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Turchia, Iran, Venezuela: la sfida al dollaro non paga

La lira e i titoli di Stato di Ankara sono le ultime vittime delle sanzioni, effettive o minacciate, da Trump. Che possono colpire ovunque, anche se l’Europa non è d’accordo, causa l’egemonia quasi assoluta del dollaro.

10 Agosto 2018 17:10

financialounge -  dollaro iran Nicolas Maduro Recep Tayyip Erdogan turchia venezuela
C’è un legame tra il presidente iraniano Hassan Rouhani, quello venezuelano Nicolas Maduro e quello turco Recep Tayyip Erdoğan? Più di uno. Tutti e tre sono alle prese con crisi economica, moneta che crolla e un paese sempre più difficile da governare. Quello che se la passa peggio è il sudamericano, scampato a uno ‘strano’ attentato con droni e ridotto a chiedere aiuto all’arcinemico Trump. Il bolivar è praticamente scomparso nonostante il taglio di 3 zeri e la nuova criptovaluta della riscossa, il petro, non decolla. Se si ha bisogno di qualunque cosa in Venezuela servono dollari, oppure il baratto. Il primo non se la passa molto meglio, un anno fa ci volevano 32.000 rial, la moneta (si fa per dire) di Teheran per comprare un dollaro, oggi ce ne vogliono 42.000, ma al cambio ufficiale. A quello nero, l’unico dove si possono comprare bigliettoni verdi, ce ne vogliono 120.000.

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UN TWEET HA AFFONDATO LA LIRA


Il terzo se la passa un po’ meglio, ma la situazione sta precipitando. In un solo giorno, venerdì 10 agosto, la lira turca ha perso il 16% contro dollaro portando il calo vicino al 50% sull’arco di 52 settimane. In tutti e tre i casi hanno giocato e giocano un ruolo determinante le sanzioni americane, annunciate o messe in atto. In Turchia Erdogan era diventato aggressivo nei confronti degli USA, forse mal consigliato da qualche alleato europeo, parlando di “guerra economica” contro gli USA. Trump gli ha risposto con un tweet di minaccia di raddoppiare i dazi su acciaio e alluminio e sono partite le vendite, non solo sulla lira ma anche sui bond governativi e sui titoli italiani e europei legati alla Turchia, vedi Unicredit.

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LA PROTEZIONE EUROPEA NON PROTEGGE


La Turchia è parte della NATO, e un confronto diretto tra alleati di questo tipo è abbastanza inusuale. In comune con l’Iran ha il fatto di essere sotto la ‘protezione’ europea. Come funzioni questo tipo di protezione si è visto nei giorni scorsi. Trump ha fatto scattare nuovamente le sanzioni dopo aver rinnegato l’accordo sul nucleare, a Bruxelles hanno risposto che per loro non cambiava nulla, ma le imprese europee hanno seguito gli americani e interrotto in gran parte immediatamente le relazioni commerciali con il paese degli Ayatollah, a cominciare da petrolio e derivati. Le imprese europee sono diventate tifose di Trump? Non esattamente. Le imprese europee temono le sanzioni, anche se non battono la stellata bandiera azzurra dell’Unione, perchè per i loro scambi e le loro transazioni si servono delle banche americane ma soprattutto usano la moneta americana, il dollaro.

IL DOLLARO È LA VERA ARMA DEGLI AMERICANI


Lo sanno molto bene le grandi banche tedesche, francesi, britanniche e spagnole multate negli anni scorsi per miliardi e miliardi dalle autorità USA per irregolarità e manipolazioni, dai subprime al Libor, che avevano in comune il fatto di essere denominate in dollari. Dove passano di mano dollari, lì può arrivare il braccio a volte violento del Dipartimento di Giustizia di Washington e delle altre autorità americane. E di dollari nel mondo ne passano di mano tanti. Quanti? Circa 5.100 miliardi al giorno sul Forex, il mercato globale delle valute, dove l’88% delle transazioni vedono il biglietto verde su uno dei due lati degli scambi, secondo i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea. Sono denominate in dollari il 62,5% delle riserve delle banche centrali del pianeta, a loro volta pari a 10.400 miliardi, secondo i dati del Fondo Monetario. Il mercato dei capitali americano, che ovviamente si fa in dollari, è il più grande e liquido del mondo. Senza dollari non si commercia, non si produce, non si vende.

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