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La crisi coronavirus vista da Luca Tobagi di Invesco: ambiente e salute
Nella seconda parte delle riflessioni sulle conseguenze della pandemia di coronavirus l’attenzione si sposta sulla salute, con una domanda provocatoria: siamo sicuri che la cura non sia più dannosa del male?
22 Aprile 2020 15:22
La prima parte di “Don’t look back in anger”, la mini serie di riflessioni sulle conseguenze del coronavirus su economia e società, ha riguardato i provvedimenti presi dalle istituzioni e il successivo dibattito che ne è scaturito. In questa “seconda puntata” Luca Tobagi, CFA, Investment Strategist, Product Director di Invesco, si sofferma sugli aspetti che riguardano ambiente e salute ponendo lo sguardo sul presente e sul futuro prossimo. Si tratta di scenari ipotetici all’estremo opposto di un possibile ritorno alla vita di prima della pandemia.
Un ragionamento che parte dalla constatazione di come alcune misure restrittive che all’inizio dell’emergenza sembrava essere intollerabili siano diventate, man mano, poco più di uno zuccherino. “In questo esercizio di riflessione fatto volutamente a posteriori – commenta Tobagi – abbiamo assistito a un campionario di atteggiamenti psicologici noti all’economia comportamentale. Si è spaziato dal classico ‘non può capitare a me’ a ‘è solo un’influenza’ fino a ‘ il mondo del lavoro deve andare avanti’. Nel frattempo il virus si è propagato indisturbato quando forse sarebbe bastato controllare e tenere in quarantena chi arrivava dalla Cina tra gennaio e febbraio”.
Ad ingannarci, sottolinea l’esperto di Invesco, è stato il focus iniziale sulla letalità del virus. La vera minaccia del covid-19, infatti, non era la mortalità “ma l’incapacità dei sistemi sanitari di gestire la criticità della situazione emergenziale oltre alla normale attività”. E difficilmente, secondo Luca Tobagi, al termine dell’emergenza si parlerà delle persone decedute perché affette da altre patologie che gli ospedali, assorbiti dal coronavirus, non hanno potuto trattare adeguatamente.
Un altro aspetto legato alla salute è certamente quello ambientale. L’inquinamento atmosferico favorisce la diffusione del coronavirus? Una domanda che molti di noi, in queste settimane, si sono posti. Sovrapponendo le mappe di concentrazione del Pm10 con quelle dei contagi può sorgere più di un sospetto. “Vari studi hanno rilevato una relazione interessante tra inquinamento e contagi, e la presenza di polveri sottili potrebbe aver agito da potenziatore della capacità di propagazione del virus”, sottolinea Tobagi.
In effetti il rallentamento dell’attività economica umana imposto dalla pandemia ha provocato una diminuzione dell’inquinamento atmosferico che, a sua volta, incide negativamente sulla salute degli esseri umani. Ma Tobagi mette sul tavolo un altro spunto, partendo dalle tante ricerche accademiche che dimostrano lo stretto legame tra salute e reddito. Detto in altre parole: chi ha redditi più elevati può curarsi meglio, e quindi si ammala e muore di meno.
Le ulteriori domande da porsi, quindi, sono: limitare l’attività economica, con conseguenze pesanti per chi guadagna già poco, induce a curarsi di meno? Ci saranno più morti provocati dalla possibile minore capacità di curarsi rispetto a quelli potenzialmente causati dal coronavirus dal maggiore inquinamento? A che punto le misure di contenimento di una malattia contagiosa rischiano di diventare controproducenti? “Non esiste una risposta univoca e valida per tutti i casi – conclude Tobagi - ma è un fatto estremamente positivo che la riflessione di politica economica abbia cominciato a svilupparsi in più direzioni contemporaneamente. Ragionamenti più maturi e complessi per scenari incerti e complessi”.
MANUALE DI PSICOLOGIA
Un ragionamento che parte dalla constatazione di come alcune misure restrittive che all’inizio dell’emergenza sembrava essere intollerabili siano diventate, man mano, poco più di uno zuccherino. “In questo esercizio di riflessione fatto volutamente a posteriori – commenta Tobagi – abbiamo assistito a un campionario di atteggiamenti psicologici noti all’economia comportamentale. Si è spaziato dal classico ‘non può capitare a me’ a ‘è solo un’influenza’ fino a ‘ il mondo del lavoro deve andare avanti’. Nel frattempo il virus si è propagato indisturbato quando forse sarebbe bastato controllare e tenere in quarantena chi arrivava dalla Cina tra gennaio e febbraio”.
SBAGLIATO CONCENTRARSI SOLO SULLA LETALITÀ
Ad ingannarci, sottolinea l’esperto di Invesco, è stato il focus iniziale sulla letalità del virus. La vera minaccia del covid-19, infatti, non era la mortalità “ma l’incapacità dei sistemi sanitari di gestire la criticità della situazione emergenziale oltre alla normale attività”. E difficilmente, secondo Luca Tobagi, al termine dell’emergenza si parlerà delle persone decedute perché affette da altre patologie che gli ospedali, assorbiti dal coronavirus, non hanno potuto trattare adeguatamente.
La crisi coronavirus vista da Luca Tobagi di Invesco: economia e politica
La crisi coronavirus vista da Luca Tobagi di Invesco: economia e politica
IL FATTORE INQUINAMENTO ATMOSFERICO
Un altro aspetto legato alla salute è certamente quello ambientale. L’inquinamento atmosferico favorisce la diffusione del coronavirus? Una domanda che molti di noi, in queste settimane, si sono posti. Sovrapponendo le mappe di concentrazione del Pm10 con quelle dei contagi può sorgere più di un sospetto. “Vari studi hanno rilevato una relazione interessante tra inquinamento e contagi, e la presenza di polveri sottili potrebbe aver agito da potenziatore della capacità di propagazione del virus”, sottolinea Tobagi.
REDDITO E CURE MEDICHE
In effetti il rallentamento dell’attività economica umana imposto dalla pandemia ha provocato una diminuzione dell’inquinamento atmosferico che, a sua volta, incide negativamente sulla salute degli esseri umani. Ma Tobagi mette sul tavolo un altro spunto, partendo dalle tante ricerche accademiche che dimostrano lo stretto legame tra salute e reddito. Detto in altre parole: chi ha redditi più elevati può curarsi meglio, e quindi si ammala e muore di meno.
LE CONSEGUENZE DELLE RESTRIZIONI
Le ulteriori domande da porsi, quindi, sono: limitare l’attività economica, con conseguenze pesanti per chi guadagna già poco, induce a curarsi di meno? Ci saranno più morti provocati dalla possibile minore capacità di curarsi rispetto a quelli potenzialmente causati dal coronavirus dal maggiore inquinamento? A che punto le misure di contenimento di una malattia contagiosa rischiano di diventare controproducenti? “Non esiste una risposta univoca e valida per tutti i casi – conclude Tobagi - ma è un fatto estremamente positivo che la riflessione di politica economica abbia cominciato a svilupparsi in più direzioni contemporaneamente. Ragionamenti più maturi e complessi per scenari incerti e complessi”.