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Perché la svolta Fed non basta per un rialzo deciso dell’inflazione

Capital Group esamina i fattori che storicamente hanno alimentato l’aumento dei prezzi per concludere che il nuovo paradigma Powell serve ma non è sufficiente. Anche il dollaro debole aiuta poco

10 Settembre 2020 21:00

financialounge -  Capital Group Darrell Spence Federal Reserve inflazione Scenari
La svolta dell’average inflation targeting annunciata da Jay Powell è un cambiamento significativo dell'approccio monetario della Fed degli ultimi decenni perché indica che non alzerà più i tassi ‘preventivamente’ ma lascerà superare il target di inflazione per sostenerne le aspettative, ma molto probabilmente non porterà a prezzi al consumo significativamente più alti, anche se potrebbe impattare sui prezzi degli asset. Lo sostiene Darrell Spence, economista di Capital Group, secondo cui i fattori fondamentali che generano inflazione non si stanno sviluppando in modo da far pensare che si muova in modo sostanziale verso l’alto nei prossimi trimestri.

OFFERTA DI MONETA E VELOCITÀ DI CIRCOLAZIONE


L’esperto di Capital Group osserva che storicamente periodi prolungati di inflazione elevata sono stati l’eccezione e non la norma, e analizza cinque fattori spesso citati come determinanti per l’aumento dei prezzi. Il primo è l’aumento dell'offerta di moneta, che però non comporta necessariamente prezzi più alti se la velocità di circolazione diminuisce. Oggi la velocità è diminuita con l'aumento della domanda di denaro del settore privato, dovuto proprio al calo delle aspettative di inflazione, ai tassi più bassi, all'incertezza e, fino a poco tempo fa, alla diminuzione dell’indebitamento. Se la velocità è in calo, l’aumento dell'offerta di moneta non genera un'attività economica più sostenuta.

SCARSO UTILIZZO DELLE RISORSE


Il secondo fattore è la politica fiscale, che in USA è diventata molto espansiva per sopperire al crollo della domanda, ma l'attuale livello di utilizzo delle risorse è appena sotto della soglia di neutralità, senza pressioni inflazionistiche o deflazionistiche significative. Un nuovo round di stimoli farebbe calare ancora l'utilizzo delle risorse, creando pressione al ribasso sui prezzi. La recente ripresa dei prestiti bancari rappresenta un utilizzo precauzionale del credito più che un'espansione della domanda, mentre il regime di remunerazione da parte della Fed sulle riserve in eccesso incentiva le banche a tenere i fondi presso la banca centrale.

NON C’È UNO SCENARIO DA SHOCK


Gli altri tre fattori che normalmente alimentano l’inflazione sono lo “shock dei prezzi”, le aspettative e i fattori strutturali. Il primo si è realizzato negli anni '70 e '80 causa l’aumento del prezzo del petrolio, ma lo sconvolgimento delle filiere produttive causato dalla pandemia non sembra sufficiente a produrre effetti simili. Le aspettative al rialzo e al ribasso indubbiamente possono determinare inflazione, e il fatto che la Fed stia cercando in maniera più aggressiva di aumentarle ha il potenziale per generare una crescita dei prezzi. Infine i fattori strutturali, i più difficili da calibrare. Se come in passato la ripresa dell'economia sarà accompagnata da un recupero di produttività, si avrebbe un periodo di due anni di inflazione salariale relativamente bassa.

ANCHE IL DOLLARO DEBOLE NON BASTA


L’esperto di Capital Group si sofferma poi su un'ultima potenziale fonte di inflazione fuori lista, vale a dire la flessione del dollaro, per notare che oggi l'economia USA è meno esposta alle importazioni, e sarebbe quindi sarebbe necessario un calo piuttosto significativo della valuta per avere un impatto sull’inflazione. La conclusione è che almeno nel breve termine la pandemia esercita pressione al ribasso sull'attività economica nonostante gli sforzi fiscali e monetari per sostenerla, creando un ambiente molto difficile in cui creare inflazione. Ma una politica monetaria accomodante in un'economia che si sta "normalizzando" ha un certo potenziale di generare inflazione.

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