fondi sovrani
Liquidità e prudenza: perché la crisi rappresenta un'occasione per i Fondi sovrani
Invesco presenta l’ottavo Global Sovereign Asset Management Study che illustra le convinzioni di 139 CIO di 83 Fondi sovrani e 56 Banche Centrali, che gestiscono asset per 19.000 miliardi di dollari
29 Luglio 2020 15:46
I Fondi sovrani stanno approfittando di opportunità di acquisto uniche offerte e utilizzano il dry powder, in gergo finanziario il cash o strumenti molto liquidi, di cui dispongono in abbondanza, anche perché si tratta di investitori che erano cauti sull’azionario prima del Covid-19, ma propensi all’obbligazionario, a strumenti alternativi illiquidi e progetti infrastrutturali per conseguire gli obiettivi ESG. Il cambiamento climatico costituisce infatti una crescente preoccupazione, soprattutto tra gli investitori asiatici e dei mercati emergenti. Anche le Banche Centrali diversificano, utilizzando l’oro come un potenziale sostituto del debito con rendimenti negativi.
Sono le principali indicazioni che emergono dall’ottavo Global Sovereign Asset Management Study annuale che Invesco ha presentato lunedì 20 luglio. Si tratta di un report approfondito che illustra le convinzioni di 139 Chief Investment Officers, responsabili di asset class e Senior Portfolio Strategist di 83 fondi sovrani e 56 banche centrali, che nel complesso gestiscono asset per 19.000 mld di dollari USA. Lo Studio di Invesco rivela che molti investitori sovrani erano ampiamente preparati alla crisi Covid-19 e che il calo delle valutazioni e l’abbondante dry powder disponibile hanno trasformato la crisi in un’opportunità d’acquisto senza precedenti, anche perché la maggior parte, in quanto depositari di capitali a lungo termine, non hanno avuto bisogno di vendere per far fronte ai riscatti, inoltre avevano imparato molte lezioni nella crisi finanziaria globale, andando a costituire consistenti riserve attuando anche miglioramenti organizzativi per la gestione della liquidità. Infatti, prima che il Covid-19 investisse i mercati, le allocazioni azionarie medie degli investitori sovrani al fine 2019 erano al livello più basso dal 2013 con una ripartizione dell’asset allocation di solo il 26% contro il 34% in obbligazioni. L’allontanamento dall’azionario era stato motivato in parte anche da attese di fine del ciclo, con uno spostamento verso obbligazioni e strumenti alternativi, in particolare infrastrutture
Nei prossimi 12 mesi i Fondi Sovrani prevedono di continuare le allocazioni in obbligazioni, in private equity, infrastrutture e immobiliare. Rod Ringrow, Head of Official Institutions di Invesco, osserva che “l’obbligazionario è tradizionalmente considerato un segmento difensivo e tale concetto è stato messo alla prova dalla crisi, dato che anche il debito sovrano USA è stato coinvolto nella generale flessione a fronte della fuga degli investitori verso la liquidità. Tuttavia, gli interventi governativi come tagli dei tassi e quantitative easing globali hanno compresso i rendimenti, esercitando un impatto positivo su numerosi portafogli obbligazionari”.
Il Covid-19 ha poi accelerato i trend verso i progetti infrastrutturali, creando potenziali opportunità distressed, visti da alcuni come un’opportunità per sfruttare le vendite in determinati sottosettori come gli aeroporti. Nell’ambito dell’asset class delle infrastrutture, i Fondi Sovrani riportano il massimo interesse per generazione e trasmissione di elettricità (54%) e le comunicazioni (52%). “I progetti infrastrutturali, in particolare quelli che favoriscono la transizione dai combustibili fossili, sono stati considerati strumenti per conseguire gli obiettivi ESG”, commenta Ringrow, rilevando che anche molti fondi pensione seguono questo tema e l’individuazione degli investimenti appropriati può quindi rappresentare un problema per alcuni Fondi Sovrani di medie dimensioni e per quelli che hanno iniziato da poco a guardare questa asset class.
