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Da Cina e USA tre possibili catalizzatori per stimolare l’economia globale

Per Harmstone (MSIM) le tensioni commerciali hanno colpito la Cina in modo ancora più profondo poiché i dazi sono arrivati durante la fase di riduzione del debito. Ma esistono almeno tre opzioni per la crescita.

11 Dicembre 2018 15:56

financialounge -  cina Guerra commerciale Morgan Stanley USA
L’accordo siglato a margine del G20 tenutosi a Buenos Aires tra il presidente Trump e quello Cinese Xi Jinping, per un periodo di 90 giorni di negoziazione sulle dispute commerciali con la sospensione di qualunque ulteriore incremento dei dazi, ha scongiurato scenari peggiori nell’immediato. Tuttavia, con il passare dei giorni si ha la netta sensazione che possa rivelarsi più un atto di forma che di sostanza, mentre l’incertezza sul futuro della guerra commerciale tra Washington e Pechino resta elevata.

L’ARRESTO DELLA DIRETTRICE FINANZIARIA DI HUAWEI


Tesi peraltro confermata dopo l’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore del colosso tecnologico cinese Huawei, con l’accusa di violazioni alle sanzioni americane contro l'Iran (proprio nel giorno in cui la compagnia cinese è stata bandita da British Telecom per "rischio spionaggio"). “Una considerazione essenziale per i nostri gestori è data dalle possibili implicazioni dei dazi e delle politiche locali sull’economia cinese, e il conseguente effetto domino sulle altre regioni” commenta Andrew Harmstone, Senior Portfolio Manager del Global Multi-Asset team e Head of Global Balanced Risk Control (GBaR) strategy di Morgan Stanley Investment Management (MSIM).

IL PARERE DEI GESTORI BASATI IN ASIA


Una considerazione che include anche il parere dei gestori basati in Asia che forniscono preziosi spunti locali. Infatti, alla luce dell’impatto sulla crescita globale di ciò che accade in Cina e, al contempo, dell’importanza di essere tempestivamente aggiornati sui principali indicatori in Asia, il team Global Balanced Risk Control (GBaR) è stato rafforzato con una presenza a Singapore, con membri del team di gestione che parlano mandarino.
“Si tratta di una scelta strategica con molteplici vantaggi. Potenzia la nostra ricerca nella regione Asia-Pacifico, inclusa la Cina, rende ancora più efficienti le nostre operazioni negli investimenti asiatici e, grazie a relazioni più profonde con la comunità di investitori nell’area Asia-Pacifico, consente di migliorare la nostra comprensione degli eventi futuri in questa regione” specifica Andrew Harmstone.

LA RIDUZIONE DEL DEBITO IN CINA


Secondo il quale, il conflitto commerciale in sé non sembra aver impattato, almeno per il momento, direttamente sulla Cina. Al contrario, Andrew Harmstone ha la sensazione che le tensioni commerciali abbiano finito per procurare all’economia di Pechino danni più profondi solo perché i dazi sono stati implementati in concomitanza con un momento di significativa riduzione del debito. L’economia cinese è stata finanziata con livelli eccessivi di debito, la cui riduzione ha rappresentato una priorità per il governo che, di recente, ha agito attraverso la politica monetaria e i tagli sulla crescita del credito. Tuttavia, invece che risolvere il problema del debito, tali misure non fanno altro che trasferirlo tra settori, in questo caso dalle aziende pubbliche ai consumatori. La risultante è che si è registrato un incremento di 10 punti percentuali del debito privato in rapporto al PIL negli ultimi due anni, mentre la fiducia dei consumatori è caduta a livelli minimi e gli investimenti hanno subito un rallentamento.

RIBILANCIAMENTO DEL MODELLO CINESE


Ora, è vero che il governo di Pechino può limitare l’espansione del debito rallentando gli investimenti, tuttavia una riduzione eccessiva ostacola a sua volta la crescita economica, come accaduto quest’anno. Il problema è che tale decelerazione della crescita indotta dalle politiche locali ha coinciso con le tensioni commerciali a livello globale: un contesto nel quale gli impatti piuttosto negativi per la crescita e la fiducia dei mercati determinati dall’evoluzione della guerra commerciale ha finito per rendere questa fase di ribilanciamento del modello cinese (da quello basato sulle esportazioni a quello che fa leva sui consumi interni) molto più complicata del previsto.

I TRE CATALIZZATORI POSITIVI


Quali catalizzatori positivi potrebbero aiutare in maniera significativa a stimolare nuovamente l’economia globale? Andrew Harmstone ne indica tre.
In primis la combinazione di politiche monetarie più accomodanti da parte della Fed e l’avvio di un consistente programma di investimenti infrastrutturali negli Stati Uniti: quest’ultimo, peraltro, risulta essere uno dei pochi provvedimenti che un Congresso diviso com’è quello uscito dopo il voto di Mid Term, possa licenziare con l’accordo bipartisan tra Repubblicani e Democratici. “Si tratterebbe di una circostanza favorevole all’economia globale che, a cascata, agevolerebbe le azioni di ribilanciamento economico in Cina” spiega l’esperto.

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DA PECHINO UNO STIMOLO MIRATO


In secondo luogo, Andrew Harmstone delinea un’opzione la cui realizzazione resta tuttavia in buona parte legata all’evoluzione dei dazi commerciali. “Se Pechino avviasse un programma di stimolo mirato potrebbe controbilanciare le debolezze portate dalla politica di riduzione del debito, ma non tali da incrementare sostanzialmente il tetto di indebitamento” puntualizza l’esperto che, relativamente al terzo catalizzatore non ha dubbi: gli sviluppi positivi concreti nelle negoziazioni tra Washington e Pechino.

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