Banca d'Italia

Wall Street, Visco e la lezione di Trump

I fondamentali ci sono e solo uno shock esterno può far deragliare il rally di fine anno. Intanto in Italia si gioca pericolosamente con le istituzioni per qualche improbabile voto in più.

23 Ottobre 2017 09:34

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Ripartiamo da dove ci siamo lasciati, e mentre a Tokyo il Nikkei festeggia la vittoria elettorale di Shinzo Abe con un robusto rialzo, andiamo a vedere cosa bolle in pentola a Wall Street, dove ancora non è stato premuto il bottone ‘pausa’. Settimana scorsa ha fatto meglio dell’Europa grazie a una buona partenza della stagione delle trimestrali e al ritorno del ‘Trump trade’ sull’onda del passo avanti cruciale fatto dalla riforma fiscale al Senato americano, che ha approvato un progetto di bilancio federale che consente di portarla avanti anche senza un accordo con i democratici. Sicuramente una buona notizia per la Corporate America, ma anche per le piccole e medie imprese a stelle e strisce, che potranno rifornire motori che già girano bene con nuova benzina fatta di tasse più basse. Un po’ meno buona per il reddito fisso, infatti i T-bond al contrario delle azioni sono stati costantemente venduti per tutta la settimana. Il deficit federale, che nell’anno fiscale chiuso il 30 settembre ha toccato i 666 miliardi di dollari, è destinato ad aumentare di molto per la riduzione, almeno all’inizio, delle entrate fiscali. E questo vuol dire tassi più alti e prezzi più bassi dei bond. A cui si aggiunge il Quantitative Tightnenin su cui ci darà dettagli Janet Yellen la sera del 1 novembre, quando finisce la prossima due giorni del FOMC. Ma il movimento per ora è graduale, ordinato e sotto controllo.

Andando guardare più da vicino, sono 150 le trimestrali pubblicate finora, pari al 17% delle società quotate sullo S&P 500, e mostrano sorprese positive sul fronte degli utili e dei fatturati ben oltre il 70% dei casi. Tra oggi e il 3 novembre a Wall Street ne arrivano altre mille, e accanto alle sorprese al rialzo ci saranno sicuramente anche delusioni al ribasso. Oggi lo S&P 500 viaggia a un rapporto tra prezzi di Borsa e utili attesi nei prossimi 12 mesi in media a 19 volte, contro una media a 5 anni di 15,6, a 10 anni di 14,1 volte e a 30 di 17 volte. Le azioni americane sono troppo care? Seeking Alpha fa rispondere Jeff Saut, Chief Investment Strategist di Raymond James, che fa il confronto con il titolo del Tesoro americano a 30 anni, che al rendimento attuale del 2,9% sconta un price/earning di 34 volte, mentre il rendimento medio degli ultimi 30 anni, pari al 5,5%, si traduce in un P/E di 18 volte. Tradotto: le azioni sono prezzate intorno al 10% in più rispetto alla media degli ultimi 30 anni, il long bond al 90% in più. Ammesso che le serie storiche indichino qualcosa sul futuro, i bond sembrano molto più rischiosi delle azioni.

Mentre Wall Street macina record, Donald Trump seleziona candidati, come ai tempi in cui conduceva in TV il programma The Apprentice. Questa volta il posto in ballo è quello di capo della Federal Reserve, e nella short list di cinque nomi c’è anche l’attuale presidente Janet Yellen. Gli altri quattro sono Gary Cohn, Kevin Marsh, Jerome Powell e John Taylor. Il primo è consigliere economico dello stesso presidente, il secondo è già nel board della Fed e rappresenta la continuità con Yellen, il terzo è un ex Fed e un critico degli acquisti di titoli da parte della Banca Centrale, l’ultimo un professore di economia di Stanford, molto rispettato, non troppo entusiasta dello stimolo monetario. Da notare che durante la campagna elettorale Trump ha attaccato frontalmente la Yellen, accusandola di dare una mano a Obama e alla Clinton con i tassi di interesse tenuti esageratamente bassi per tenere alta Wall Street e tirare la volata alla sua concorrente. Da quando è entrato alla Casa Bianca, non ha mai preso posizione sulla politica monetaria né sulla capa della Fed. Il processo di successione si sta svolgendo nella massima trasparenza e secondo regole consolidate da decenni. Un contrasto stridente con lo spettacolo messo in scena in Italia.

Apriamo e chiudiamo una parentesi domestica. Quello che è successo con il governatore Visco sembra la seconda puntata dello spettacolo andato in onda in Italia dopo la stretta sui NPL annunciata dalla Vigilante Nouy: ricerca di consenso a buon mercato e tutto da verificare in vista delle elezioni in spregio totale del buonsenso, che nel caso delle sofferenze bancarie suggerirebbe di approfittare del momento positivo per mettere la parola fine a un problema che affligge l’Italia da decenni e che ha terremotato le banche. Solo che nel caso di Visco la sceneggiata non è stata corale ma individuale, anche se l’individuo in questione porta il nome del capo del primo partito, quello al governo. La crisi della finanza globale portava il nome dei subprime e dei derivati, e nessuno si è sognato, non diciamo di mandare a casa, ma nemmeno di alzare un ditino per accusare Bernanke, a cui è stato invece affidato il compito di rimettere in piedi il sistema. Quella della finanza italiana porta invece il nome delle sofferenze, sottovalutate nel 2008-2009 dalla classe politica che allora avrebbe potuto far intervenire lo Stato come hanno fatto tutti gli altri paesi europei, e poi lasciate esplodere quando le nuove regole rendevano l’intervento pubblico molto più problematico. Gettare la croce su Visco, che oltre a essere il governatore di Bankitalia e un apprezzato e stimato membro del board della BCE, è stato un atto improvvido. Ma questa volta, a differenza del caso Nouy, sono scattati gli anticorpi, e sembra si stia andando verso una soluzione che salva l’onore e la reputazione dell’istituzione Banca d’Italia. Chiusa parentesi.

Bottom line. Wall Street continua a puntare a nord e i fondamentali macro economici e societari dicono che non ci sono eccessi. Chiamare il top di un ciclo rialzista è impresa impossibile. È possibile invece distinguere i segni che quel ciclo si sta interrompendo. Per ora non si vedono. I travagli politici, dalla Spagna a quelli meno visibili e sottovalutati della Germania, con le elezioni italiane in vista, sono il freno a mano tirato dell’Europa. Le sorprese negative possono arrivare dall’esterno, soprattutto dall’area del Golfo. Sembra che solo uno shock esterno violento possa far deragliare il rally di fine anno in arrivo. Intanto i politici italiani potrebbero andare a ripetizione dal professor Trump in materia di rapporti con le istituzioni monetarie.

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