Candriam
Cina e zona euro, perché guardare oltre il rallentamento
Il nuovo modello cinese più incline ai consumi interni cerca di rendere più sostenibile la crescita di Pechino. Nella zona euro le politiche di bilancio più espansive e l’aumento delle retribuzioni dovrebbero sostenere il PIL
23 Gennaio 2019 15:56
Tra i maggiori aspetti che hanno alimentato le turbolenze dei mercati nel terzo trimestre dello scorso anno spiccano i timori crescenti sul rallentamento dell’economia globale. Preoccupazioni che si sono alimentate nel corso del 2018 a mano a mano che diventava sempre più evidente la divergenza di andamento tra gli Stati Uniti, che grazie alla spinta dei tagli fiscali mostrava un’accelerazione, e il resto del mondo, in particolare la Cina e la zona euro, che invece denunciavano una decelerazione.
Secondo alcuni attenti osservatori, tuttavia, l’economia cinese ha bisogno di rallentare. Pechino è cresciuta al di sopra del suo tasso tendenziale di lungo periodo per parecchi anni e, cosa che preoccupa, lo ha fatto tramite il credito. Spendere soldi che non si hanno è un modo certo per spingere la crescita più di quanto sia sostenibile, ma ora le autorità cinesi sono consapevoli dei pericoli che può comportare il costo per la crescita attuale effettuata con debito che dovrà essere ripagato in futuro. Per questo Pechino ogni anno rende noto un tasso di crescita leggermente inferiore rispetto all'anno precedente con l’obiettivo di raggiungere un modello economico più sostenibile. Pertanto, dal momento che la Cina ha un peso relativamente alto nel computo totale del Pil (circa il 15%), se la crescita di Pechino rallenterà nei prossimi anni lo stesso dovrebbe fare anche il pil globale.
Tuttavia, il pil è soltanto un numero che non riesce a esprimere in modo complessivo tutte le componenti importanti che costituiscono l’equilibrio dell’economia. Per esempio se la Cina aumentasse le importazioni dal resto del mondo per uso domestico, si potrebbe generare un effetto moltiplicativo significativo sulla crescita in altri paesi, sebbene questo accadesse in presenza di un calo del pil cinese. Insomma, invece che preoccuparsi del livello di crescita della Cina, gli investitori dovrebbero concentrarsi su come la Cina sta crescendo, ovvero sul suo modello meno orientato all’export di beni a basso valore aggiunto e più incline ai consumi interni e alla lavorazione di beni che richiedano elevato know how.
Anche nella zona euro permangono i timori per un rallentamento dell’economia, ed è probabile che lo faccia presente pure Draghi nella prima riunione della Bce in programma domani. Le stime di previsione del pil del terzo trimestre della zona euro sono tutte orientate al ribasso sulla scia di fattori congiunturali specifici: dalle difficoltà del settore automobilistico, a seguito del cambiamento delle procedure di misurazione delle emissioni, al rincaro dei prezzi dei carburanti, dal calo delle esportazioni verso la Turchia alle ripercussioni delle guerre commerciali.
Tuttavia, secondo Vincent Hamelink, Chief Investment Officer – Investment Management di Candriam, ci sono ancore le condizioni affinché la crescita possa tornare a toccare nel 2019 la soglia dell’1,5%. Per l’esperto, infatti, alcuni fattori frenanti dovrebbero essere eliminati o, almeno, depotenziati grazie al recente calo del prezzo del petrolio e la normalizzazione dell’attività del settore automobilistico. Per contro, ammette Vincent Hamelink, restano sullo sfondo fonti di rischio ancora da neutralizzare: dalla vicenda sulla Brexit alle incertezze politiche europee fino all’evoluzione della guerra commerciale tra Washington e Pechino.
