Brexit

Mercati al bivio d’autunno: picco toccato o ripartenza?

Da 12 mesi Wall Street e l’Europa si muovono in laterale, con forti alti e bassi. Giocano a favore i fondamentali americani ancora solidi, e a sfavore tutte le incertezze, dalla Cina alla Brexit fino all’Italia

2 Settembre 2019 09:45

financialounge -  Brexit crisi di governo italia mercati Weekly Bulletin yuan
Possiamo intonare con i Righeira dei dorati anni 80 che l’estate sta finendo. L’anno che se ne va è stato movimentato, ma alla fine sembra un gioco dell’oca dove si torna al punto di partenza. L’indice S&P 500 di Wall Street aveva chiuso agosto del 2018 appena sopra 2900 punti e venerdì 30 di quest’anno ha finito a una venticinquina di punti sopra, un movimento sotto l’1%. L’europeo STOXX 600 racconta una storia ancora più piatta, in un anno è passato da poco sopra 380 punti ad appena sotto. In mezzo però ci sono state oscillazioni importanti, su un arco di oltre il 20% con gli estremi a 3028 e 2346 per l’S&P 500. Il mercato si prepara al ritorno al lavoro dopo il lungo weekend del Labor Day, che gli americani quest’anno celebrano il 2 settembre, alla ricerca di una direzione dopo una lunga fase ‘laterale’. Sta formando una base per ripartire alla ricerca di nuovi massimi? Oppure i record toccati sopra 3000 a luglio dallo S&P 500 segnano il top del lungo ciclo al rialzo? La risposta a questa bella domanda ha due corni. Quello delle incertezze, che si chiamano Guerra dei Dazi, Brexit, Hong Kong, Italia, possibili contagi ‘argentini’, recessione. E quello dei fondamentali solidi dell’economia americana, nonostante il rallentamento globale.


IL REBUS DI POWELL: SPIEGARE PERCHÉ TAGLIA I TASSI


Cominciamo dall’America. Per Jay Powell non sarà semplice motivare il prossimo taglio dei tassi americani al FOMC del 17-18 settembre, che il mercato prezza al 75% per almeno un quarto di punto, con attese di altre due repliche di qui a fine 2019. Il flusso di dati che arriva dall’economia reale americana è decisamente positivo, a cominciare dai consumi che ormai rappresentano il 70% del prodotto interno lordo americano e che a luglio sono cresciuti dello 0,6% mese su mese con le vendite al dettaglio in aumento dello 0,7%. Intanto gli utili della corporate America vanno alla grande, in crescita tra il 3 e il 4% secondo i dati appena usciti sul secondo trimestre, mentre non ci sono segni di stress finanziario delle famiglie. L’indice che misura questo fattore a luglio si è cifrato a 3,71, poco sopra il 3,63 di giugno, contro una media storica del 7,16. A questo si aggiunge un Pil atteso al 2,0- 2,3% nel terzo trimestre, in accelerazione dal 2,0% rivisto del secondo. Il capo della Fed dovrà andare a cercare le motivazioni del taglio in arrivo fuori dai confini nazionali, in giro per il resto del mondo, a cominciare probabilmente dalla Cina.


XI AL GUADO PIÙ DIFFICILE, LA CINA RISCHIA DI FARSI MALE


Il presidente a vita Xi Jinping si trova ad attraversare il guado più complicato della sua leadership: su una sponda la Guerra dei Dazi con gli americani, probabilmente destinata ad andare avanti per altri 15 mesi fino alle presidenziali del 2020, con le sue pericolose appendici sul fronte delle valute, leggasi indebolimento dello Yuan, mentre sull’altra sponda incombe il confronto con la protesta di Hong Kong, anche questa apparentemente destinata a durare, con tutti i rischi di contagio nella ‘grande Cina’. I due fattori di rischio per Xi sono strettamente collegati: l'impatto dei dazi americani e dell’indebolimento dello Yuan, finora in qualche modo pilotato per sostenere le esportazioni, potrebbe penalizzare l’economia cinese più del previsto, sia sul lato dei consumi interni che dei movimenti di capitali, che a un certo punto potrebbero decidere di andarsene in massa per il timore di una svalutazione dello Yuan fuori controllo. Su FinanciaLounge abbiamo scritto di recente che nella guerra delle valute la Cina può essere la prima a farsi male. Un’opinione autorevolmente confermata sul FT del 28 agosto da una lunga e accurata analisi di David Lubin, responsabile Economie Emerging Markets di Citi, secondo cui i numeri dei flussi di capitali sono già abbastanza allarmanti.

La manna dei tassi Btp non va lasciata sulla carta


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ARGENTINA, DEFAULT A VITA. BREXIT, LA SCOMMESSA DEL NO-DEAL


Finiamo il giro con l’Europa, su cui incombono le incognite Brexit e Italia, e con l’Argentina, che sta cercando disperatamente di evitare il nono default conclamato della sua storia, anche se quello ‘tecnico’ è già scattato. Il paese sudamericano è un buon esempio di quanto sia pericoloso infischiarsene del giudizio dei mercati e giocare a dadi con il debito sovrano, particolarmente istruttivo per gli apprendisti stregoni italiani fautori dei mini-Bot e dell’Italexit. Prima del default del 2000, in cui tanti piccoli investitori sono rimasti scottati, il cambio peso/dollaro era 1 a 1. Vent’anni dopo ci vogliono 60 peso per comprare un dollaro. Poi c’è la Brexit, con la mossa spregiudicata ma dentro le regole del premier Boris Johnson di mandare in vacanza forzata il Parlamento per avere le mani libere, anche a costo di un no-deal. Dal referendum di 3 e passa anni fa non si contano le previsioni di catastrofi da Brexit, ma tutto sommato oggi il tutto si cifra in una svalutazione della sterlina del 14% su dollaro, il che non ha fatto troppo male a un’economia che continua a crescere oltre l’1%, meglio del resto d’Europa. Per David Folkerts-Landau, un economista tedesco spesso contrarian ma spesso nel giusto, un no-deal “non sarebbe la fine del mondo” e la Gran Bretagna ne potrebbe uscire bene dopo un impatto negativo immediato. Italia per finire. I mercati restano moderatamente positivi su un’uscita non traumatica dalla crisi, ma per ora sembra ancora un atteggiamento opportunistico, per una valutazione definita bisognerà aspettare un po’.


BOTTOM LINE


Il finale del 2019 potrebbe somigliare a quello del 2016, quando i mercati presero la rincorsa per andare a violare nuovi massimi l’anno dopo. Ma anche a quello orribile del 2018, salvato a cavallo d’anno dalla conversione da falco a colomba del capo della Fed Powell. Il vento a favore delle banche centrali è acquisito, ma anche scontato e già prezzato. Dopo le emozioni di agosto serve qualche ragionamento in più e qualche algoritmo in meno.

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