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Perché l’Ipo col botto di Airbnb non è il segno di una nuova bolla

Gli sbarchi in Borsa di aziende che sfruttano le nuove tecnologie per creare nuovi business continuano ad andare a ruba, ma non è una riedizione dell’euforia irrazionale di 20 anni fa

14 Dicembre 2020 08:17

financialounge -  Airbnb borsa Bullettin IPO Morning News smart tecnologia
Il Financial Times di venerdì 11 dicembre dava in prima pagina la notizia dell’ennesima Ipo col botto del 2020, quella di Airbnb, schizzata del 135% nel primo giorno di quotazione a Wall Street, accompagnandola con l’allarme su una nuova possibile bolla simile a quella di Internet montata nel 1999. Il giornale della City supporta la tesi con pareri di diversi ‘guru’ che elencano le similitudini con i prezzi folli delle dot-com di oltre 20 anni fa, completamente sganciati dai fondamentali, ma fortunatamente cita anche esponenti di grandi case di investimento che all’opposto spiegano che il paragone è completamente sbagliato e che gli investitori cercano nelle Ipo di aziende che sfruttano le nuove tecnologie la diversificazione di portafogli molto concentrati su pochi grandi titoli. Il caso di Airbnb è esemplare di come l’utilizzo delle piattaforme tecnologiche abbia consentito a un business decisamente da old economy, che ha una storia millenaria, come quello dell’ospitalità, di superare lo shock della pandemia, dopo un primo impatto violentissimo, grazie al riposizionamento dell’offerta, cosa non possibile ai grandi operatori tradizionali, come mostra bene il grafico qui sotto.

SPESA USA PER SERVIZI ALBERGHIERI AIRBNB VERSO GRANDI CATENE DI HOTEL TRADIZIONALI



UN FORMIDABILE STRESS TEST


Airbnb non possiede alberghi, ma utilizza le abitazioni private che si rendono disponibili sulla sua piattaforma globale. E così è stata in grado in pochissimo tempo di riposizionare un’offerta che prima della pandemia era concentrata nei grandi centri urbani su località prevalentemente rurali e raggiungibili in auto anziché in aereo, comunque meno esposte al rischio contagio, e ha rapidamente recuperato i livelli pre-pandemia. Cosa che non sono stati in grado di fare i grandi gruppi del settore, ‘prigionieri’ di un’offerta fatta di strutture fisiche ovviamente non riposizionabili in poche settimane. In pratica, il virus è stato un formidabile stress test per la capacità di Airbnb di adattarsi con estrema flessibilità agli effetti di uno shock che ha messo in ginocchio l’industria dei viaggi e del turismo in tutto il mondo. Il WSJ riporta che già ad agosto, vale a dire a poco più di tre mesi dal picco della crisi, Airbnb era riuscita a riposizionare oltre metà dell’offerta di ospitalità della sua piattaforma su località a 300 miglia o meno di distanza dal luogo di provenienza della domanda. Alla fine, per la società di San Francisco, la pandemia è stata l’occasione per mangiare importanti quote di mercato alla concorrenza tradizionale che ora potrebbe consolidare anche passata la crisi.

IPO AL RECORD


NEL 2020 L'Ipo di Airbnb ha fatto seguito a quella altrettanto spumeggiante di DoorDash, specializzata nelle consegne a casa di vivande, ed è l’ultima di una lunga serie di sbarchi sul mercato azionario partita nel 2019, con Zoom e Uber, e poi intensificata nell’anno della pandemia, che già prima dell’affitta-case online avevano già raccolto a Wall Street nel solo 2020 la cifra record di oltre 140 mld di dollari, battendo il precedente primato che guarda caso risale al boom delle dot-com nel 1999. Il prezzo di Airbnb al primo giorno di scambi ne ha proiettato il valore a oltre 87 mld di dollari, mentre al picco della crisi otto mesi fa le stime viaggiavano sotto i 20 mld. Uber ha descritto una parabola simile, quotata in Ipo a maggio 2019 a 45 dollari per azione per una valutazione di 82 mld di dollari, all’apice della crisi era precipitata sotto i 15 dollari, poi è risalita a sfiorare i 54 con una capitalizzazione di oltre 95 mld di dollari.

I CASI DI UBER E LYFT


L’ultima spinta a Uber e alla sua rivale Lyft è arrivata il 23 novembre scorso quando il governo federale degli Stati Uniti ha firmato con le due società un contratto dal valore di oltre 800 mln di dollari l’anno per fornire servizi di trasporto a 4 mln di dipendenti federali e alle loro famiglie. Un benefit che evita mezzi di trasporto affollati come metropolitane e autobus. Anche in questo caso, la pandemia si è rivelata per Uber e Lyft una business opportunity per declinare in modo flessibile e rispondente alle nuove esigenze di sicurezza e distanziamento un servizio vecchio come il mondo, vale a dire il trasporto.

DIFFERENZA ABISSALE CON IL 1999


La differenza con il 1999 è abissale, allora si comprava alla cieca qualunque nome avesse un dot-com attaccato in un clima di euforia che aveva contagiato soprattutto i piccoli con poca dimestichezza col mercato, alla ricerca di un raddoppio facile comprando al debutto e vendendo al doppio il giorno dopo. Un meccanismo molto simile a quello che pochi anni dopo avrebbe gonfiato la bolla immobiliare grazie a mutui concessi spensieratamente a chi aveva poche credenziali per ripagarli. Questa volta vengono premiati dagli investitori collocamenti di aziende che hanno mostrato sul campo di saper declinare meglio degli altri business certamente non nuovi, ma in condizioni queste sì nuove e eccezionali, aumentando il proprio mercato e creandone di nuovo.

BOTTOM LINE


La tecnologia si può considerare ormai una commodity. È disponibile a tutti ed applicabile praticamente a tutte le attività economiche, dalla manifattura, ai servizi, alla finanza. Vince chi sa declinarla per inventare nuovi business o reinventarne di vecchi o vecchissimi. I colossi del web e delle comunicazioni hanno occupato il territorio prima degli altri, ma ci sono altri territori da esplorare e conquistare. Per l’investitore, ogni new entry sul mercato che mostra di saper cogliere le nuove opportunità anche se offerte da una crisi rappresenta un’occasione di diversificare e distribuire il rischio.

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