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Economia italiana, i costi del braccio di ferro con la UE sono già visibili
L'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato è persistito così a lungo da essersi trasmesso all'economia reale: un inasprimento che ha conseguenze negative per il paese che cresce meno nell'Eurozona.
30 Novembre 2018 09:33
Quando si parla dell’attuale situazione politica italiana e del braccio di ferro con la UE sul bilancio 2019, viene subito alla mente lo spread. Il differenziale di rendimento tra il titoli di stato italiani e i bund tedeschi è infatti il termometro più immediato di come venga percepito il pericolo ‘italiano’ dai mercati. Tanto più si allarga tanto maggiore è la valutazione del pericolo per il debito pubblico italiano e viceversa. Dopo aver oscillato tra 110 e 150 punti base per buona parte del primo semestre, lo spread tra il BTP a 10 anni e il decennale tedesco si è impennato da metà maggio, cioè in concomitanza della indiscrezione sulla bozza del contratto del nascente governo Lega – 5Stelle, nella quale trapelava l’ipotesi di una uscita dell’Italia dall’euro (successivamente smentita dal documento ufficiale che invece esclude tale ipotesi).
Da allora, tuttavia, lo spread oscilla intorno ai 300 punti base mentre i rendimenti dei titoli di stato italiani sono saliti tra lo 0,7% e il punto e mezzo percentuale. Per esempio il BTP 15.6.2020 che il 15 maggio esprimeva addirittura un rendimento negativo oggi riconosce un rendimento dello 0,62% (+0,74% rispetto al 15 maggio 2018), il BTP 1.5.2023 che a metà maggio pagava un tasso dello 0,76% oggi offre un rendimento del 2,27% (+1,51%) e il BTP 1.9.2028 che sei mesi fa era all’1,97% oggi è al 3,17% (+1,20%). Un incremento di rendimenti che ha provocato perdite ai possessori dei titoli (i cui prezzi si muovono infatti in direzione opposta ai rendimenti), siano essi piccoli risparmiatori, fondi comuni, gestioni assicurative, e interessi maggiorati per le emissioni del Tesoro sul mercato da maggio ad oggi.
Il problema, come fa notare Mark Holman, CEO di TwentyFour Asset Managament (gruppo Vontobel), è che l'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato è persistito così a lungo da essersi propagato all'economia reale e questo inasprimento, per quanto involontario, è l'ultima cosa di cui l'economia più debole dell'Eurozona ha bisogno in questo momento.
Un esempio tangibile della puntualizzazione dell’esperto, che dimostra come gli effetti sullo spread si trasmettano a cascata sull’economia reale del paese, è il collocamento per un importo da 3 miliardi di euro di un bond Senior Non-Preferred da parte di Unicredit lo scorso 27 novembre. Si tratta dell’ultimo gradino del debito 'bail-in', un livello che si colloca al di sopra delle azioni comuni, del Tier 1 aggiuntivo e anche del Tier 2: un insieme di titoli ed emissioni che in UniCredit ammontano a circa 58 miliardi di euro. Emissioni sul mercato come quella emesse da Unicredit che possono pertanto essere classificate con un rischio relativamente basso e, di norma, vengono collocate con spread bassi a tasso ‘risk-free’.
Il collocamento di questa nuova emissione sul mercato si è concretizzata con una cedola del 7,83% per cinque anni ed è stata emessa per un solo investitore. A titolo di esempio, nello scorso gennaio, sempre Unicredit, aveva collocato un bond da 1,5 miliardi di euro a cinque anni, anch'esso Senior Non-Preferred, con una cedola pari all’uno per cento. ”Considerando la situazione a parità di condizioni e rettificando la copertura valutaria, ciò equivale a swap (circa zero per 5 anni in euro) più 420 punti base, un enorme balzo in avanti rispetto allo spread di 70 punti base (+0,70%) sull’obbligazione collocata solo 11 mesi fa” puntualizza Mark Holman.
L’esperto fa presente come l'aumento del costo del capitale (da parte di Unicredit come per qualsiasi altro istituto di credito) può essere colmato soltanto con l'aumento dei margini di prestito, che in questa fase rappresenta un inasprimento indesiderato per l'economia italiana.
DA METÀ MAGGIO SPREAD DA 150 A 300 PUNTI BASE
Da allora, tuttavia, lo spread oscilla intorno ai 300 punti base mentre i rendimenti dei titoli di stato italiani sono saliti tra lo 0,7% e il punto e mezzo percentuale. Per esempio il BTP 15.6.2020 che il 15 maggio esprimeva addirittura un rendimento negativo oggi riconosce un rendimento dello 0,62% (+0,74% rispetto al 15 maggio 2018), il BTP 1.5.2023 che a metà maggio pagava un tasso dello 0,76% oggi offre un rendimento del 2,27% (+1,51%) e il BTP 1.9.2028 che sei mesi fa era all’1,97% oggi è al 3,17% (+1,20%). Un incremento di rendimenti che ha provocato perdite ai possessori dei titoli (i cui prezzi si muovono infatti in direzione opposta ai rendimenti), siano essi piccoli risparmiatori, fondi comuni, gestioni assicurative, e interessi maggiorati per le emissioni del Tesoro sul mercato da maggio ad oggi.
IMPLICAZIONI PER L’ECONOMIA REALE
Il problema, come fa notare Mark Holman, CEO di TwentyFour Asset Managament (gruppo Vontobel), è che l'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato è persistito così a lungo da essersi propagato all'economia reale e questo inasprimento, per quanto involontario, è l'ultima cosa di cui l'economia più debole dell'Eurozona ha bisogno in questo momento.
Braccio di ferro Italia - UE, la partita politica e quella finanziaria
Braccio di ferro Italia - UE, la partita politica e quella finanziaria
L’ESEMPIO DEL BOND UNICREDIT
Un esempio tangibile della puntualizzazione dell’esperto, che dimostra come gli effetti sullo spread si trasmettano a cascata sull’economia reale del paese, è il collocamento per un importo da 3 miliardi di euro di un bond Senior Non-Preferred da parte di Unicredit lo scorso 27 novembre. Si tratta dell’ultimo gradino del debito 'bail-in', un livello che si colloca al di sopra delle azioni comuni, del Tier 1 aggiuntivo e anche del Tier 2: un insieme di titoli ed emissioni che in UniCredit ammontano a circa 58 miliardi di euro. Emissioni sul mercato come quella emesse da Unicredit che possono pertanto essere classificate con un rischio relativamente basso e, di norma, vengono collocate con spread bassi a tasso ‘risk-free’.
CEDOLA AL 7,83% PER CINQUE ANNI
Il collocamento di questa nuova emissione sul mercato si è concretizzata con una cedola del 7,83% per cinque anni ed è stata emessa per un solo investitore. A titolo di esempio, nello scorso gennaio, sempre Unicredit, aveva collocato un bond da 1,5 miliardi di euro a cinque anni, anch'esso Senior Non-Preferred, con una cedola pari all’uno per cento. ”Considerando la situazione a parità di condizioni e rettificando la copertura valutaria, ciò equivale a swap (circa zero per 5 anni in euro) più 420 punti base, un enorme balzo in avanti rispetto allo spread di 70 punti base (+0,70%) sull’obbligazione collocata solo 11 mesi fa” puntualizza Mark Holman.
UN INASPRIMENTO PER L’ECONOMIA ITALIANA
L’esperto fa presente come l'aumento del costo del capitale (da parte di Unicredit come per qualsiasi altro istituto di credito) può essere colmato soltanto con l'aumento dei margini di prestito, che in questa fase rappresenta un inasprimento indesiderato per l'economia italiana.
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