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Erdogan e Trump: banche centrali, che sofferenza

Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan, mettono sotto pressione le proprie banche centrali perché abbassino i tassi ed Erdogan arriva a licenziarne il governatore. Ma Istanbul non è Wall Street e i mercati lo puniscono

9 Luglio 2019 08:40

financialounge -  banche centrali donald Trump Recep Tayyip Erdogan turchia
Cosa hanno in comune Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan? L’insofferenza per i rispettivi banchieri centrali che non li ascoltano quando chiedono di abbassare i tassi di interesse per far correre l’economia. Il governatore della banca centrale turca, Murat Cetinkaya, alle prese un anno fa con la crisi estiva di lira e debito turco, impiombati da un’inflazione a due cifre, aveva resistito fieramente alle pressioni del suo presidente e addirittura aveva alzato i tassi. Il mercato ne aveva premiato l’indipendenza e il coraggio favorendo un lento recupero della moneta e dei titoli di stato. Ma lunedì 8 luglio arriva a sorpresa la lettera di licenziamento firmata da Erdogan, e la lira turca soffre la peggior seduta da mesi, anche se dopo il tonfo iniziale recupera qualcosa. Anche a Washington Trump bombarda quotidianamente di tweet il capo della Fed Jay Powell perché abbassi i tassi. Finora Powell si è limitato ad ammorbidire la linea da falco e potrebbe anche decidersi a un taglio a fine mese.

NESSUN INVESTITORE TEME CHE DOLLARO E T-BOND PERDANO VALORE


Ma la reazione del mercato è totalmente diversa. L’economia americana, oltre a essere la prima del mondo, è anche molto solida. L’inflazione è praticamente assente e nessun investitore si immagina di fuggire da Wall Street perché teme che il dollaro o i T-bond perdano valore. Anzi, i timori nel caso americano sono di segno opposto, vale a dire puntano al rischio che i mercati abbiano corso troppo, e che i prezzi delle azioni ormai abbiano raggiunto un livello insostenibile. Non solo in America, ma in tutto il mondo. Proprio lunedì, mentre Erdogan licenziava Cetinkaya, la grande casa americana Morgan Stanley annunciava di aver ridotto le sue posizioni in azioni mondiali al livello più basso degli ultimi cinque anni, spiegando che le prospettive per i mercati azionari nei prossimi tre mesi sembrano particolarmente difficili, dopo una crescita del 16% messa a segno complessivamente dall’azionario mondiale da inizio anno.

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FORSE POWELL ACCONTENTERÀ TRUMP, MA PER BUONE RAGIONI


Secondo Morgan Stanley inoltre le previsioni sugli utili societari restano troppo ottimistiche, e non giustificano ulteriori rialzi dei prezzi delle azioni. E proprio questo potrebbe convincere Powell ad accontentare a fine luglio il suo presidente, nonostante un’economia che continua a creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro al mese. Tassi più bassi, infatti, aiuterebbero le imprese in Usa come nel resto del mondo a ricostituire i margini di guadagno e a rendere più credibili le attese di utili futuri. Per Erdogan lo scenario è molto diverso. Il rendimento del titolo decennale del debito pubblico supera il 7%, un costo di finanziamento molto elevato per lo Stato Turco. Trump invece può concedersi un tasso per la stessa durata inferiore al 2%, nonostante deficit e debito pubblico alle stelle.

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BOTTOM LINE


La bottom line è che probabilmente anche il successore di Cetinkaya accontenterà il suo presidente e abbasserà il tasso di riferimento della banca centrale, attualmente al 24%, contro il 2,5% della Fed Americana. Ma quale prezzo dovrà pagare la Turchia in termini di svalutazione della moneta e di costo del debito?

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