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Petrolio verso 85 dollari: bene Eni e Tenaris, ma occhio a inflazione e valute

La decisone dell’amministrazione americana di azzerare l'export di petrolio dall'Iran spinge la quotazione del greggio ai nuovi massimi da sei mesi

23 Aprile 2019 11:14

financialounge -  eni iran petrolio tenaris
Il mancato rinnovo, alla loro scadenza di inizio di maggio, delle esenzioni per l'import di petrolio iraniano a otto Paesi, tra cui anche l’Italia, ha spinto verso l'alto le quotazioni del petrolio, che è ai massimi da ottobre. Stamattina, un barile di Brent viene venduto a 74,38 dollari, uno di Wti a 65,92 dollari, in rialzo rispettivamente dello 0,46% e dello 0,56%. “Il prezzo del barile del brent può schizzare fino a 85 dollari. All’offerta globale – spiega Davide Tarabelli, presidente di Nomisma Energia - mancano o stanno venendo a mancare contemporaneamente l’Iran, la Libia, il Venezuela e, in parte, anche la Nigeria. Se non ci fosse l’apporto dello shale oil americano saremmo già oltre i 200 dollari”.

TRUMP: MOSSA A SORPRESA O PIANO CON ARABIA SAUDITA?


Nessun paese deve comprare più petrolio da Teheran se a sua volta non vuole finire sotto un regime di sanzioni americane. Il messaggio che è arrivato dal presidente Donald Trump è stato abbastanza chiaro e nei desiderata americani dovrebbe essere l’Arabia Saudita a sostituire l’Iran con un aumento della propria produzione, concedendo agli americani anche la fine dell’accordo OPEC sull’auto-restrizione dell’offerta. Quel che è certo è che appena una settimana fa la compagnia petrolifera statale di Riad Aramco ha emesso obbligazioni tra i 3 e i 30 anni per 12 miliardi di dollari, raccogliendo ordini per oltre 100 miliardi e potrebbe continuare a beneficiare di questo rally petrolifero anche se alla lunga, dopo avere fatto cassa, è probabile che anche agli arabi convenga riequilibrare il prezzo del greggio aumentandone la produzione. “Ma in questo momento – precisa Tarabelli - l’Arabia Saudita sta facendo esattamente il contrario: ha ridotto, d’accordo con la Russia, la sua produzione al minimo da 5 anni per sostenere le quotazioni del petrolio”.

Piazza Affari, il petrolio spinge al rialzo Eni, Saipem e Tenaris


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NEL BREVE BENEFICIO PER ENI E ALTRE OIL COMPANY


Chi potrebbe beneficiare dello stop alla deroga concessa dagli Usa all'export di greggio iraniano sono i titoli delle società italiane legate al settore oil. È il caso ad esempio di Eni che ha aperto in deciso rialzo oggi a 15,72 euro segnando un +0,3%. La compagnia del cane a sei zampe ha sottolineato che non subirà ripercussioni dalle decisioni dell’amministrazione Trump in quanto oltre a non essere presente da molto tempo Iran “non ha effettuato alcuna attività durante i mesi oggetto della proroga”. “Eni è una società più diversificata – ci ha spiegato Alessandro Allegri amministratore delegato di Ambrosetti AM Sim – ed ha dei ricavi che non dipendono solo dalla tematica del petrolio e per gli investitori è un titolo più difensivo, quasi da cassettista e ha già dimostrato di esserlo in fasi di ciclo economico negativo”. Ma a poter godere di un andamento positivo sui listini dovrebbe essere soprattutto Tenaris che è il maggior produttore e fornitore a livello globale di tubi e servizi per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas e che, non a caso, viene scambiata a 13,40 euro con una crescita del 2,70%. “La società tende ad amplificare – ha proseguito Allegri – il movimento del petrolio sia in positivo che in negativo. In questo scenario rialzista potrebbe essere avvantaggiata, lo abbiamo visto nel 2018 quando ha subito molto più le contrazioni del petrolio e come da inizio dell’anno stia performando bene, addirittura meglio del petrolio stesso”.

BREVE FIAMMATA DELL’INFLAZIONE, OCCHIO AL CAMBIO EURO DOLLARO


Nell’Eurozona, l’andamento dell’inflazione segue quello delle quotazioni del petrolio, essendo l’area importatrice di energia e risentendo, quindi, delle variazioni dei prezzi internazionali. Generalmente l’altalena dei prezzi del greggio si riflette sull’inflazione: variazioni dei prezzi del greggio sono accompagnate da variazioni altrettanto importanti del cross valutario tra le prime due valute mondiali. Quando il petrolio crolla di prezzo, il dollaro tende a rafforzarsi contro l’euro e, viceversa, quando s’impenna, il dollaro tende a perdere quota rispetto alla moneta unica. Se prendiamo in considerazione quello che è successo ad esempio tra il 2014 e il 2015 quando ci fu il crollo delle quotazione del greggio il Brent perse oltre il 46% e contestualmente il dollaro si apprezzò del 16% medio sull’euro. “Tuttavia a partire dalle analisi Goldman Sachs – ci spiega Emanuele Canegrati, senior analist di BpPrime – lo scenario più probabile è quello di una breve fiammata sia dell’inflazione che del petrolio ma la situazione dovrebbe presto rientrare nella normalità, non credo ad un forte rally sul petrolio e tantomeno sull’inflazione che negli ultimi anni non ha poi risentito più di tanto dell’altalena delle quotazioni del greggio anche per la capacità produttiva di altri paesi. Insomma la mossa di Trump non è tanto a sorpresa, l’amministrazione americana ha studiato bene la situazione e i mercati assorbiranno molto presto questa fiammata”. Secondo lo stesso report, nel secondo trimestre del 2019 il Brent potrebbe oscillare tra 70 e 75 dollari al barile.

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