dollaro
I 4 fattori che spiegano il declino del dollaro
Performance relativa degli asset Usa e bilancio della Federal Reserve spingono, secondo Schroders, il trend della de-dollarizzazione
16 Ottobre 2020 07:45
Nella turbolenza dei mercati causata dal Covid-19, il dollaro ha avuto un ruolo centrale, con un’impennata del 10% in pochi giorni al picco della crisi a marzo e il successivo cambio di direzione con un indebolimento della stessa misura. Anche se c’è la possibilità che il biglietto verde rialzi temporaneamente la testa se ci sarà un ritorno del Covid-19 nei mesi invernali, il calo che abbiamo visto da marzo in poi rappresenta solo l’inizio di un trend discendente nel medio/lungo termine. Lo sostiene Robbie Boukhoufane, Fixed Income Portfolio Manager, di Schroders, individuando i principali motivi alla base della de-dollarizzazione.
Secondo l’esperto della storica casa londinese, la recente debolezza del dollaro è legata in parte alle politiche di supporto fiscali e monetarie e al conseguente miglioramento dei dati economici, che insieme all’abbondanza di liquidità, spiega anche il rimbalzo degli asset rischiosi. Inoltre, Asia ed Europa hanno controllato il virus in modo più efficiente rispetto agli Usa, con effetti anche per la valuta. Un altro fattore è la forte risposta data con il Recovery Fund dall’Europa, che la rende un’alternativa a minor rischio o più “safe haven” rispetto agli Usa.
In particolare, l’analisi di Boukhoufane indica quattro fattori essenziali da monitorare per l’outlook del dollaro: finanziamenti, tassi di interesse, performance relativa degli asset Usa e bilancio della Fed. Il primo fattore risiede nell’impegno di Fed e altre banche centrali per evitare l’aumento delle passività in dollari di banche, con l’implementazione delle ‘swap line’ e il sistema globale dei ‘repo’. Poi i tagli dei tassi, operati dalle principali banche centrali, e soprattutto della Fed, che hanno ridotto ai minimi i differenziali, facendo perdere al dollaro il vantaggio in termini di rendimento.
Il terzo fattore indicato dall’esperto di Schroders è la performance degli asset Usa, privilegiati per diversi anni dagli investitori attratti dai livelli di crescita e dai rendimenti, in un trend che ora sta venendo meno. Infine il bilancio della Fed, la cui espansione è stata relativamente contenuta, ma comunque aggressiva. L’impegno della banca centrale Usa ad acquistare bond societari e ad aumentare l’acquisto di Treasury ha soppresso la volatilità, che di solito implica un dollaro più debole.
Anche la svolta della Fed sull’inflazione, che sarà lasciata andare anche oltre il target per permettere all’economia di surriscaldarsi, peserà ulteriormente sul dollaro. In conclusione l’esperto di Schroders ritiene che la tendenza del dollaro sul lungo termine dipenderà dalla rapidità con cui vedremo una “de-dollarizzazione”, con il principale fattore determinante costituito dall'emergere di una o più valide alternative che fungano da moneta di riserva a livello mondiale.
EUROPA ORA PIÙ SAFE HAVEN
Secondo l’esperto della storica casa londinese, la recente debolezza del dollaro è legata in parte alle politiche di supporto fiscali e monetarie e al conseguente miglioramento dei dati economici, che insieme all’abbondanza di liquidità, spiega anche il rimbalzo degli asset rischiosi. Inoltre, Asia ed Europa hanno controllato il virus in modo più efficiente rispetto agli Usa, con effetti anche per la valuta. Un altro fattore è la forte risposta data con il Recovery Fund dall’Europa, che la rende un’alternativa a minor rischio o più “safe haven” rispetto agli Usa.
QUATTRO FATTORI ESSENZIALI
In particolare, l’analisi di Boukhoufane indica quattro fattori essenziali da monitorare per l’outlook del dollaro: finanziamenti, tassi di interesse, performance relativa degli asset Usa e bilancio della Fed. Il primo fattore risiede nell’impegno di Fed e altre banche centrali per evitare l’aumento delle passività in dollari di banche, con l’implementazione delle ‘swap line’ e il sistema globale dei ‘repo’. Poi i tagli dei tassi, operati dalle principali banche centrali, e soprattutto della Fed, che hanno ridotto ai minimi i differenziali, facendo perdere al dollaro il vantaggio in termini di rendimento.
MENO VOLATILITÀ UGUALE DOLLARO DEBOLE
Il terzo fattore indicato dall’esperto di Schroders è la performance degli asset Usa, privilegiati per diversi anni dagli investitori attratti dai livelli di crescita e dai rendimenti, in un trend che ora sta venendo meno. Infine il bilancio della Fed, la cui espansione è stata relativamente contenuta, ma comunque aggressiva. L’impegno della banca centrale Usa ad acquistare bond societari e ad aumentare l’acquisto di Treasury ha soppresso la volatilità, che di solito implica un dollaro più debole.
NUOVE VALUTE GLOBALI DI RISERVA
Anche la svolta della Fed sull’inflazione, che sarà lasciata andare anche oltre il target per permettere all’economia di surriscaldarsi, peserà ulteriormente sul dollaro. In conclusione l’esperto di Schroders ritiene che la tendenza del dollaro sul lungo termine dipenderà dalla rapidità con cui vedremo una “de-dollarizzazione”, con il principale fattore determinante costituito dall'emergere di una o più valide alternative che fungano da moneta di riserva a livello mondiale.