Alain Nsiona Defise
Mercati emergenti, la crisi della Turchia non farà deragliare i fondamentali
I fondamentali dei mercati emergenti, esclusa la Turchia, sono migliori rispetto al taper tantrum del 2013. Se non scoppia una guerra commerciale, le valutazioni sono attraenti.
28 Agosto 2018 09:29
“Se dovesse materializzarsi una vera e propria guerra commerciale, la crescita globale crollerebbe precipitosamente. Se invece, come riteniamo più probabile, le tensioni sui dazi porteranno a dei miglioramenti nel sistema commerciale mondiale, allora potranno affiorare i solidi fondamentali dei mercati emergenti” commentano Alain-Nsiona Defise, Head of Emerging Corporates e Mary-Therese Barton, Head of Emerging Market Debt di Pictet Asset Management.
Una conclusione, la loro, che non cambia nemmeno alla luce dei recenti timori sulla Turchia. Secondo i due esperti, è infatti improbabile che la crisi valutaria di Ankara possa destabilizzare i mercati emergenti e l’economia globale. Questo convincimento si basa su diversi fattori. In primis, per Alain-Nsiona Defise e Mary-Therese Barton, la probabile recessione della Turchia non dovrebbe avere ripercussioni dirette su altre economie.
“Nonostante le sue strette relazioni con l'Unione europea, una popolazione di 80 milioni di persone e il suo ritmo sostenuto di crescita decennale, la Turchia rimane comunque un attore minore nell'economia globale. Il Paese costituisce appena l'1% del PIL mondiale e soltanto il 2,8% delle esportazioni dell'Eurozona” spiegano i due esperti.
Secondo i quali, un pericolo maggiore è invece rappresentato da un'eventuale ondata di default del debito turco. Una fonte di grande preoccupazione soprattutto per le banche europee che hanno finanziato negli ultimi anni l’espansione economica di Ankara. Tuttavia, sebbene la BCE abbia iniziato a tenere sotto stretta osservazione l'esposizione del settore bancario della zona euro alla Turchia, i rischi appaiono gestibili. Infatti, le banche spagnole, che sono le più esposte al debito turco, evidenziano meno del 5% dei prestiti esteri in portafoglio emessi da società turche , mentre le banche italiane non vanno oltre l'1,9%.
Un altro fattore che rappresenta un driver fondamentale per l’andamento dell’asset class emergente è il sentiment degli investitori. I quali , spesso e in modo semplicistico, sono tentati di raggruppare tutti i Paesi emergenti e di abbandonare in blocco le rispettive valute e classi di attivi ai primi segnali di difficoltà. Tuttavia, se si analizza con calma la situazione attuale, si può facilmente constatare come la Turchia rappresenti un'eccezione nell'universo dei mercati emergenti.
La difficile situazione finanziaria di Ankara non vede riscontri in generale negli altri paesi in via di sviluppo che dal 2013, per esempio, hanno migliorato le posizioni delle partite correnti. E anche in Paesi emergenti che presentano disavanzi, la differenza si è ridotta all'1,7% del PIL rispetto ai valori vicini al 4% registrati durante il taper tantrum del 2013, quando i mercati hanno evidenziato alcune oscillazioni dopo che la Federal Reserve statunitense si è dichiarata intenzionata a ridurre il quantitative easing.
A proposito di Federal Reserve, il rialzo dei tassi USA non dovrebbe costituire un freno al debito dei paesi in via di sviluppo. È vero che di recente ci sono state turbolenze sui mercati emergenti in occasione dei rialzi dei tassi statunitensi ma è altrettanto vero che un loro aumento non rappresenta necessariamente uno svantaggio per gli asset o le valute dei mercati emergenti. “Finché la Fed inasprisce la politica monetaria in risposta all'accelerazione della crescita, l'effetto economico sui Paesi in via di sviluppo dovrebbe essere positivo. Lo conferma un'analisi svolta da Barclays: la banca ha riscontrato che in ogni ciclo di innalzamento dei tassi USA dalla metà degli anni '90, le valute e le obbligazioni dei mercati emergenti tendevano a registrare una sovraperformance rispetto alle loro controparti dei Paesi sviluppati” concludono Alain-Nsiona Defise e Mary-Therese Barton.
