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Idee di investimento - Obbligazioni - 26 agosto 2019
Per l’ex governatore della Fed Alan Greenspan i tassi dei Treasury Usa possono andare sottozero. Il dollaro potrebbe indebolirsi supportando le valute e i bond emergenti a cominciare dal mercato obbligazionario cinese
26 Agosto 2019 10:01
TREASURY USA CON TASSI NEGATIVI? PERCHÉ NO
In base alle ultime stime, esistono circa 15mila miliardi di dollari di debito pubblico in tutto il mondo con un rendimento attualmente negativo. Tra i pochi grandi Paesi a essere esclusi da questo trend ci sono gli Stati Uniti, ma l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ritiene che non vi siano ragioni che impediscano ai Treasury Usa di unirsi al lungo elenco di governativi con tassi inferiori allo zero in circolazione. Alan Greenspan, che ha ricoperto la carica di presidente della banca centrale statunitense dal 1987 al 2006, nell’articolo Tassi Treasury Usa sottozero? Per Greenspan “non ci sono ostacoli” dichiara che “zero” non ha alcun significato effettivo per il mercato obbligazionario statunitense e che tassi al di sotto di quel livello psicologico, già superato da molti altri Paesi, non sarebbero inconcepibili per il debito statunitense. I commenti dell’economista di 93 anni si vanno ad aggiungere a quelli di un numero crescente di addetti ai lavori di Wall Street, che contemplano la reale possibilità che i tassi dei Treasury possano spingersi in territorio negativo. In un post sul blog datato 6 agosto, Joachim Fels, consulente economico globale per Pimco, ha affermato che l’escalation delle tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina potrebbe essere il driver capace di portare i Treasury a tassi inferiori allo zero. Intanto il rendimento del Treasury Usa a 10 anni è crollato dal 2,67% di inizio anno all’1,56% di venerdì 16 agosto e si è quasi dimezzato rispetto al 2,87% di 12 mesi prima. Un trend che potrebbe proseguire sia perché i governativi Usa sono ritenuti un bene rifugio per eccellenza e questa fase di avversione al rischio spinge gli investitori verso questa asset class e sia perché sono tra i pochi titoli di stato di un paese “core” ad offrire un rendimento positivo.
LA DEBOLEZZA DI EURO E YUAN RISPETTO AL DOLLARO
Se i rendimenti dei Treasury Usa continuano a calare è probabile che possa indebolirsi anche la domanda di dollari. A questo proposito, nell’articolo Fine della guerra commerciale? Se il dollaro si indebolisce come nel 1985 si illustra come, un accordo globale per indebolire il biglietto verde come quello del 1985, potrebbe offrire una tabella di marcia per porre fine alla guerra commerciale. Il riferimento è all’accordo del 1985 – il cosiddetto accordo del Plaza che prese il nome dall’Hotel Plaza di New York, dove i ministri delle finanze e i banchieri centrali di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone e Francia siglarono l’intesa per frenare l’apprezzamento del dollaro. Il dollaro forte di oggi e il crescente deficit fiscale e commerciale degli Stati Uniti offrono paralleli intriganti con la metà degli anni ’80. Conflitti sulla politica commerciale e preoccupazioni per un crescente potere economico rivale – con la Cina ora al posto del Giappone di allora – sono altrettanti elementi di similitudine. Ma gli addetti ai lavori restano scettici sulla possibilità che i responsabili politici di oggi possano escogitare nel prossimo futuro qualcosa di simile a quanto accaduto nel 1985. Da un lato, le autorità politiche di Pechino sono certamente consapevoli che l’accordo di 34 anni fa decretò il successivo cosiddetto “decennio perduto” del Giappone, ovvero i 10 anni in cui l’economia di Tokyo fu caratterizzata da crescita anemica e deflazione con una pesante ristrutturazione del sistema bancario. Inoltre l’accordo del Plaza fu forgiato in un momento storico nel quale gli Stati Uniti erano il leader indiscusso dell’ordine economico mondiale. “In un mondo multipolare e che si avvia verso la de-globalizzazione, un tale evento resta altamente improbabile”, ha ammesso Thierry Wizman, economista del gruppo Macquarie, che ha poi aggiunto: “Oltretutto c’è anche la situazione in Europa che evidenzia una crescita lenta che necessita di un euro debole per poter competere nei mercati internazionali”. Kamal Sharma, strategist valutario presso Bank of America Merrill Lynch, dal canto suo, ha sottolineato un’altra differenza di rilievo tra oggi e gli anni ’80. Molti paesi, tra cui Francia e Germania, nel 1985 erano preoccupati per l’indebolimento delle loro valute rispetto al dollaro Usa, il che li convinse a sponsorizzare gli sforzi internazionali per indebolire il biglietto verde. “Ora, i cambi valutari costituiscono una componente fondamentale dell’arsenale politico, e sia l’Europa che il Giappone stanno puntando a un indebolimento delle proprie valute e non certo a una rivalutazione rispetto al dollaro”.
