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I dazi fanno crescere l’inflazione? No, per il momento

Negli Stati Uniti i prezzi al consumo non sembrano risentire dei dazi. E per il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley Investment Management un rischio per il futuro è rappresentato da un’eventuale azione eccessiva della Federal Reserve nel combattere l’inflazione

19 Settembre 2019 14:50

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La guerra commerciale in atto tra Stati Uniti e Cina è sicuramente l’argomento del giorno, influenza l’andamento dei mercati finanziari in negativo quando Trump con un tweet minaccia l’introduzione di nuovi dazi, in positivo quando un accordo tra i due paesi sembra più vicino. Da marzo 2018 ad oggi, l’amministrazione Trump ha applicato dazi per 250 miliardi di dollari, determinando un calo della quota delle importazioni cinesi totali negli Stati Uniti, passata dal 20% al 17,5%. A fine 2018, più del 46% delle importazioni provenienti dalla Cina era soggetto a dazi.

UN RAPPORTO DA CAPIRE


C’è tuttavia un aspetto di questa guerra commerciale che solleva perplessità. I dazi, per definizione, fanno innalzare il costo dei beni e dovrebbero quindi determinare un aumento dell’inflazione, eppure negli Stati Uniti l’inflazione complessiva è scesa all’1,6% a giugno. Per spiegare questo apparente paradosso, gli esperti del team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley Investment Management, in un loro recente rapporto, ricorrono all’immagine di un braccio di ferro tra l’impatto inflazionistico dei dazi e i loro effetti deflazionistici, come il rallentamento della crescita globale, il rafforzamento del dollaro statunitense e il calo della domanda di materie prime.

SPINTE INFLAZIONISTICHE DA DAZI E SALARI


Nel 2018 i prezzi del settore manifatturiero interno negli Stati Uniti sono aumentati dell’1,1% a causa dei dazi mentre, per effetto della rigidità del mercato del lavoro, la crescita dei salari si attesta oggi al +3% su base annua, il livello più elevato dalla crisi finanziaria globale. In condizioni normali, l’aumento dei dazi e la crescita salariale alimenterebbero le attese di un aumento dell’inflazione. Tuttavia, come evidenziato da Morgan Stanley Investment Management, a contrastare queste spinte inflazionistiche sono intervenute la debole crescita globale, in particolare in Cina, il calo dei prezzi del petrolio, il rafforzamento del dollaro e l’assorbimento del rincaro dei prezzi dei beni intermedi da parte dei produttori finali.

I RISCHI DI ESERCITARE TROPPA FORZA


I tagli dei tassi operati dalla Fed potrebbero comportare rischi in futuro, è il timore degli esperti di Morgan Stanley IM. “Questi fattori – si legge nel rapporto – potrebbero segnare un’inversione di marcia in seguito a un orientamento accomodante della Fed e a uno stimolo governativo concentrato sulle elezioni”. In genere, gli esiti economici delle azioni adottate dalla Fed diventano evidenti solo 12-18 mesi dopo l’implementazione; durante il periodo di attesa alcuni dei fattori che hanno finora contenuto l’inflazione potrebbero svanire o compiere un’inversione. “Qualora la Fed reagisse in maniera eccessiva per far fronte all’indebolimento dell’inflazione, potrebbe in seguito ritrovarsi costretta a fare un brusco dietrofront”.

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IL VINCITORE DEL BRACCIO DI FERRO E’…


Nel breve termine, secondo Morgan Stanley IM, a vincere l’attuale “braccio di ferro” saranno le forze che stanno limitando l’inflazione, mantenendola nell’intervallo dell’1,6-2,0%. La minaccia di Trump di imporre dazi del 10% sulle attuali importazioni cinesi, per un valore di 300 miliardi di dollari, presenta un rischio reale di trasmissione più rapida dell’inflazione, dal momento che il 60% di queste importazioni riguarda beni di consumo. Sul fronte opposto, tuttavia, gli ultimi dati macro continuano a evidenziare forti tendenze deflazionistiche nei prezzi alla produzione.

POSIZIONAMENTO DIFENSIVO SULL’AZIONARIO


“Le tensioni commerciali difficilmente svaniranno, ma potrebbero rivelarsi considerevolmente altalenanti” è la conclusione del team di gestione della strategia multi-asset [tooltip-fondi codice_isin="LU0694238501"]Global Balanced Risk Control[/tooltip-fondi] di Morgan Stanley IM. Considerando il quadro attuale, l’assenza di catalizzatori sui dati fondamentali e l’ulteriore calo della fiducia delle imprese, la strategia mantiene un posizionamento difensivo, con un’esposizione relativamente bassa all’azionario. “Sebbene gli investitori possano non “amare” i dazi, almeno il loro effetto inflazionistico appare attualmente contenuto a fronte delle altre dinamiche in gioco”.

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