banche
Cosa succede ai soldi posteggiati sul conto corrente per un anno
Ci sono quasi 1.900 miliardi di euro immobilizzati nei depositi bancari: non investire espone il patrimonio a dei costi fissi. Scopriamo quali sono e quanto pesano sul portafoglio
13 Maggio 2021 14:10
Una valanga di soldi fermi. Immobilizzati sul conto conto corrente, sempre più spesso scambiato per un forziere, piuttosto che uno strumento utile alla gestione del denaro. Ma non al risparmio. In Italia, tanto per rendere l’idea, ci sono 1.745 miliardi di euro posteggiati sui conti correnti, nel 2020 erano 1.584 miliardi. Il dato è in crescita, complice il Covid che ha inevitabilmente ridotto le occasioni di spesa e aumentato l’incertezza sul futuro, facendo accumulare ricchezza non sotto al materasso ma in banca. Ma senza investire, è un po’ la stessa cosa.
Secondo l’ultimo report dell’Abi, che ha elaborato i dati di Bankitalia, il tasso di incremento annuo dei depositi delle famiglie è in crescita, con un netto +10,2% messo a segno nel mese di febbraio. Se alla somma dei conti correnti, si aggiunge anche quella delle obbligazioni, il totale supera i 1.900 miliardi di euro. Una cifra enorme che sta diventando un peso per le banche, costrette a pagare il costo dei tassi negativi per il deposito della liquidità presso le banche centrali. Alcune banche, a cominciare da Fineco, hanno iniziato ad applicare commissioni ai clienti con saldi esagerati, oppure a chiudere il conto se supera la soglia dei 100mila euro. L’alternativa è comprare prodotti finanziari o richiedere prestiti, in modo che l’istituto di credito riesca a limitare i costi. E a proposito di costi, chi lascia i soldi fermi in banca se ne accolla più di uno.
Tenere troppa liquidità bloccata non è un buon affare per le banche. Ma il discorso vale anche per il correntista che si trova costretto, il più delle volte senza neanche saperlo, a sostenere dei costi. Prima di tutto quelli legati alla gestione del conto corrente, poi i costi dell’imposta di bollo e, infine, quello più significativo in ottica di lungo periodo, legato all’inflazione. Quest’ultima diventa una vera e propria “tassa occulta” in grado di erodere significativamente il patrimonio con il passare degli anni. Lasciare i soldi fermi in banca, quindi, non solo significa non guadagnare, rinunciando agli interessi generati dagli investimenti, ma vuol dire anche perdere soldi.
Ogni banca applica delle spese di gestione differenti. Le banche online, solitamente, offrono conti correnti con condizioni economiche più vantaggiose rispetto alle banche tradizionali. Sempre secondo l’Abi, una famiglia italiana spende, in media, 87 euro all’anno per la gestione del conto corrente. Se si tratta di un conto online, la cifra scende a 15,50 euro. C’è poi da considerare il prezzo dell’imposta di bollo - 34,20 euro per le persone fisiche, 100 euro per le aziende, le imprese e i titolari di partita Iva - , una tassa con cadenza trimestrale che la banca versa all’Erario, nel caso in cui la giacenza media del conto superi i 5mila euro.
Proprio in questi giorni si sente parlare dell’aumento dell’inflazione che spaventa le Borse mondiali. Per semplificare, fa paura agli investitori perché un aumento dei prezzi su base annua, potrebbe spingere le banche centrali a rivedere i tassi di interesse, alzandoli e, quindi, interrompendo la politica ultra espansiva che hanno adottato finora per sostenere la ripresa. Se l’inflazione aumenta, cala il valore dei propri risparmi. Almeno di quelli che sono bloccati a non fare niente. Di quanto? Facciamo un esempio in un anno: 20mila euro depositati nel 2020, diventerebbero 19.839,60 euro alla fine del 2021. Chi mettesse in banca 20mila euro oggi e li lasciasse fermi per 10 anni, nel 2031 quando andrà a ritirarli si troverà solo 16.178,04 euro.