I MERCATI EMERGENTI SUI QUALI PUNTARE
Resta il fatto che un indebolimento del biglietto verde fornirebbe un formidabile supporto alle valute emergenti in quanto il debito in dollari contratto dai paesi in via di sviluppo risulterebbe meno oneroso. In quest’ottica, per Magda Branet, Senior Emerging Markets fund manager di CANDRIAM, è probabile che gli istituti centrali di diversi Paesi emergenti seguano l’esempio della banca centrale Usa e allentino la politica monetaria nei prossimi mesi. “Nei prossimi 3/6 mesi, Brasile, Indonesia, Sudafrica, Malesia o Repubblica Ceca dovrebbero tagliare i tassi di interesse creando condizioni favorevoli per le obbligazioni emergenti denominate in valuta locale. Ciò dovrebbe contribuire inoltre a porre un limite a un peggioramento delle prospettive di crescita per i mercati emergenti, che alla fine dovrebbe risultare di supporto anche ai bond in valuta forte”, puntualizza Branet nell’articolo Banche centrali emergenti in scia alla Federal Reserve. L'esperta si concentra su quei Paesi che hanno “spazio per tagliare i tassi, in altre parole quelli con piccoli squilibri esterni e rischi fiscali da bassi a moderati come ad esempio i Paesi dell’Europa centrale e orientale, il Perù, il Cile e la maggior parte delle economie asiatiche”. In valuta forte, invece, Branet predilige “posizioni in crediti sovrani con una traiettoria fiscale in miglioramento, spesso sotto l’egida di un programma del Fmi (Ucraina, Egitto)”. Da evitare invece Tunisia, Pakistan, Sri Lanka; Paesi in cui, secondo CANDRIAM, le dinamiche fiscali stanno peggiorando.
DEBITO CINESE, RENDIMENTI INTERESSANTI
Restando nell’ambito del debito emergente, la decisione delle autorità cinesi di aprire maggiormente agli investitori esteri porterà il grande mercato obbligazionario del Dragone a sperimentare una rapida crescita. In un contesto come l’attuale, segnato da una continua ricerca di rendimento, l’accesso a un mercato obbligazionario così ampio e liquido, che offre il potenziale di rendimenti reali positivi, appare interessante, soprattutto nella prospettiva di ingenti afflussi dall’estero che dovrebbero materializzarsi in seguito all’inclusione in vari indici. Il mercato obbligazionario onshore cinese ha un valore di circa 13 mila miliardi di dollari Usa ed è il secondo mercato più grande al mondo, spiegano nell’articolo Il mercato obbligazionario cinese si apre agli investitori stranieri James Blair e Harry Phinney, direttori degli investimenti nel reddito fisso di Capital Group. Il mercato “presenta inoltre una crescente liquidità e un volume sempre maggiore di contrattazioni, e secondo l’EMTA Debt Trading Volume Survey si colloca stabilmente tra i cinque maggiori mercati di obbligazioni governative in valuta locale dei mercati emergenti”, aggiunge la nota. Questo mercato si espanderà ancor più rapidamente nei prossimi anni per soddisfare le esigenze di finanziamento della seconda economia mondiale.
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