Il Covid-19 ha anche rafforzato l’interesse per l’oro, con un aumento delle allocazioni da parte di Banche Centrali e di un piccolo ma significativo gruppo di Fondi Sovrani, nell’ottica di sostituire il debito a tassi negativi, con l’effetto collaterale di alleggerire l’esposizione in dollari USA senza senza sacrificare liquidità e convertibilità. Tale trend è emerso in modo particolarmente chiaro tra le banche dei mercati emergenti, dove quasi il 90% ha attinto alle allocazioni in dollari USA per incrementare le riserve auree. Già lo studio Invesco dello scorso anno aveva riscontrato una crescente popolarità dell’oro, ma il Covid-19 ha rivelato che è l’asset class ora rivendica un nuovo ruolo nei portafogli sovrani, non necessariamente in forma fisica ma anche come ETF.
Ovviamente il cambiamento climatico è un tema che richiama crescente attenzione: lo studio di Invesco ha rivelato che l’83% delle Banche centrali e dei Fondi sovrani ritiene necessarie azioni immediate, il che si traduce in strategie sempre più attente a incorporare il rischio climatico nel processo d’investimento. La singola maggior preoccupazione è il numero crescente di disastri naturali, con gli investitori occidentali più consapevoli della transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio, mentre molti investitori asiatici e dei mercati emergenti temono che il cambiamento climatico possa causare problemi di natura commerciale, in quanto dipendono in misura maggiore da un livello robusto di scambi per supportare le esportazioni agricole, che potrebbero risentire di temperature anomale.
Gli investitori interpellati nello studio di Invesco vedono anche ostacoli all’ulteriore adozione di criteri ESG, perché sebbene la regolamentazione offra alle aziende linee guida chiare, spesso gli investitori non possono contare su direttive attuabili. Molti sostengono che, per incrementare l’engagement, sia necessario ristrutturare mandati e politiche affinché i rischi climatici siano presi in considerazione. Ringrow si è detto comunque lieto “di vedere che Fondi sovrani e Banche Centrali continuano a integrare le tematiche climatiche nelle decisioni d’investimento” sviluppando la capacità di rilevare e attenuare i rischi climatici. Per andare avanti, sottolinea Ringrow, sarà necessaria una maggiore consapevolezza di decisori politici e altri investitori che, in combinazione con nuove soluzioni creative, possa portare sempre più soggetti a considerare i rischi climatici con maggior attenzione.
I FONDI SOVRANI SONO ARRIVATI PREPARATI ALLA CRISI
Sono le principali indicazioni che emergono dall’ottavo Global Sovereign Asset Management Study annuale che Invesco ha presentato lunedì 20 luglio. Si tratta di un report approfondito che illustra le convinzioni di 139 Chief Investment Officers, responsabili di asset class e Senior Portfolio Strategist di 83 fondi sovrani e 56 banche centrali, che nel complesso gestiscono asset per 19.000 mld di dollari USA. Lo Studio di Invesco rivela che molti investitori sovrani erano ampiamente preparati alla crisi Covid-19 e che il calo delle valutazioni e l’abbondante dry powder disponibile hanno trasformato la crisi in un’opportunità d’acquisto senza precedenti, anche perché la maggior parte, in quanto depositari di capitali a lungo termine, non hanno avuto bisogno di vendere per far fronte ai riscatti, inoltre avevano imparato molte lezioni nella crisi finanziaria globale, andando a costituire consistenti riserve attuando anche miglioramenti organizzativi per la gestione della liquidità. Infatti, prima che il Covid-19 investisse i mercati, le allocazioni azionarie medie degli investitori sovrani al fine 2019 erano al livello più basso dal 2013 con una ripartizione dell’asset allocation di solo il 26% contro il 34% in obbligazioni. L’allontanamento dall’azionario era stato motivato in parte anche da attese di fine del ciclo, con uno spostamento verso obbligazioni e strumenti alternativi, in particolare infrastrutture
APPREZZAMENTO DEI PORTAFOGLI OBBLIGAZIONARI
Nei prossimi 12 mesi i Fondi Sovrani prevedono di continuare le allocazioni in obbligazioni, in private equity, infrastrutture e immobiliare. Rod Ringrow, Head of Official Institutions di Invesco, osserva che “l’obbligazionario è tradizionalmente considerato un segmento difensivo e tale concetto è stato messo alla prova dalla crisi, dato che anche il debito sovrano USA è stato coinvolto nella generale flessione a fronte della fuga degli investitori verso la liquidità. Tuttavia, gli interventi governativi come tagli dei tassi e quantitative easing globali hanno compresso i rendimenti, esercitando un impatto positivo su numerosi portafogli obbligazionari”.