IMPROBABILE UN CONTAGIO DA ANKARA
Una conclusione, la loro, che non cambia nemmeno alla luce dei recenti timori sulla Turchia. Secondo i due esperti, è infatti improbabile che la crisi valutaria di Ankara possa destabilizzare i mercati emergenti e l’economia globale. Questo convincimento si basa su diversi fattori. In primis, per Alain-Nsiona Defise e Mary-Therese Barton, la probabile recessione della Turchia non dovrebbe avere ripercussioni dirette su altre economie.
LA TURCHIA VALE SOLO L’1% DEL PIL MONDIALE
“Nonostante le sue strette relazioni con l'Unione europea, una popolazione di 80 milioni di persone e il suo ritmo sostenuto di crescita decennale, la Turchia rimane comunque un attore minore nell'economia globale. Il Paese costituisce appena l'1% del PIL mondiale e soltanto il 2,8% delle esportazioni dell'Eurozona” spiegano i due esperti.
I TIMORI PER LE BANCHE EUROPEE
Secondo i quali, un pericolo maggiore è invece rappresentato da un'eventuale ondata di default del debito turco. Una fonte di grande preoccupazione soprattutto per le banche europee che hanno finanziato negli ultimi anni l’espansione economica di Ankara. Tuttavia, sebbene la BCE abbia iniziato a tenere sotto stretta osservazione l'esposizione del settore bancario della zona euro alla Turchia, i rischi appaiono gestibili. Infatti, le banche spagnole, che sono le più esposte al debito turco, evidenziano meno del 5% dei prestiti esteri in portafoglio emessi da società turche , mentre le banche italiane non vanno oltre l'1,9%.
IL SENTIMENT DEGLI INVESTITORI
Un altro fattore che rappresenta un driver fondamentale per l’andamento dell’asset class emergente è il sentiment degli investitori. I quali , spesso e in modo semplicistico, sono tentati di raggruppare tutti i Paesi emergenti e di abbandonare in blocco le rispettive valute e classi di attivi ai primi segnali di difficoltà. Tuttavia, se si analizza con calma la situazione attuale, si può facilmente constatare come la Turchia rappresenti un'eccezione nell'universo dei mercati emergenti.
Ci può essere valore nei bond emergenti: i casi di Turchia e Argentina
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SITUAZIONE MIGLIORE RISPETTO AL TAPER TANTRUM
La difficile situazione finanziaria di Ankara non vede riscontri in generale negli altri paesi in via di sviluppo che dal 2013, per esempio, hanno migliorato le posizioni delle partite correnti. E anche in Paesi emergenti che presentano disavanzi, la differenza si è ridotta all'1,7% del PIL rispetto ai valori vicini al 4% registrati durante il taper tantrum del 2013, quando i mercati hanno evidenziato alcune oscillazioni dopo che la Federal Reserve statunitense si è dichiarata intenzionata a ridurre il quantitative easing.
I TASSI DELLA FED NON PREOCCUPANO
A proposito di Federal Reserve, il rialzo dei tassi USA non dovrebbe costituire un freno al debito dei paesi in via di sviluppo. È vero che di recente ci sono state turbolenze sui mercati emergenti in occasione dei rialzi dei tassi statunitensi ma è altrettanto vero che un loro aumento non rappresenta necessariamente uno svantaggio per gli asset o le valute dei mercati emergenti. “Finché la Fed inasprisce la politica monetaria in risposta all'accelerazione della crescita, l'effetto economico sui Paesi in via di sviluppo dovrebbe essere positivo. Lo conferma un'analisi svolta da Barclays: la banca ha riscontrato che in ogni ciclo di innalzamento dei tassi USA dalla metà degli anni '90, le valute e le obbligazioni dei mercati emergenti tendevano a registrare una sovraperformance rispetto alle loro controparti dei Paesi sviluppati” concludono Alain-Nsiona Defise e Mary-Therese Barton.