Banca d'Italia
Oro, il governo italiano agita il mercato. Ma sono solo parole
Gli annunci del vicepremier Salvini sulla possibilità di vendere le riserve auree della Banca d’Italia sono destinati a essere ignorati dagli operatori di mercato, spiega Joachim Corbach di GAM
11 Marzo 2019 12:39
Non è una semplice materia prima, ma uno dei mezzi di scambio più antichi e usati della storia: è l’oro, metallo prezioso perché raro. Dalla sua scoperta, circa 12mila anni fa, nel mondo ne sono state estratte soltanto 190mila tonnellate, come fa notare un’analisi di Joachim Corbach, responsabile valute e materie prime di GAM. Da sempre nel corso della storia le riserve auree sono state utilizzate a garanzia della valuta, sia sotto forma di monete che di carta e, anche se lo standard aureo è stato abbandonato ovunque, i governi conservano ancora notevoli riserve di metallo prezioso. “Di conseguenza, gli interventi delle banche centrali continuano a influenzare il prezzo di questo metallo e le relative aspettative”, spiega l’esperto.
E di recente è stato il vicepremier italiano Matteo Salvini a provocare, con le sue dichiarazioni, “grande eccitazione sul mercato dell’oro”, spiega Corbach. Salvini ha infatti invitato la banca centrale italiana a vendere le sue riserve auree per finanziare la spesa fiscale prevista. Le riserve auree della Banca d’Italia (circa 2.400 tonnellate) sono al terzo posto al mondo, dopo quelle della Federal Reserve negli Stati Uniti e della Bundesbank in Germania. Indubbiamente, nota l’esperto,”la vendita di un volume di lingotti di questo tipo eserciterebbe un impatto consistente sul prezzo dell’oro”.
Una mossa del genere, però, sarebbe poco utile. “L’equivalente di cassa (circa 93 miliardi di euro) costituisce solamente il 4% circa del debito nazionale dell’Italia”, fa presente Corbach. “Chiaramente, il problema del debito del Paese non verrebbe risolto dalla vendita dell’oro da parte della Banca d’Italia. Al contrario, secondo il nostro punto di vista, questa decisione potrebbe causare maggiori problemi”. In base all’articolo 30 del Trattato dell’Unione Europea, infatti, viene stabilita in modo inequivocabile l’indipendenza delle banche centrali nazionali e impedita ogni forma di finanziamento dello Stato. Salvini ha dimostrato ripetutamente negli ultimi mesi che il ritiro dell’Italia dall’UE per lui non rappresenta un’opzione praticabile, quindi “le sue dichiarazioni in merito alla vendita di oro da parte della Banca d’Italia possono quindi essere tranquillamente ignorate dagli operatori del mercato”.
La tendenza generale, infatti, è di segno opposto. “Le banche centrali di tutto il mondo sono state grandi acquirenti netti di oro durante l’anno solare 2018, incrementando le loro riserve di circa 650 tonnellate (con un aumento del 74% rispetto al 2017), cosa che le ha rese responsabili del 15% circa della domanda complessiva”, spiega l’esperto. Sono cifre che portano il 2018 al secondo posto nella classifica degli anni solari in cui sono stati effettuati più acquisti, superato solamente dal 1967, quando il dollaro Usa era ancorato al lingotto. Oggi si stima che le banche centrali possiedano, complessivamente, circa 34mila tonnellate di riserve di oro. Questo dato sembra destinato a salire ancora alla luce delle forti tensioni geopolitiche (l’oro spesso viene considerato l’ultimo “porto sicuro”) e del rafforzamento delle valute dei mercati emergenti (che richiedono meno supporto da parte delle banche centrali).
E mentre lo scorso anno il prezzo dell’oro è leggermente sceso, quest’anno le aspettative riviste sui tassi di interesse reali e sull’andamento del dollaro lo hanno fatto salire, e questo rialzo potrebbe essere ulteriormente alimentato dalla domanda da parte delle banche centrali e di altri investitori alla ricerca di “porti sicuri”. In questo contesto, spiega Corbach, “crediamo che valga la pena di ricordare che l’oro (come le materie prime in generale) è un bene reale che può offrire una fonte di diversificazione eccellente e una protezione contro le perdite per i portafogli di investimento tradizionali”.
LE DICHIARAZIONI DI SALVINI
E di recente è stato il vicepremier italiano Matteo Salvini a provocare, con le sue dichiarazioni, “grande eccitazione sul mercato dell’oro”, spiega Corbach. Salvini ha infatti invitato la banca centrale italiana a vendere le sue riserve auree per finanziare la spesa fiscale prevista. Le riserve auree della Banca d’Italia (circa 2.400 tonnellate) sono al terzo posto al mondo, dopo quelle della Federal Reserve negli Stati Uniti e della Bundesbank in Germania. Indubbiamente, nota l’esperto,”la vendita di un volume di lingotti di questo tipo eserciterebbe un impatto consistente sul prezzo dell’oro”.
UNA MOSSA NON PRATICABILE NELLA REALTA’
Una mossa del genere, però, sarebbe poco utile. “L’equivalente di cassa (circa 93 miliardi di euro) costituisce solamente il 4% circa del debito nazionale dell’Italia”, fa presente Corbach. “Chiaramente, il problema del debito del Paese non verrebbe risolto dalla vendita dell’oro da parte della Banca d’Italia. Al contrario, secondo il nostro punto di vista, questa decisione potrebbe causare maggiori problemi”. In base all’articolo 30 del Trattato dell’Unione Europea, infatti, viene stabilita in modo inequivocabile l’indipendenza delle banche centrali nazionali e impedita ogni forma di finanziamento dello Stato. Salvini ha dimostrato ripetutamente negli ultimi mesi che il ritiro dell’Italia dall’UE per lui non rappresenta un’opzione praticabile, quindi “le sue dichiarazioni in merito alla vendita di oro da parte della Banca d’Italia possono quindi essere tranquillamente ignorate dagli operatori del mercato”.
2018: ANNO RECORD PER GLI ACQUISTI
La tendenza generale, infatti, è di segno opposto. “Le banche centrali di tutto il mondo sono state grandi acquirenti netti di oro durante l’anno solare 2018, incrementando le loro riserve di circa 650 tonnellate (con un aumento del 74% rispetto al 2017), cosa che le ha rese responsabili del 15% circa della domanda complessiva”, spiega l’esperto. Sono cifre che portano il 2018 al secondo posto nella classifica degli anni solari in cui sono stati effettuati più acquisti, superato solamente dal 1967, quando il dollaro Usa era ancorato al lingotto. Oggi si stima che le banche centrali possiedano, complessivamente, circa 34mila tonnellate di riserve di oro. Questo dato sembra destinato a salire ancora alla luce delle forti tensioni geopolitiche (l’oro spesso viene considerato l’ultimo “porto sicuro”) e del rafforzamento delle valute dei mercati emergenti (che richiedono meno supporto da parte delle banche centrali).
UN’ECCELLENTE FONTE DI DIVERSIFICAZIONE
E mentre lo scorso anno il prezzo dell’oro è leggermente sceso, quest’anno le aspettative riviste sui tassi di interesse reali e sull’andamento del dollaro lo hanno fatto salire, e questo rialzo potrebbe essere ulteriormente alimentato dalla domanda da parte delle banche centrali e di altri investitori alla ricerca di “porti sicuri”. In questo contesto, spiega Corbach, “crediamo che valga la pena di ricordare che l’oro (come le materie prime in generale) è un bene reale che può offrire una fonte di diversificazione eccellente e una protezione contro le perdite per i portafogli di investimento tradizionali”.