Amundi
Criptovalute, sfruttare i vantaggi dell’innovazione controllandone gli eccessi
Secondo Amundi gli investimenti nelle criptovalute possono essere promettenti, soprattutto se i regolatori definiranno un quadro regolamentare adeguato, ma rimangono ancora di natura speculativa
13 Aprile 2021 18:00
Rappresentazione digitale di valore basata sulla crittografia. È questa la definizione di "criptovaluta" all’interno della quale si nascondono tuttavia realtà molto diverse. Se il Bitcoin rappresenta all’incirca il 60% della capitalizzazione totale delle criptovalute (oltre 1.700 miliardi di dollari nel marzo 2021), il restante 40% è costituito da un vastissimo numero di prodotti estremamente eterogenei (Ethereum, Cardano, Binance Coin, Tether, Polkadot e Ripple, solo per citare i più diffusi).
In tutti i casi, le criptovalute si trovano al crocevia tra innovazione tecnologica, finanza e politica monetaria. “È vero che si tratta di un’innovazione che può preannunciare una forma più inclusiva di finanza, ma non può sfidare il monopolio delle banche centrali in termini di politica monetaria senza mettere a rischio l’intero sistema finanziario”, tengono a sottolineare Pascal Blanquè, Group Chief Investment Officer e Vincent Mortier, Deputy Group Chief Investment Officer di Amundi.
Secondo i due manager spetta ai regolatori definire un quadro che consenta di trarre vantaggio dallo sviluppo di queste attività senza mettere a rischio la stabilità macro-finanziaria. Un compito reso ancora più urgente dal boom di richieste che le "criptovalute" hanno registrato con lo scoppio della pandemia da Covid-19 (il valore del Bitcoin è aumentato di oltre sette volte in un anno). Un’evoluzione quasi sicuramente di natura speculativa che suscita diversi interrogativi sulla natura di queste attività, sulla loro valutazione e sulla loro funzione.
“Gli aspetti da considerare riguardano l’innovazione tecnologica dirompente, la ricerca di una finanza decentralizzata e inclusiva (resa possibile dalla tecnologia blockchain) e l’espansione della digitalizzazione delle nostre economie, con un forte interesse per una valuta digitale”, riferiscono Blanquè e Mortier. Secondo i quali, in un contesto in cui il debito pubblico tende a essere sempre più monetizzato nelle principali economie avanzate, assume un ruolo anche la ricerca di nuovi porti sicuri alla luce dell’aumento delle aspettative d’inflazione e della sfiducia nei confronti del sistema finanziario tradizionale.
La tecnologia blockchain offre l’opportunità di migliorare l’inclusione finanziaria e può rappresentare la soluzione che sta a cuore a gran parte dei governi e delle banche centrali per diffondere sistemi di pagamento più rapidi, più economici ed affidabili anche a livello transnazionale. Le criptovalute, tuttavia, sono un mezzo di pagamento potenzialmente destabilizzante e potrebbe comportare un rischio sistemico. “Da un lato possono mettere in discussione il monopolio delle banche centrali riguardo alla produzione di moneta e alla politica monetaria sul medio-lungo termine. Dall’altro restano ancora concreti dubbi riguardo alla resilienza operativa dei sistemi decentralizzati”, fanno sapere i due manager di Amundi.
Se, come sembra probabile, i regolatori dei Paesi del G7 saranno determinati a disciplinare l'ecosistema delle criptovalute, non si può escludere che inizialmente ci potrà essere un adeguamento, anche piuttosto significativo, dei prezzi visto che gli acquirenti non sembrano scontare alcun rischio regolatorio. Una volta chiarito però il contesto normativo e affrontati i rischi principali, il valore delle criptovalute probabilmente riprenderà a salire sulla scia dell’esigenza di disporre di un'economia e di un sistema finanziario più inclusivi.
“I regolatori e le banche centrali dovranno saper sfruttare i vantaggi dell’innovazione e, al contempo, controllarne gli eccessi. Al momento gli investimenti nelle criptovalute possono essere promettenti ma rimangono ancora di natura speculativa. Solo quando il contesto regolatorio si sarà stabilizzato e il rapporto con le valute digitali si sarà chiarito, i gestori patrimoniali potranno raccomandare le attività digitali come veicoli d’investimenti sicuri”, concludono i due manager di Amundi.
