Argentina
"L’Argentina si prepara a far piangere ancora gli investitori"
Il default numero nove si avvicina per l'Argentina e secondo l’affiliata Legg Mason Martin Currie il paese dovrà tagliare i ponti con gli investitori internazionali
19 Giugno 2020 21:00
Per Kim Catechis, Head of Investment Strategy di Martin Currie, affiliata Legg Mason, è la ‘Cronaca di una morte annunciata’ che vede l’Argentina tagliare i ponti con gli investitori internazionali. Venerdì 19 giugno infatti sono venuti a scadenza i termini entro cui i maggiori creditori del paese sudamericano potevano accettare l’ultima offerta del governo di Buenos Aires, con negoziati sempre più tesi che indurranno le autorità argentine o a estendere la scadenza oppure a rassegnarsi all’inevitabile, innescando il nono default del paese.
Il default argentino di 20 anni fa è ricordato in modo particolare da molti risparmiatori italiani, che attirati dai rendimenti elevati avevano puntato sul debito argentino, oltretutto denominato in dollari americani. Quel default costò caro e chi ebbe la forza e la capacità di resistere riuscì a portare a casa parte di quanto investito solo dopo anni e molte vicissitudini legali. Catechis ricorda che l’Argentina tra le due Guerre Mondiali era la quinta economia al mondo e che a differenza di altri paesi non è mai stata invasa, occupata o saccheggiata. La sua ricorrente caduta è dovuta quindi interamente a cause interne
La banca centrale argentina fu fondata nel 1935, e negli 85 anni seguenti solo un governatore è riuscito a portare a termine il suo mandato: Ernesto Bosch, il primo, che ha guidato l’istituto per un decennio. Oltre al numero impressionante di default, il paese detiene anche il poco gradevole record di aver passato più tempo in recessione economica rispetto a ogni altro al mondo, ben 22 anni dal 1960 ad oggi. Le elezioni dello scorso dicembre hanno mandato al potere il presidente Alberto Fernández, con il chiaro obiettivo di risollevare le sorti dell’economia.
Ma le risorse finanziare limitate, la pandemia di Covid-19 e un tessuto sociale già pesantemente deteriorato dalle diseguaglianze e dalla recessione economica gli hanno impedito nella prima metà di quest’anno di realizzare qualcosa di tangibile per migliorare le sorti dei suoi elettori e sembra destinato a perdere il supporto popolare. Intanto la sua vice, l’ex presidente Cristina Kirchner, gli sta col fiato sul collo, guadagnando consensi e alienandosi le simpatie dell’opposizione man mano che la sua figura cresce in rilevanza.
Il tutto sembra prefigurare un aumento dell’intervento dello Stato in economia, anche questa una tendenza ricorrente in Argentina, il che indisporrà ancora di più qualsiasi investitore internazionale ancora rimasto sul tavolo, con il paese che rischia di scivolare nella marginalità sulla scena politica ed economica. Per gli investitori internazionali, che sono stati sedotti da questa affascinante, volubile, appassionata ma frustrante nazione, che ancora una volta riesce a trasformare una possibile vittoria in un ennesimo ko economico, si tratta dell’ennesima delusione.
DA QUINTA ECONOMIA GLOBALE ALLA RECESSIONE PERMANENTE
Il default argentino di 20 anni fa è ricordato in modo particolare da molti risparmiatori italiani, che attirati dai rendimenti elevati avevano puntato sul debito argentino, oltretutto denominato in dollari americani. Quel default costò caro e chi ebbe la forza e la capacità di resistere riuscì a portare a casa parte di quanto investito solo dopo anni e molte vicissitudini legali. Catechis ricorda che l’Argentina tra le due Guerre Mondiali era la quinta economia al mondo e che a differenza di altri paesi non è mai stata invasa, occupata o saccheggiata. La sua ricorrente caduta è dovuta quindi interamente a cause interne
FERNANDEZ NON È RIUSCITO A RISOLLEVARE L’ECONOMIA
La banca centrale argentina fu fondata nel 1935, e negli 85 anni seguenti solo un governatore è riuscito a portare a termine il suo mandato: Ernesto Bosch, il primo, che ha guidato l’istituto per un decennio. Oltre al numero impressionante di default, il paese detiene anche il poco gradevole record di aver passato più tempo in recessione economica rispetto a ogni altro al mondo, ben 22 anni dal 1960 ad oggi. Le elezioni dello scorso dicembre hanno mandato al potere il presidente Alberto Fernández, con il chiaro obiettivo di risollevare le sorti dell’economia.
L’EX PRESIDENTESSA KIRCHNER PRONTA A TORNARE AL POTERE
Ma le risorse finanziare limitate, la pandemia di Covid-19 e un tessuto sociale già pesantemente deteriorato dalle diseguaglianze e dalla recessione economica gli hanno impedito nella prima metà di quest’anno di realizzare qualcosa di tangibile per migliorare le sorti dei suoi elettori e sembra destinato a perdere il supporto popolare. Intanto la sua vice, l’ex presidente Cristina Kirchner, gli sta col fiato sul collo, guadagnando consensi e alienandosi le simpatie dell’opposizione man mano che la sua figura cresce in rilevanza.
L’ENNESIMA DELUSIONE PER GLI INVESTITORI
Il tutto sembra prefigurare un aumento dell’intervento dello Stato in economia, anche questa una tendenza ricorrente in Argentina, il che indisporrà ancora di più qualsiasi investitore internazionale ancora rimasto sul tavolo, con il paese che rischia di scivolare nella marginalità sulla scena politica ed economica. Per gli investitori internazionali, che sono stati sedotti da questa affascinante, volubile, appassionata ma frustrante nazione, che ancora una volta riesce a trasformare una possibile vittoria in un ennesimo ko economico, si tratta dell’ennesima delusione.
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