“E’ però anche vero che molti importanti paesi europei, dalla Germania alla Francia, dall’Olanda all’Italia, hanno implementato politiche di bilancio più espansive per l’anno in corso mentre gli aumenti delle retribuzioni annunciati (tra i quali quelli recenti in Spagna e in Francia) dovrebbero prevenire i rischi di rallentamento eccessivo” conclude Vincent Hamelink.
PERCHE’ LA CINA DEVE RALLENTARE
Secondo alcuni attenti osservatori, tuttavia, l’economia cinese ha bisogno di rallentare. Pechino è cresciuta al di sopra del suo tasso tendenziale di lungo periodo per parecchi anni e, cosa che preoccupa, lo ha fatto tramite il credito. Spendere soldi che non si hanno è un modo certo per spingere la crescita più di quanto sia sostenibile, ma ora le autorità cinesi sono consapevoli dei pericoli che può comportare il costo per la crescita attuale effettuata con debito che dovrà essere ripagato in futuro. Per questo Pechino ogni anno rende noto un tasso di crescita leggermente inferiore rispetto all'anno precedente con l’obiettivo di raggiungere un modello economico più sostenibile. Pertanto, dal momento che la Cina ha un peso relativamente alto nel computo totale del Pil (circa il 15%), se la crescita di Pechino rallenterà nei prossimi anni lo stesso dovrebbe fare anche il pil globale.
UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO PIU’ SOSTENIBILE
Tuttavia, il pil è soltanto un numero che non riesce a esprimere in modo complessivo tutte le componenti importanti che costituiscono l’equilibrio dell’economia. Per esempio se la Cina aumentasse le importazioni dal resto del mondo per uso domestico, si potrebbe generare un effetto moltiplicativo significativo sulla crescita in altri paesi, sebbene questo accadesse in presenza di un calo del pil cinese. Insomma, invece che preoccuparsi del livello di crescita della Cina, gli investitori dovrebbero concentrarsi su come la Cina sta crescendo, ovvero sul suo modello meno orientato all’export di beni a basso valore aggiunto e più incline ai consumi interni e alla lavorazione di beni che richiedano elevato know how.
ZONA EURO, PREVISIONI DI PIL AL RIBASSO
Anche nella zona euro permangono i timori per un rallentamento dell’economia, ed è probabile che lo faccia presente pure Draghi nella prima riunione della Bce in programma domani. Le stime di previsione del pil del terzo trimestre della zona euro sono tutte orientate al ribasso sulla scia di fattori congiunturali specifici: dalle difficoltà del settore automobilistico, a seguito del cambiamento delle procedure di misurazione delle emissioni, al rincaro dei prezzi dei carburanti, dal calo delle esportazioni verso la Turchia alle ripercussioni delle guerre commerciali.
Il 2019 parte meglio del previsto, ma serve prudenza
Il 2019 parte meglio del previsto, ma serve prudenza
CI SONO LE CONDIZIONI PER RIPORTARSI ALL’1,5%
Tuttavia, secondo Vincent Hamelink, Chief Investment Officer – Investment Management di Candriam, ci sono ancore le condizioni affinché la crescita possa tornare a toccare nel 2019 la soglia dell’1,5%. Per l’esperto, infatti, alcuni fattori frenanti dovrebbero essere eliminati o, almeno, depotenziati grazie al recente calo del prezzo del petrolio e la normalizzazione dell’attività del settore automobilistico. Per contro, ammette Vincent Hamelink, restano sullo sfondo fonti di rischio ancora da neutralizzare: dalla vicenda sulla Brexit alle incertezze politiche europee fino all’evoluzione della guerra commerciale tra Washington e Pechino.
POLITICHE DI BILANCIO 2019 PIU’ ESPANSIVE
“E’ però anche vero che molti importanti paesi europei, dalla Germania alla Francia, dall’Olanda all’Italia, hanno implementato politiche di bilancio più espansive per l’anno in corso mentre gli aumenti delle retribuzioni annunciati (tra i quali quelli recenti in Spagna e in Francia) dovrebbero prevenire i rischi di rallentamento eccessivo” conclude Vincent Hamelink.
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