Colin Lundgren
Il filo rosso che collega guerra commerciale e politica della Fed
Gli accordi commerciali potrebbero incidere sui tassi di cambio, sull’inflazione e sulle aspettative di crescita globale, influenzando potenzialmente anche le decisioni politiche della Fed.
9 Novembre 2018 07:50
La Federal Reserve è sempre più attenta ai dettagli forniti alla comunità finanziaria circa le sue future intenzioni in tema di politica monetaria (la cosiddetta forward guidance). Anche perché ha iniziato il proprio percorso di rialzo dei tassi tre anni fa mentre ora stiamo percorrendo la parte finale del ciclo di un’espansione economica che è la più lunga del dopoguerra.
Il compito della banca centrale statunitense è messo a dura prova dal possibile impatto dell’appiattimento della curva dei rendimenti, dai pericoli legati all’inflazione, dai rischi sulla stabilità finanziaria in un contesto in cui l’economia accelera sulla spinta di un stimolo fiscale di fine ciclo. Inoltre, dalla scorsa primavera, un nuovo fattore di preoccupazione si è materializzato sulla scena: la guerra sui dazi promossa da Washington verso la Cina e gli altri principali partner commerciali.
“Ci aspettiamo che il FOMC (Federal Open Market Committee, l’organismo della Fed che decide in tema di tassi di interesse USA, ndr) verifichi i rischi al ribasso posti dalla guerra commerciale per le condizioni finanziarie, l’occupazione, la crescita e l’inflazione prima di modificare l’attuale percorso di rialzo dei tassi” fa sapere Colin Lundgren, Responsabile reddito fisso globale di Columbia Threadneedle Investments.
Secondo l’esperto, se è vero che per il Presidente della Fed Jerome Powell il rischio di un imprevisto calo dell’economia risulta ancora controbilanciato dalla possibilità che la crescita economica superi il livello attualmente previsto, è altrettanto evidente che la guerra commerciale ha un potenziale destabilizzante sui tassi di cambio, sull’inflazione e sulle aspettative di crescita globale: può, pertanto, influenzare le future mosse politiche della Fed.
Colin Lundgren non trascura affatto che gli Stati Uniti siano un’economia relativamente chiusa (le importazioni rappresentano circa il 15% del PIL e meno del 20% della spesa per consumi), ma è persuaso che gli impatti potenziali sulla fiducia delle imprese e dei consumatori e sulla stabilità finanziaria nel suo insieme, potrebbero risultare molto maggiori.
Ecco perché, secondo l’esperto, in uno scenario in cui prevalga la ‘distensione commerciale’ con un accordo di compromesso significativo (se non, addirittura, l’eliminazione dei dazi in programma), tra Washington e i partner commerciali i timori per gli scambi internazionali cesserebbero. “Uno scenario nel quale le previsioni sulla crescita globale sarebbero riviste al rialzo, mentre il dollaro tenderebbe ad indebolirsi propiziando un potenziale rally dei mercati emergenti e delle materie prime” spiega Colin Lundgren Dal punto di vista degli investitori obbligazionari si potrebbe assistere ad un’ulteriore tornata di propensione al rischio.
Al contrario, in caso di un’escalation della guerra commerciale, ci sarebbero i presupposti per una spinta inflazionistica con ripercussioni sulla banca centrale statunitense di cui uno degli obiettivi di politica monetaria è la stabilità dei prezzi. Secondo alcune stime, l’impatto di una guerra commerciale sull’indice dei prezzi al consumo USA (CPI) potrebbe oscillare tra il +0,1% e il +0,5% del tasso annualizzato. “La reazione più probabile sarebbe quella di un’avversione al rischio e un rialzo dei tassi, a meno che i timori del mercato non inneschino una fuga generalizzata verso la qualità (fly to quality), che potrebbe tradursi in una maggiore domanda di Treasury nel breve periodo con prezzi in aumento e rendimenti, che si muovono in direzione opposta ai prezzi, in calo” -specifica infine - Colin Lundgren.
