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Unione bancaria, una pagina ancora bianca

Il cammino verso il completamento dell’unione bancaria e finanziaria nella zona euro al test del consiglio europeo. La lezione greca e le resistenze autolesioniste della Germania.

28 Giugno 2018 07:50

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Da questa mattina per due giorni i leader dell’Unione Europea potrebbero iniziare a scrivere una pagina di storia, oppure come già tante volte restare arroccati ciascuno sulle proprie posizioni. Sul tavolo del consiglio europeo a Bruxelles c’è niente meno che il futuro dell’Eurozona, quella che condivide la moneta unica lanciata vent’anni fa. Secondo alcuni, come gli editors di Bloomberg, negli ultimI anni l’unione monetaria si è molto rafforzata: l’euro è molto più robusto di quanto non fosse all’esplosione della crisi greca, è stato messo in piedi l’European Stability Mechanisms, è partito il processo che dovrebbe portare all’unione bancaria, anche se con decisioni contestate come il bail-in che ha colpito e affondato qualche banca italiana. Insomma, a differenza di otto anni fa, è meno probabile che la crisi di uno stato membro metta in pericolo l’intera Eurozona.

BCE, la normalizzazione della politica monetaria un rischio per il debito periferico


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LA CRISI FINANZIARIA CHE HA CAMBIATO TUTTO


A tutto questo va aggiunto il ruolo della BCE di Mario Draghi, che con il suo Quantitative Easing ha contenuto la volatilità dei titoli del debito dei paesi europei. La reazione tutto sommata moderata all’avvento in Italia di un governo ritenuto, a torto o a ragione, venato di euroscetticismo sarebbe la dimostrazione dei passi in avanti compiuti. Se però mettiamo indietro gli orologi a prima della crisi di Atene possiamo notare che allora lo spread italiano (ma anche quelli di Spagna, Portogallo e altri paesi periferici) viaggiava vicino a zero, a un paio di decine di punti base, mentre oggi si misura a centinaia. La crisi greca si poteva risolvere e chiudere spendendo qualche decina di miliardi. Si è preferito, tra Berlino e Bruxelles, lasciarla gonfiare ed esplodere, forse per mettere a nudo le debolezze altrui dopo che l’esplosione di Lehman aveva colpito gli istituti del Nord risparmiando parte di quelli del Sud, soprattutto le banche italiane.

IL VERO LIMITE DEI TRATTATI


In ogni caso la crisi del debito ha messo a nudo il vero limite dell’euro e dei trattati di Maastricht: non aver previsto un meccanismo europeo di stabilità finanziaria attraverso un aggiustamento che sostituisse le svalutazioni con cui i singoli paesi riequilibravano i conti in caso di shock finanziario. E’ vero che ora c’è l’ESM, ma per farlo scattare bisogna sottoscrivere piani di aggiustamento finanziario che possono essere delle vere e proprie catene. Come proprio nel caso della Grecia che, è vero, è uscita dall’emergenza, ma al prezzo di essersi condannata a un surplus primario di bilancio fino al 2060!

UN SALVADANAIO PIENO CHE SERVE A POCO


Il passo avanti che non si riesce a fare si chiama Unione Bancaria. Che cosa vuol dire? Vuol dire un sistema simile a quello in essere nei singoli paesi prima dell’euro, esteso a livello europeo, attraverso regole stabilite dal parlamento europeo con una banca centrale che regola e una vigilanza bancaria per tutti gli stati membri, stabilisce il costo del denaro e, se necessario, interviene come ‘prestatore di ultima istanza’ in caso di crisi. L’ultimo tassello non c’è, il fondo di risoluzione oggi dispone al massimo di 55 miliardi, poco più di quello che la Banca Centrale Europea spende al mese per gli acquisti di titoli. Inoltre manca un meccanismo comune di tutela dei depositi in caso di fallimenti nel settore bancario. Anche in questo caso è la Germania a non volersi impegnare per un'unione bancaria europea, temendo di dover finanziare i risparmiatori di altri stati. Un atteggiamento che potrebbe definirsi suicida, se crolla l’edificio perché l’appartamento del vicino aveva un’infiltrazione d’acqua non riparata per mancanza di soldi, il coinquilino con il salvadanaio pieno ha poco da stare allegro.

Disintermediazione finanziaria, la fine del QE non frenerà la crescita


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TUTTI NEL CORTILE DI CASA


Lo stesso vale per il mercato dei capitali, che oggi in Europa è tutt’altro che ‘unico’, almeno come lo intendono ad esempio gli americani. Quando un investitore o risparmiatore dell’Illinois compra un titolo o un bond a Wall Street non si chiede se l’emittente sia della California e del South Carolina. E se l’emittente della South Carolina salta, l’impatto non si scarica solo sullo Stato del Palmetto, ma si spalma da costa a costa su tutti gli States. In Europa il risparmio tende ad essere concentrato sul mercato domestico, anche perché manca un meccanismo di vigilanza unico e un regolatore di mercato europeo con poteri reali analoghi alla Security and Exchange Commission americana.

MANCANO TROPPI TASSELLI


Insomma, i tasselli che mancano per completare l’unione bancaria e finanziaria sono tanti. Mancano un'autorità bancaria europea e una vera e propria unione economica e monetaria europea. Per i primi 10 anni di vita dell’euro i mercati si sono comportati come se l’unione fosse già completa e compiuta, inclusa l'unione bancaria, fidandosi probabilmente del fatto che i governi in caso di crisi sarebbero stati coerenti con il progetto finale, e non che si sarebbero attaccati alle clausole e ai decimali di quella parte della costruzione che era già stata ratificata dai trattati. La crisi greca ha reso visibili tutti i buchi ancora da riempire nell’edificio in costruzione. Dal 2012 ad oggi il tutto è stato tenuto in piedi dal mastro carpentiere che risponde al nome di Mario Draghi. Allo stato sembra difficile che la data del 28-29 giugno 2018 passi alla storia.

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