Cesare Romiti

Addio a Cesare Romiti, il manager simbolo della rinascita industriale italiana

Da AD e Presidente prese in mano le redini di una Fiat reduce dai terribili anni 70 e la trasformò in una holding moderna. L’uscita dei libici, la marcia dei 40.000 e il legame con la Mediobanca di Cuccia

18 Agosto 2020 10:47

financialounge -  Cesare Romiti fiat industria Lutto Mediobanca
Se gli anni 80 sono ancora oggi il simbolo dell’uscita dell’Italia dal tunnel degli anni 70 segnati dal terrorismo e dall’inflazione galoppante, sicuramente hanno in Cesare Romiti, scomparso all’età di 97 anni, il volto che li simboleggia. Per la Fiat, e non solo, gli anni 70 furono un decennio terribile, segnato dalle Brigate Rosse che erano riuscite a infiltrarsi nelle fabbriche, e dagli shock petroliferi che avevano penalizzato le vendite di auto e fatto partire l’inflazione galoppante con la complicità di scala mobile e rivendicazioni salariali spinte dalla teoria della ‘variabile indipendente’ delle retribuzioni. Nel 1976, anno dell’arrivo di Romiti in Fiat, il titolo era precipitato ai minimi, costringendo la casa torinese a ricorrere ai petrodollari di Gheddafi per ricapitalizzarsi, con l’ingresso della libica Lafico al 15% dell’azionariato.

PIENI POTERI IN FIAT


Nel luglio del 1980 la Fiat decide di dare pieni poteri a Romiti, che assume da Umberto Agnelli tutti gli incarichi operativi con la benedizione del grande capo di Mediobanca Enrico Cuccia, diventando amministratore delegato unico. Romiti prende subito il toro per le corna, affronta il nodo dei costi fuori controllo annunciando appena insediato il licenziamento di 14 mila dipendenti, e andando a uno scontro durissimo con i sindacati che a settembre del 1980 avrebbe visto il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer andare a presidiare con gli operai i cancelli del Lingotto di Torino. Lo stabilimento di Mirafiori resta bloccato dagli scioperi per oltre un mese, ma Romiti trova un alleato nei ‘quadri’, che vogliono lavorare e non scioperare, e a ottobre dello stesso anno organizzano la famosa ‘marcia dei 40.000’, che prende tutti in contropiede.

TORNANO GLI UTILI


Le maestranze tornano al lavoro, la Fiat torna a fare utili, lancia nuovi prodotti, chiude nel 1982 lo stabilimento del Lingotto, aumenta gli investimenti, riduce i dipendenti. Nel 1987 è diventato il secondo gruppo italiano dopo l’Iri, la conglomerato di Stato che allora spaziava in tutti i settori, dagli aerei all’auto, dalle banche alle telecomunicazioni fino alle grandi costruzioni. Il risultato porta la firma di Romiti, ma anche di Vittorio Ghidella, il geniale ingegnere responsabile del settore auto che rilancia il marchio con una serie di nuovi modelli innovativi e vincenti, uno per tutti la ‘Uno’. La rinascita del marchio consente anche di liberarsi della presenza dei libici nell’azionariato, diventata imbarazzante e particolarmente invisa agli americani viste le crescenti tensioni tra Washington e Gheddafi. Lafico vende il suo 15% per l’equivalente di 3 mld di dollari incassando un lauto capital gain, che viene rilevato in gran parte da Mediobanca e Deutsche Bank, che nel tempo lo collocheranno presso fondi e investitori istituzionali occidentali.

FINISCE IL DECENNIO DORATO


Poi anche i dorati anni 80, quelli dell’edonismo reganiano, finiscono. Arriva la guerra del Golfo con un nuovo shock petrolifero, le vendite di auto diminuiscono. In Italia la prima Repubblica si prepara a uscire di scena. Per la Fiat di Romiti finiscono gli anni Ottanta del successo e dell’espansione, sia nel campo dell’auto, con l’acquisto di Alfa Romeo, sia nella finanza, con le assicurazioni Toro, sia in altri settori industriali, con l’entrata in Montedison. Le vendite del marchio Fiat in Italia scendono sotto il 40 per cento e l’avvocato Gianni Agnelli pronuncia la sua famosa «la festa è finita». Mediobanca organizza un aumento di capitale imponendo anche che Romiti restasse nel suo incarico, nonostante le resistenze della famiglia Agnelli.

LA STORIA PARALLELA CON SCHIMBERNI


Nel 1996 Romiti diventa presidente al posto di Gianni Agnelli, ma resta anche lui invischiato in Tangentopoli e nel 1998 deve lasciare. Ma anche dopo la fine dei suoi 24 anni di carriera in Fiat non esce di scena e continua a occupare posizioni di primo piano nel panorama imprenditoriale italiano, come presidente della RCS Editori, poi di Impregilo, mentre nel 2003 costituisce la Fondazione Italia-Cina. Resta il simbolo della rinascita economica e industriale italiana degli anni 80, una stagione che ha vissuto in tandem con il suo ‘gemello’ e coetaneo Mario Schimberni, con cui muove i primi passi da manager nell’azienda chimica romana Bomprini Parodi Delfino alla fine degli anni 40 per poi ritrovarselo co-protagonista delle grandi storie industriali degli anni 80, lui alla Fiat e il suo amico alla Montedison.

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