Mina Shankar
Schroders: male i titoli energetici, solo una scossa può risvegliarli
Le società del settore energetico non hanno seguito il rally del prezzo del petrolio: ecco come posizionarsi per cogliere i benefici di una eventuale svolta positiva
25 Ottobre 2019 07:00
Se si mettono a confronto le quotazioni del petrolio con l’andamento del settore energetico statunitense – misurato in base all’indice S&P 500 energy sector – dal 2000 a oggi si nota una stretta relazione fino al 2016. Da allora, però, dopo aver toccato un prezzo minimo nel primo trimestre del 2016, il greggio ha successivamente imboccato un rally rialzista con un apprezzamento di 21 dollari al barile mentre le azioni del settore energetico hanno registrato una performance inferiore del 12% annuo rispetto all’indice generale di mercato S&P 500.
“Il team Multi-Asset di Schroders mantiene una esposizione neutrale sul settore energetico. È vero che i titoli di questo settore presentano valutazioni interessanti ma è altrettanto vero che non scorgiamo un driver in grado di propiziare una inversione di tendenza positiva delle performance. Riteniamo che occorra aspettare un cambiamento nel trend dei dati ciclici che, nel momento in cui segnaleranno una ripresa più sostenibile, apriranno interessanti opportunità d’investimento nel segmento dell’energia” puntualizza Mina Shankar, Analyst Multi-Asset Investments di Schroders.
Un posizionamento che prende atto del fatto che, sebbene i margini di profitto delle aziende energetiche abbiano una stretta relazione alle quotazioni petrolifere, qualcosa è cambiato negli ultimi tre anni. Il problema non è nelle valutazioni che ora, in base al rapporto prezzo/valore patrimoniale (P/B), si trovano nel percentile più basso degli ultimi 30 anni, quanto nelle prospettive di crescita: in base al consenso degli analisti le possibilità che si materializzi un miglioramento dei profitti è piuttosto limitata e gli investitori azionari preferiscono orientarsi su compagnie che presentino prospettive più dinamiche per gli utili.
“A questo sentiment avverso da parte degli investitori si vanno ad aggiungere le tensioni commerciali tra Washington e Pechino, i segnali di recessione della curva dei rendimenti Usa e i timori sulle possibili ripercussioni negative di una Brexit disordinata sull’area Euro. Elementi che determinano un freno per la crescita globale e quindi per la domanda anche di petrolio” spiega Shankar.
Secondo l’esperta non va nemmeno tralasciato l’altro fronte di sfida che il settore si trova ad affrontare, quello relativo alla transizione verso soluzioni energetiche di ultima generazione. In base alle previsioni i costi delle fonti di energia rinnovabile dovrebbero scendere, sulla scia non soltanto degli sviluppi tecnologici ma anche dalle sempre maggiori economie di scala, provocando ulteriori pressioni a livello di competitività.
Ecco perché, conclude Shankar, le possibilità di un ritorno a performance superiori alla media di mercato da parte del settore energetico sono strettamente legate ad una forte ripresa del ciclo economico. Per il momento, sul piatto della bilancia nelle scelte degli investitori, pesa molto di più la trade war per il suo significativo impatto sulla domanda di petrolio a livello globale rispetto ai rischi geopolitici per lo più di portata temporanea e limitati al Medio Oriente.
ESPOSIZIONE NEUTRALE, MA PRONTI A SFRUTTARE UN RECUPERO
“Il team Multi-Asset di Schroders mantiene una esposizione neutrale sul settore energetico. È vero che i titoli di questo settore presentano valutazioni interessanti ma è altrettanto vero che non scorgiamo un driver in grado di propiziare una inversione di tendenza positiva delle performance. Riteniamo che occorra aspettare un cambiamento nel trend dei dati ciclici che, nel momento in cui segnaleranno una ripresa più sostenibile, apriranno interessanti opportunità d’investimento nel segmento dell’energia” puntualizza Mina Shankar, Analyst Multi-Asset Investments di Schroders.
VALUTAZIONI CONVENIENTI
Un posizionamento che prende atto del fatto che, sebbene i margini di profitto delle aziende energetiche abbiano una stretta relazione alle quotazioni petrolifere, qualcosa è cambiato negli ultimi tre anni. Il problema non è nelle valutazioni che ora, in base al rapporto prezzo/valore patrimoniale (P/B), si trovano nel percentile più basso degli ultimi 30 anni, quanto nelle prospettive di crescita: in base al consenso degli analisti le possibilità che si materializzi un miglioramento dei profitti è piuttosto limitata e gli investitori azionari preferiscono orientarsi su compagnie che presentino prospettive più dinamiche per gli utili.
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SENTIMENT NEGATIVO DEGLI INVESTITORI
“A questo sentiment avverso da parte degli investitori si vanno ad aggiungere le tensioni commerciali tra Washington e Pechino, i segnali di recessione della curva dei rendimenti Usa e i timori sulle possibili ripercussioni negative di una Brexit disordinata sull’area Euro. Elementi che determinano un freno per la crescita globale e quindi per la domanda anche di petrolio” spiega Shankar.
LA CONCORRENZA DELLE FONTI ENERGETICHE ALTERNATIVE
Secondo l’esperta non va nemmeno tralasciato l’altro fronte di sfida che il settore si trova ad affrontare, quello relativo alla transizione verso soluzioni energetiche di ultima generazione. In base alle previsioni i costi delle fonti di energia rinnovabile dovrebbero scendere, sulla scia non soltanto degli sviluppi tecnologici ma anche dalle sempre maggiori economie di scala, provocando ulteriori pressioni a livello di competitività.
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FUTURO LEGATO ALLA RIPRESA ECONOMICA
Ecco perché, conclude Shankar, le possibilità di un ritorno a performance superiori alla media di mercato da parte del settore energetico sono strettamente legate ad una forte ripresa del ciclo economico. Per il momento, sul piatto della bilancia nelle scelte degli investitori, pesa molto di più la trade war per il suo significativo impatto sulla domanda di petrolio a livello globale rispetto ai rischi geopolitici per lo più di portata temporanea e limitati al Medio Oriente.