News & Views
News & Views – 19 febbraio 2018
Insight dalla redazione di FinanciaLounge su quello che si muove nelle economie e nei mercati.
19 Febbraio 2018 09:26
Veterani USA in campo elettorale
Alle elezioni di mid-term di novembre, che potrebbero vedere i democratici riprendersi la maggioranza al Congresso americano, si prepara una novità interessante. Il ritorno in massa dei veterani militari alla politica. Un fenomeno molto diffuso negli anni del dopoguerra, quando la politica era una tentazione vincente per chi tornava vittorioso dal conflitto in Europa e nel Pacifico, poi rientrato molto dopo la guerra in Vietnam, i cui reduci non godevano della stessa popolarità dei soldati che avevano sconfitto nazismo e imperialismo giapponese. Ora i veterani sono cambiati ancora, alle spalle non hanno più la giungla indocinese ma i deserti e le montagne di Iraq e Afghanistan, e la loro popolarità, grazie anche a serie televisive molto popolari, è decisamente in ascesa. Quindi si preparano a candidarsi in massa per andare a rappresentare gli americani a Washington. Chi favoriranno, democratici o repubblicani? La cosa interessanti dei veterani del 2018 è che sono molto bipartisan, scenderanno in campo per entrambi i partiti con in mente un programma molto semplice: cercare di riavvicinare due schieramenti che si odiano, i trumpisti da una parte e i liberal che vedono in The Donald una specie di nuovo Hitler.
Sono tanti, finora media americani ne hanno contati oltre 150 che hanno servito nelle Forze Armate a stelle e strisce dopo l’11 settembre, il doppio di quelli che si erano presentati alle elezioni di due anni fa. E il numero è in crescita. Riusciranno a ricucire lo strappo di una nazione che non è mai stata così divisa?
Camionisti cercansi urgentemente
L’economia americana ha un problema, che funziona come un freno a mano tirato che non consente alla crescita di correre come potrebbe. Il problema si chiama camionisti: non ce ne sono abbastanza. Il trasporto merci sulle autostrade USA ha avuto un’accelerazione con la crescita dell’e-commerce oltre che con la ripresa in atto. L’industria del trasporto su gomma in America rappresenta il 70% di tutto quello che viene movimentato. Ma gli addetti al settore, i camionisti appunto, sono ancora fermi al livello del 2015, che coincide con il picco toccato nel 2006 al culmine del precedente ciclo espansionistico dell’economia. Il costo della scarsità di camionisti si fa sentire sui conti delle aziende più esposte, come quelle specializzate nei servizi all’industria alimentare. E ora la situazione potrebbe peggiorare drammaticamente per una piccola innovazione burocratica che entrerà in vigore dal primo aprile, quando i camionisti americani, come già succede ai colleghi europei, non potranno più limitarsi a dichiarare su un pezzo di carta le ore che passano al volante, ma dovranno registrarle elettronicamente su appositi dispositivi. Il che renderà praticamente impossibile truccare i dati facendo più ore di quanto dichiarato. Un bel problema e anche un bel paradosso, in un'era in cui sui media non si fa che parlare di auto e camion che si guidano da soli. Purtroppo non sono ancora arrivati, e tocca ancora all’uomo colmare il gap tra presente e futuro.
Quando il debitore è anche prestatore
Il private equity - investitori che si muovono fuori dai mercati, comprano aziende non valorizzate, le rigirano e le rivendono portando a casa il capital gain - sta andando alla grande. E apre una nuova frontiera che si chiama debito. Lo segnala il WSJ, rilevando il paradosso che vede lo stesso soggetto grande creditore e grande debitore allo stesso tempo. Praticamente non si limitano a comprare l’azienda in cui vedono un potenziale di crescita inespresso, le prestano anche i soldi necessari per il rilancio. Nel private equity, soprattutto Usa, i soldi non mancano mai. E in questo modo ci guadagnano due volte, con il capital gain quando escono, e con il servizio del debito durante la ristrutturazione. Il Journal fa il caso della recente acquisizione da parte di Blackstone della quota di controllo nel business dei dati di Thomson Reuters, che ha compreso anche un debito pari a 7,5 volte l’utile prima di tasse e ammortamenti. Il business del debito piace anche ad altri grandi nomi del settore, come KKR o Apollo. Il bello dei prestiti è che, a differenza dei bond, sono a tasso variabile, e l’investitore non deve temere perdite legate a tassi in aumento. Il problema è il conflitto di interesse, specialmente se un fondo presta soldi a società di sua proprietà comprate con l’obiettivo di rivenderle a un prezzo maggiorato. Sta montando una nuova bolla?
