione chiave, oltre agli USA e all’Europa. L’economia dell’automazione si trova in una congiuntura interessante, caratterizzata dal calo dei costi dei sistemi robotici e dal rapido miglioramento delle competenze” puntualizza Rob Lovelace secondo il quale anche il passaggio generazionale che sta vivendo la Cina avrà forti influenze sul mercato del lavoro dal momento che i lavoratori più giovani sono meno inclini a dedicarsi a incarichi ripetitivi.
“Dal momento che l’automazione riduce la rilevanza del fattore costo della manodopera, potremmo assistere a uno spostamento della produzione verso i mercati finali e questa trasformazione dell’economia del lavoro potrebbe trasferire strutture di produzione e posti di lavoro negli Stati Uniti” riferisce Rob Lovelace.
Infatti, molte delle multinazionali affermate (come per esempio Unilever, Nestlé e Coca-Cola) che hanno adottato la scelta strategica di avvicinarsi ai mercati finali, hanno localizzato in maniera significativa le rispettive operazioni per ottenere una migliore comprensione dei mercati locali ed essere in grado di competere con le società domestiche. Un percorso che nei prossimi anni potrebbe essere inverso.