TREND ACCELERATO VERSO INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI
Il Covid-19 ha poi accelerato i trend verso i progetti infrastrutturali, creando potenziali opportunità distressed, visti da alcuni come un’opportunità per sfruttare le vendite in determinati sottosettori come gli aeroporti. Nell’ambito dell’asset class delle infrastrutture, i Fondi Sovrani riportano il massimo interesse per generazione e trasmissione di elettricità (54%) e le comunicazioni (52%). “I progetti infrastrutturali, in particolare quelli che favoriscono la transizione dai combustibili fossili, sono stati considerati strumenti per conseguire gli obiettivi ESG”, commenta Ringrow, rilevando che anche molti fondi pensione seguono questo tema e l’individuazione degli investimenti appropriati può quindi rappresentare un problema per alcuni Fondi Sovrani di medie dimensioni e per quelli che hanno iniziato da poco a guardare questa asset class.
RAFFORZATO ANCHE L’INTERESSE PER L’ORO
Il Covid-19 ha anche rafforzato l’interesse per l’oro, con un aumento delle allocazioni da parte di Banche Centrali e di un piccolo ma significativo gruppo di Fondi Sovrani, nell’ottica di sostituire il debito a tassi negativi, con l’effetto collaterale di alleggerire l’esposizione in dollari USA senza senza sacrificare liquidità e convertibilità. Tale trend è emerso in modo particolarmente chiaro tra le banche dei mercati emergenti, dove quasi il 90% ha attinto alle allocazioni in dollari USA per incrementare le riserve auree. Già lo studio Invesco dello scorso anno aveva riscontrato una crescente popolarità dell’oro, ma il Covid-19 ha rivelato che è l’asset class ora rivendica un nuovo ruolo nei portafogli sovrani, non necessariamente in forma fisica ma anche come ETF.
SEMPRE PIÙ ATTENZIONE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Ovviamente il cambiamento climatico è un tema che richiama crescente attenzione: lo studio di Invesco ha rivelato che l’83% delle Banche centrali e dei Fondi sovrani ritiene necessarie azioni immediate, il che si traduce in strategie sempre più attente a incorporare il rischio climatico nel processo d’investimento. La singola maggior preoccupazione è il numero crescente di disastri naturali, con gli investitori occidentali più consapevoli della transizione verso un’economia a basso contenuto di carbonio, mentre molti investitori asiatici e dei mercati emergenti temono che il cambiamento climatico possa causare problemi di natura commerciale, in quanto dipendono in misura maggiore da un livello robusto di scambi per supportare le esportazioni agricole, che potrebbero risentire di temperature anomale.
SOSTENERE LA DIFFUSIONE DEI CRITERI ESG
Gli investitori interpellati nello studio di Invesco vedono anche ostacoli all’ulteriore adozione di criteri ESG, perché sebbene la regolamentazione offra alle aziende linee guida chiare, spesso gli investitori non possono contare su direttive attuabili. Molti sostengono che, per incrementare l’engagement, sia necessario ristrutturare mandati e politiche affinché i rischi climatici siano presi in considerazione. Ringrow si è detto comunque lieto “di vedere che Fondi sovrani e Banche Centrali continuano a integrare le tematiche climatiche nelle decisioni d’investimento” sviluppando la capacità di rilevare e attenuare i rischi climatici. Per andare avanti, sottolinea Ringrow, sarà necessaria una maggiore consapevolezza di decisori politici e altri investitori che, in combinazione con nuove soluzioni creative, possa portare sempre più soggetti a considerare i rischi climatici con maggior attenzione.