Alle elezioni di mid-term di novembre, che potrebbero vedere i democratici riprendersi la maggioranza al Congresso americano, si prepara una novità interessante. Il ritorno in massa dei veterani militari alla politica. Un fenomeno molto diffuso negli anni del dopoguerra, quando la politica era una tentazione vincente per chi tornava vittorioso dal conflitto in Europa e nel Pacifico, poi rientrato molto dopo la guerra in Vietnam, i cui reduci non godevano della stessa popolarità dei soldati che avevano sconfitto nazismo e imperialismo giapponese. Ora i veterani sono cambiati ancora, alle spalle non hanno più la giungla indocinese ma i deserti e le montagne di Iraq e Afghanistan, e la loro popolarità, grazie anche a serie televisive molto popolari, è decisamente in ascesa. Quindi si preparano a candidarsi in massa per andare a rappresentare gli americani a Washington. Chi favoriranno, democratici o repubblicani? La cosa interessanti dei veterani del 2018 è che sono molto bipartisan, scenderanno in campo per entrambi i partiti con in mente un programma molto semplice: cercare di riavvicinare due schieramenti che si odiano, i trumpisti da una parte e i liberal che vedono in The Donald una specie di nuovo Hitler.
Sono tanti, finora media americani ne hanno contati oltre 150 che hanno servito nelle Forze Armate a stelle e strisce dopo l’11 settembre, il doppio di quelli che si erano presentati alle elezioni di due anni fa. E il numero è in crescita. Riusciranno a ricucire lo strappo di una nazione che non è mai stata così divisa?
Camionisti cercansi urgentemente
L’economia americana ha un problema, che funziona come un freno a mano tirato che non consente alla crescita di correre come potrebbe. Il problema si chiama camionisti: non ce ne sono abbastanza. Il trasporto merci sulle autostrade USA ha avuto un’accelerazione con la crescita dell’e-commerce oltre che con la ripresa in atto. L’industria del trasporto su gomma in America rappresenta il 70% di tutto quello che viene movimentato. Ma gli addetti al settore, i camionisti appunto, sono ancora fermi al livello del 2015, che coincide con il picco toccato nel 2006 al culmine del precedente ciclo espansionistico dell’economia. Il costo della scarsità di camionisti si fa sentire sui conti delle aziende più esposte, come quelle specializzate nei servizi all’industria alimentare. E ora la situazione potrebbe peggiorare drammaticamente per una piccola innovazione burocratica che entrerà in vigore dal primo aprile, quando i camionisti americani, come già succede ai colleghi europei, non potranno più limitarsi a dichiarare su un pezzo di carta le ore che passano al volante, ma dovranno registrarle elettronicamente su appositi dispositivi. Il che renderà praticamente impossibile truccare i dati facendo più ore di quanto dichiarato. Un bel problema e anche un bel paradosso, in un'era in cui sui media non si fa che parlare di auto e camion che si guidano da soli. Purtroppo non sono ancora arrivati, e tocca ancora all’uomo colmare il gap tra presente e futuro.
Quando il debitore è anche prestatore
Il private equity - investitori che si muovono fuori dai mercati, comprano aziende non valorizzate, le rigirano e le rivendono portando a casa il capital gain - sta andando alla grande. E apre una nuova frontiera che si chiama debito. Lo segnala il WSJ, rilevando il paradosso che vede lo stesso soggetto grande creditore e grande debitore allo stesso tempo. Praticamente non si limitano a comprare l’azienda in cui vedono un potenziale di crescita inespresso, le prestano anche i soldi necessari per il rilancio. Nel private equity, soprattutto Usa, i soldi non mancano mai. E in questo modo ci guadagnano due volte, con il capital gain quando escono, e con il servizio del debito durante la ristrutturazione. Il Journal fa il caso della recente acquisizione da parte di Blackstone della quota di controllo nel business dei dati di Thomson Reuters, che ha compreso anche un debito pari a 7,5 volte l’utile prima di tasse e ammortamenti. Il business del debito piace anche ad altri grandi nomi del settore, come KKR o Apollo. Il bello dei prestiti è che, a differenza dei bond, sono a tasso variabile, e l’investitore non deve temere perdite legate a tassi in aumento. Il problema è il conflitto di interesse, specialmente se un fondo presta soldi a società di sua proprietà comprate con l’obiettivo di rivenderle a un prezzo maggiorato. Sta montando una nuova bolla?
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