CROCEVIA TRA INNOVAZIONE TECNOLOGICA, FINANZA E POLITICA MONETARIA
In tutti i casi, le criptovalute si trovano al crocevia tra innovazione tecnologica, finanza e politica monetaria. “È vero che si tratta di un’innovazione che può preannunciare una forma più inclusiva di finanza, ma non può sfidare il monopolio delle banche centrali in termini di politica monetaria senza mettere a rischio l’intero sistema finanziario”, tengono a sottolineare Pascal Blanquè, Group Chief Investment Officer e Vincent Mortier, Deputy Group Chief Investment Officer di Amundi.
IL COMPITO DEI REGOLATORI
Secondo i due manager spetta ai regolatori definire un quadro che consenta di trarre vantaggio dallo sviluppo di queste attività senza mettere a rischio la stabilità macro-finanziaria. Un compito reso ancora più urgente dal boom di richieste che le "criptovalute" hanno registrato con lo scoppio della pandemia da Covid-19 (il valore del Bitcoin è aumentato di oltre sette volte in un anno). Un’evoluzione quasi sicuramente di natura speculativa che suscita diversi interrogativi sulla natura di queste attività, sulla loro valutazione e sulla loro funzione.
LA RICERCA DI NUOVI PORTI SICURI
“Gli aspetti da considerare riguardano l’innovazione tecnologica dirompente, la ricerca di una finanza decentralizzata e inclusiva (resa possibile dalla tecnologia blockchain) e l’espansione della digitalizzazione delle nostre economie, con un forte interesse per una valuta digitale”, riferiscono Blanquè e Mortier. Secondo i quali, in un contesto in cui il debito pubblico tende a essere sempre più monetizzato nelle principali economie avanzate, assume un ruolo anche la ricerca di nuovi porti sicuri alla luce dell’aumento delle aspettative d’inflazione e della sfiducia nei confronti del sistema finanziario tradizionale.
LA TECNOLOGIA BLOCKCHAIN
La tecnologia blockchain offre l’opportunità di migliorare l’inclusione finanziaria e può rappresentare la soluzione che sta a cuore a gran parte dei governi e delle banche centrali per diffondere sistemi di pagamento più rapidi, più economici ed affidabili anche a livello transnazionale. Le criptovalute, tuttavia, sono un mezzo di pagamento potenzialmente destabilizzante e potrebbe comportare un rischio sistemico. “Da un lato possono mettere in discussione il monopolio delle banche centrali riguardo alla produzione di moneta e alla politica monetaria sul medio-lungo termine. Dall’altro restano ancora concreti dubbi riguardo alla resilienza operativa dei sistemi decentralizzati”, fanno sapere i due manager di Amundi.
UN’ECONOMIA E UN SISTEMA FINANZIARIO PIÙ INCLUSIVI
Se, come sembra probabile, i regolatori dei Paesi del G7 saranno determinati a disciplinare l'ecosistema delle criptovalute, non si può escludere che inizialmente ci potrà essere un adeguamento, anche piuttosto significativo, dei prezzi visto che gli acquirenti non sembrano scontare alcun rischio regolatorio. Una volta chiarito però il contesto normativo e affrontati i rischi principali, il valore delle criptovalute probabilmente riprenderà a salire sulla scia dell’esigenza di disporre di un'economia e di un sistema finanziario più inclusivi.
LE CRIPTOVALUTE RIMANGONO ANCORA DI NATURA SPECUALATIVA
“I regolatori e le banche centrali dovranno saper sfruttare i vantaggi dell’innovazione e, al contempo, controllarne gli eccessi. Al momento gli investimenti nelle criptovalute possono essere promettenti ma rimangono ancora di natura speculativa. Solo quando il contesto regolatorio si sarà stabilizzato e il rapporto con le valute digitali si sarà chiarito, i gestori patrimoniali potranno raccomandare le attività digitali come veicoli d’investimenti sicuri”, concludono i due manager di Amundi.