Corea del Nord

Missili a testata petrolifera

Nel Golfo sale la tensione, anche se ancora sotto la sabbia. Sauditi e Israeliani convergono contro l’Iran che risponde con un messaggio missilistico. E a qualcuno tornano a far gola i titoli petroliferi americani.

25 Settembre 2017 09:28

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Venerdì notte un altro missile balistico ha solcato i cieli d’oriente, ma questa volta non lo ha lanciato ‘rocket man’ Kim. A far partire Khorramshahr, un ordigno multi-testata con un raggio di 2.000 chilometri, sono stati gli iraniani, poche ore dopo averlo fatto passare in rassegna davanti a un palco gremito di generali con al centro il presidente Hassan Rouhani.

Khorramshahr è una città che è stata teatro di una delle battaglie più brutali e sanguinarie, tra settembre e novembre del 1980, della Guerra Iran–Iraq. E infatti la parata in cui è stato fatto sfilare il missile prima del lancio faceva parte delle commemorazioni del conflitto, finito nel 1988. La guerra, lanciata da Bagdad per prevenire una rivoluzione degli sciiti iracheni sul modello di quella iraniana del 1979, finì praticamente senza vincitori e una montagna di morti. Ma nel 1980 l’Iran attaccato reagì con forza sorprendente nonostante il caos post-rivoluzionario, e proprio a Khorramshahr si aprì la strada per ristabilire il controllo della regione ricca di petrolio di Khuzestan, che si affaccia sul Golfo appena a Est del Kuwait, che Saddam Hussein avrebbe invaso 10 anni dopo.

Petrolio, in questa parola nera e unta sta tutta la differenza tra i missili nord coreani e quello iraniano. Che, secondo alcuni osservatori, costituisce un presagio di guerra molto più minaccioso e concreto di quelli lanciati da ‘rocket man’. Sui media se ne parla ormai poco, ma sono quattro mesi che va avanti il confronto tra Qatar e la coalizione araba guidata dai sauditi che vogliono costringere Doha a recidere tutti i legami con l’Iran.

Il Qatar è una specie di avamposto iraniano nella Penisola Arabica. È un grande investitore in Occidente, soprattutto in Europa, ma è anche sospettato di finanziare l’estremismo e il terrorismo jihadista e di fare da camera di compensazione finanziaria per aggirare le sanzioni ancora in vigore nei confronti di Teheran. Con l’amministrazione Obama e l’accordo sul nucleare sembrava posizionato per diventare uno snodo strategico per l’accesso al nuovo Iran sdoganato e aperto al commercio con l’Occidente, a cominciare ovviamente dal petrolio.

Secondo molti, un anno fa o giù di lì l’Iran si preparava a prendere il posto dei Sauditi come garante della stabilità della regione nei confronti delle principali potenze, dagli Usa all’Europa ma anche Russia e Cina. Una situazione che piaceva decisamente poco a due potenze regionali, i Sauditi ovviamente, ma anche e forse ancora di meno a Israele, che infatti con Obama aveva rapporti decisamente poco cordiali. Con Trump è cambiato tutto. Le puntate principali del suo primo giro all’estero sono state Gerusalemme e Riyadh e poco dopo, guarda caso, è scattato il bando arabo contro il Qatar.

Secondo alcuni osservatori si starebbe cementando un’alleanza arabo-israeliana contro l’Iran. Si parla di misteriose missioni a Tel Aviv di emissari sauditi, ma anche di inviati qatariani, che vogliono invece scongiurare la nascita di un asse pericoloso per il piccolo paese che ospita Al Jazeera.

Allora, a che gioco giocano gli iraniani con il loro lancio di missili? Secondo gli stessi osservatori il gioco è quello di provocare Trump per indurlo a revocare definitivamente l’accordo di Obama sul nucleare e a ripristinare in pieno sanzioni e embargo. Per ora Trump ha preso le distanze da quell’intesa, che prevede uno sviluppo controllato del nucleare civile in cambio del ritiro dell’embargo, ma non l’ha ancora cancellata. Teheran non ha affatto rinunciato alle sue ambizioni di prendere il posto dei Sauditi come gendarme della regione, e forzando la mano a Trump spera di poterlo accusare di non rispettare i patti e istigare al conflitto, guadagnandosi il supporto di tutti quelli a cui Trump non piace, a cominciare dall’Europa. Conta inoltre di avere dalla sua parte la Russia.

Quest’ultimo forse non è un calcolo azzeccato. Se ci fosse un’escalation tra arabi e israeliani da una parte e Iran dall’altra con il Qatar preso nel mezzo, il risultato potrebbe essere un blocco dei flussi di petrolio che passano da quelle parti, una strettoia (basta guardare una carta geografica) che non a caso venne definita la vena giugulare dell’Occidente. Il che vorrebbe a sua volta dire prezzi del petrolio che schizzano verso l’alto. Praticamente l’ultima cosa che dispiacerebbe a Putin, che sul petrolio ci campa. Una Russia che resta a guardare è il miglior incentivo per incoraggiare arabi e israeliani a andare avanti e stringere la morsa sull’Iran. Fanta-geo-politica? Forse. Ma c’è anche chi se la sente di prevedere un conflitto imminente. Uno scenario del genere vedrebbe un vincitore sicuro: i produttori di petrolio americani, che tornerebbero a pompare a manetta sia dai pozzi tradizionali che da quelli facili da aprire da un giorno all’altro dello shale oil.

Oggi gli investitori sono abbastanza scettici sulla possibilità che il greggio abbia molto spazio per spingersi oltre la forchetta dei 50 (WTI)-55 (Brent) dollari al barile, un livello riconquistato negli ultimi giorni. Ma c’è chi, come Kirk Spano di Investment Thesis, che pubblica la sua newsletter "Margin of Safety Investing" su una quantità di siti finanziari americani, ha già pronta la lista di cosa comprare. Anzi, per sua stessa ammissione, ha già comprato. Si va dagli ETF che replicano i titoli dello S&P 500 specializzati negli equipaggiamenti e nei servizi petroliferi, a singole società che hanno sofferto molto per il calo-petrolio, come Encana, Occidental Petroleum, o Helmerich & Payne.

Bottom line. Forse non è ancora il momento di correre a fare il pieno di titoli americani legati al petrolio appena apre Wall Street, ma un occhio vigile su quello che si muove nel Golfo e dintorni sembra doveroso. Trump parla e twitta molto su Pyongyang e poco su Teheran, ma la sensazione è che i missili del picchiatello ‘rocket man’ Kim siano soprattutto un’arma di distrazione di massa, e che i giochi veri si stiano facendo altrove. Tra l’altro molto più vicino a noi.

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