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Petrolio, perché è improbabile un balzo strutturale a 100 dollari

Le quotazioni del petrolio da quest’estate hanno messo il turbo sulla scia dei timori sulla minore produzione di Iran e Venezuela. Ma Arabia Saudita, Russia e shale oil USA freneranno rialzi strutturali.

9 Ottobre 2018 09:33

financialounge -  Amundi OPEC petrolio
Le quotazioni delle materie prime dipendono soprattutto da due fattori: l’andamento dell’economia mondiale e il dollaro. Nella fasi di crescita economica diffusa in tutte le principali aree del pianeta sale la domanda aggregata di materie prime e viceversa. Dal momento che le commodity sono quotate sui mercati internazionali in dollari, se il biglietto verde tende a salire le quotazioni tendono a frenare o a scendere e viceversa.

QUOTAZIONI DEL PETROLIO IN ASCESA DALL’ESTATE


Da quest’estate, però, a parità di condizioni macro economiche e della valuta di Washington, mentre i metalli di base hanno visto cedere le quotazioni, il petrolio ha registrato un trend rialzista tale da generare un extra rendimento del 30% rispetto all’indice dei metalli di base. Nonostante le quotazioni delle materie prime siano piuttosto altalenanti, la situazione che si è venuta a delineare è fuori dalla norma. Tuttavia, come fanno sapere gli esperti di Amundi nell’ultimo Weekly Market Review, vi sono alcuni motivi di un certo rilievo che spiegano questa distorsione, e sono legati in gran parte ai movimenti del prezzo del petrolio.

I FATTORI FRENANTI I METALLI DI BASE


Il loro ragionamento parte dai metalli di base, il cui andamento (in lieve flessione) è in linea con il rafforzamento del dollaro: oltretutto, le preoccupazioni derivanti dalla guerra commerciale USA – Cina circa un possibile rallentamento dell’economia a livello globale ne ha rallentato la domanda. Se poi aggiungiamo il fatto che i tagli alla capacità in eccesso dei produttori dei metalli di base sono stati congelati ecco che l’andamento dei prezzi degli ultimi mesi risulta perfettamente allineato al quadro complessivo di queste commodity.

GREGGIO SOSTENUTO DALLE CRISI DI IRAN E VENEZUELA


Al contrario, le quotazioni del petrolio hanno accumulato una sequenza al rialzo sulla scia dei timori di un’interruzione delle forniture in Iran (su cui pesano le sanzioni di Trump) e in Venezuela (frenate dalla situazione politica del paese). Una combinazione di fattori a supporto che ha più che controbilanciato il rallentamento della domanda di greggio a differenza di quanto accaduto sui metalli di base. A questo proposito è opportuno ricordare anche le peculiarità dell’attuale mercato del petrolio che evidenzia livelli di produzione dei paesi OPEC prossimi alla loro capacità massima: anche una relativamente limitata interruzione delle forniture di greggio comporta quindi un collo di bottiglia in grado di increspare le quotazioni, alimentate peraltro dalla speculazione. L’insieme di questi fattori sono alla base del forte rialzo del prezzo dell’olio nero che nel giro di pochi mesi si è impennato fino agli 85 dollari al barile nel caso del Brent.

NESSUN RISCHIO DI RIALZO STRUTTURALE


“Non si può escludere il rischio di un ulteriore rialzo, ma noi non ci attendiamo un balzo strutturale a quota 100 dollari perché alcuni Paesi, come l’Arabia Saudita nel cartello dell’OPEC e la Russia, collaborano tacitamente e dispongono di margini sufficienti per incrementare la produzione se necessario” tengono a puntualizzare i professionisti di Amundi. Che, inoltre, segnalano un altro potenziale fronte di allentamento delle pressioni al rialzo del greggio: lo shale oil statunitense. “La produzione di petrolio di scisto negli USA dovrebbe aumentare sul lungo termine se il settore riuscirà a risolvere il problema delle strozzature a livello di pipeline e di trasporti” sostengono gli esperti di Amundi.

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