FED MESSA A DURA PROVA
Il compito della banca centrale statunitense è messo a dura prova dal possibile impatto dell’appiattimento della curva dei rendimenti, dai pericoli legati all’inflazione, dai rischi sulla stabilità finanziaria in un contesto in cui l’economia accelera sulla spinta di un stimolo fiscale di fine ciclo. Inoltre, dalla scorsa primavera, un nuovo fattore di preoccupazione si è materializzato sulla scena: la guerra sui dazi promossa da Washington verso la Cina e gli altri principali partner commerciali.
IL PERCORSO DI RIALZO DEI TASSI USA
“Ci aspettiamo che il FOMC (Federal Open Market Committee, l’organismo della Fed che decide in tema di tassi di interesse USA, ndr) verifichi i rischi al ribasso posti dalla guerra commerciale per le condizioni finanziarie, l’occupazione, la crescita e l’inflazione prima di modificare l’attuale percorso di rialzo dei tassi” fa sapere Colin Lundgren, Responsabile reddito fisso globale di Columbia Threadneedle Investments.
GUERRA COMMERCIALE DESTABILIZZANTE
Secondo l’esperto, se è vero che per il Presidente della Fed Jerome Powell il rischio di un imprevisto calo dell’economia risulta ancora controbilanciato dalla possibilità che la crescita economica superi il livello attualmente previsto, è altrettanto evidente che la guerra commerciale ha un potenziale destabilizzante sui tassi di cambio, sull’inflazione e sulle aspettative di crescita globale: può, pertanto, influenzare le future mosse politiche della Fed.
Mercati fragili, illusoria protezione degli asset sicuri
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STATI UNITI, UN’ECONOMIA CHIUSA
Colin Lundgren non trascura affatto che gli Stati Uniti siano un’economia relativamente chiusa (le importazioni rappresentano circa il 15% del PIL e meno del 20% della spesa per consumi), ma è persuaso che gli impatti potenziali sulla fiducia delle imprese e dei consumatori e sulla stabilità finanziaria nel suo insieme, potrebbero risultare molto maggiori.
DISTENSIONE COMMERCIALE
Ecco perché, secondo l’esperto, in uno scenario in cui prevalga la ‘distensione commerciale’ con un accordo di compromesso significativo (se non, addirittura, l’eliminazione dei dazi in programma), tra Washington e i partner commerciali i timori per gli scambi internazionali cesserebbero. “Uno scenario nel quale le previsioni sulla crescita globale sarebbero riviste al rialzo, mentre il dollaro tenderebbe ad indebolirsi propiziando un potenziale rally dei mercati emergenti e delle materie prime” spiega Colin Lundgren Dal punto di vista degli investitori obbligazionari si potrebbe assistere ad un’ulteriore tornata di propensione al rischio.
Azionario USA, forse è davvero iniziato il momento delle small cap
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PERICOLO DI UNA SPINTA INFLAZIONISTICA
Al contrario, in caso di un’escalation della guerra commerciale, ci sarebbero i presupposti per una spinta inflazionistica con ripercussioni sulla banca centrale statunitense di cui uno degli obiettivi di politica monetaria è la stabilità dei prezzi. Secondo alcune stime, l’impatto di una guerra commerciale sull’indice dei prezzi al consumo USA (CPI) potrebbe oscillare tra il +0,1% e il +0,5% del tasso annualizzato. “La reazione più probabile sarebbe quella di un’avversione al rischio e un rialzo dei tassi, a meno che i timori del mercato non inneschino una fuga generalizzata verso la qualità (fly to quality), che potrebbe tradursi in una maggiore domanda di Treasury nel breve periodo con prezzi in aumento e rendimenti, che si muovono in direzione opposta ai prezzi, in calo” -specifica infine - Colin Lundgren.