Africa

Draghi lascia da eroe, il cuneo di Putin tra Usa e Cina

SuperMario lascia da eroe la guida della Bce dopo aver salvato l’euro e l’Ue grazie alla sua capacità di imporsi. Settimana importante anche per lo zar russo, 'terzo comodo' nella contesa tra Cina e Usa

di Stefano Caratelli 28 Ottobre 2019 09:38

financialounge -  Africa dazi Mario Draghi Vladimir Putin Weekly Bulletin
Quella che ci siamo lasciati alle spalle è stata sicuramente la settimana di SuperMario Draghi, uscito di scena tra gli applausi globali giovedì 24 ottobre in una lunga conferenza stampa in cui ha puntigliosamente rivendicato i risultati raggiunti in otto anni alla guida della Bce – leggasi aver salvato l’euro e probabilmente l’intero edificio dell’Unione Europea dalla catastrofe – e ha avvertito che se si dovesse deviare dalla sua politica il rischio è una recessione che potrebbe causare seria instabilità finanziaria. Ma è stata anche, pure se meno ‘sparata’ sui media occidentali, la settimana dello zar Vladimir Putin. Sta uscendo come vincitore indiscusso della lunghissima guerra siriana insieme al suo alleato locale di sempre Bashar al-Assad, guarda caso al potere come lui da 19 anni. E ha riunito a Sochi tutti i leader africani nel primo vertice della storia tra Russia e Paesi del grande continente, facendo in contemporanea atterrare a Pretoria, in Sud Africa, due mega bombardieri nucleari a simboleggiare sia la forza militare russa, sia la vicinanza con la principale potenza economica e militare del continente.


PUTIN MUSCOLARE IN MEDIO ORIENTE E AFRICA NON DISPIACE A TRUMP


A Donald Trump un Putin muscolare in Medio Oriente e in Africa tutto sommato non dispiace. Nel primo caso perché è più facile andare d’accordo con lo zar che con gli Ayatollah di Teheran, anche perché gli interessi strategici americani sono protetti dagli alleati sauditi e israeliani armati fino ai denti, e poi perché se Vladimir combina qualche pasticcio alla fine il problema è degli europei, i profughi a milioni se li beccano loro, non certo gli americani. Anche nel secondo caso, cioè l’Africa, le mire di Putin sul continente ricchissimo di materie prime e che promette finalmente crescita economica non dispiacciono certo a Trump. Una Russia più forte in Africa vuol dire contenimento della silenziosa invasione cinese. Se lo zar apre nel continente un nuovo fronte con Pechino è un problema in più per Xi Jinping, già alle prese con la guerra dei dazi con gli stessi americani e con Hong Kong.


PER L’IMPERO RUSSO LA GRANDE DIMENSIONE E’ ANCHE UNA VULNERABILITÀ


Anche per l’inquilino del Cremlino non mancano le convergenze di interessi con l’America di Trump, anche se è meglio non sbandierarle. La sterminata Russia orientale, poco popolata e ricchissima di risorse naturali, è separata dalla popolatissima Cina da un confine lungo oltre 4.200 km, che si raddoppiano se si considera il confine con la Mongolia che ha la Russia da una parte e la Cina dall’altra, per arrivare quasi a 10.000 km se si considerano i 1.200 km del confine con il Kazakhstan, anche qui con la Russia dall’altra parte. In termini di geopolitica tradizionale, i confini russi sono molto più vulnerabili e difficili da difendere a Sud-Est che non a Nord-Ovest con l’Europa, dove sono già dislocate risorse militari strategiche tali da scoraggiare qualsiasi tentazione bellicosa. Una Cina tenuta sotto pressione dagli americani con la guerra dei dazi è qualcosa che sicuramente non dispiace ai russi. Anche perché la loro competizione con gli americani è esclusivamente politico-militare, non tecnologica, commerciale ed economica come quella tra Washington e Pechino.

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DRAGHI HA INVENTATO UN ARSENALE NUCLEARE MONETARIO


Torniamo a SuperMario. Come Putin nel 2000, che ha preso in mano un ex-impero che stava andando in mille pezzi che rischiava di far diventare l’ex Urss una sterminata area balcanica e lo ha saputo rimettere insieme costruendosi una rispettabile terza posizione tra le superpotenze globali, anche Draghi nel 2011 ha preso in mano una moneta unica che rischiava la morte prematura a 10 anni dalla nascita con il rischio di una deflagrazione che avrebbe potuto far saltare in aria l’intero edificio dell’Unione Europea costruito nei sessant’anni dopo la fine della guerra mondiale. Draghi non aveva ereditato un arsenale nucleare, ma ne ha inventato uno monetario abbastanza potente da far desistere e abbandonare i nemici esterni e soprattutto interni dell’euro. Il problema di Christine Lagarde che gli succede non è cosa fare – lo sa benissimo, ha detto lo stesso Draghi – ma riuscire a farlo. Per riuscirci non basta stare seduti sulla poltrona presidenziale. Ci vuole carattere, visione e personalità.


BOTTOM LINE


Una volta si diceva che sono le istituzioni a fare l’uomo. Oggi il paradigma sembra invertito. L’istituzione per quanto prestigiosa rischia di non bastare se a guidarla non c’è la persona giusta. Vale per le banche centrali, per i governi, ma anche per l’economia reale fatta di imprese guidate da persone. Nell’era della robotica e dell’intelligenza artificiale sembra proprio la rivincita del fattore umano.

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