Per effettuare il calcolo, si sono utilizzati i dati Istat all’inflazione CPI registrati in Italia dal 1956, e per gli anni futuri si è preso in considerazione il tasso di inflazione stimato per il 2021 della Bce all’1%, con un target di inflazione al 2%. La proiezione riguarda un conto privo di remunerazione, come ormai tutti i conti correnti bancari. I conti deposito, invece, garantiscono un tasso di interesse ormai quasi irrisorio. Da sottolineare, inoltre, la maggiore tassazione del conto deposito rispetto al conto corrente: l’imposta di bollo annuale complessiva è pari allo 0,20%, mentre i rendimenti sono soggetti ad un’imposta del 26%.
Se da un lato il patrimonio lasciato in balìa dell’inflazione è destinato a sgretolarsi, dall’altro non può essere accresciuto dalle performance degli strumenti finanziari. Le opportunità di investimento mancate in azioni globali, per esempio, nel corso degli ultimi 120 anni, peserebbero per il 5,2%, contro il 2% delle obbligazioni e lo 0,8% dei titoli di Stato a breve termine. Nell’ultimo decennio, il rendimento reale delle azioni globali, ovvero al netto dell’inflazione, si è attestato ad un +7,6% annualizzato rispetto ad un rendimento reale delle obbligazioni pari al +3,6%, secondo le stime del Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2020.
Ogni investimento finanziario è soggetto a dei rischi. È sempre bene ribadirlo. Ma se ci si dimentica dei soldi sul conto, la perdita del potere d’acquisto è una certezza. Chi investe i propri risparmi, con l’accortezza di puntare su un portafoglio ben diversificato per contenere i rischi e limitare la volatilità, può cogliere le opportunità dei mercati finanziari. Per concludere la nostra analisi, mettiamo sotto la lente gli ultimi 10 anni: la rivalutazione dei titoli di Stato internazionali (JPMorgan government Global bond index) è stata del 43,8%, quella dei titoli di Stato EMU (JPMorgan government EMU bond index) del 52,2% e quella delle Borse mondiali (MSCI world index total return) del 173,2%.
I TASSI NEGATIVI E IL COSTO PER LE BANCHE
Secondo l’ultimo report dell’Abi, che ha elaborato i dati di Bankitalia, il tasso di incremento annuo dei depositi delle famiglie è in crescita, con un netto +10,2% messo a segno nel mese di febbraio. Se alla somma dei conti correnti, si aggiunge anche quella delle obbligazioni, il totale supera i 1.900 miliardi di euro. Una cifra enorme che sta diventando un peso per le banche, costrette a pagare il costo dei tassi negativi per il deposito della liquidità presso le banche centrali. Alcune banche, a cominciare da Fineco, hanno iniziato ad applicare commissioni ai clienti con saldi esagerati, oppure a chiudere il conto se supera la soglia dei 100mila euro. L’alternativa è comprare prodotti finanziari o richiedere prestiti, in modo che l’istituto di credito riesca a limitare i costi. E a proposito di costi, chi lascia i soldi fermi in banca se ne accolla più di uno.
LASCIARE I SOLDI FERMI SIGNIFICA RIMETTERCI
Tenere troppa liquidità bloccata non è un buon affare per le banche. Ma il discorso vale anche per il correntista che si trova costretto, il più delle volte senza neanche saperlo, a sostenere dei costi. Prima di tutto quelli legati alla gestione del conto corrente, poi i costi dell’imposta di bollo e, infine, quello più significativo in ottica di lungo periodo, legato all’inflazione. Quest’ultima diventa una vera e propria “tassa occulta” in grado di erodere significativamente il patrimonio con il passare degli anni. Lasciare i soldi fermi in banca, quindi, non solo significa non guadagnare, rinunciando agli interessi generati dagli investimenti, ma vuol dire anche perdere soldi.
LE SPESE DI GESTIONE DEL CONTO CORRENTE
Ogni banca applica delle spese di gestione differenti. Le banche online, solitamente, offrono conti correnti con condizioni economiche più vantaggiose rispetto alle banche tradizionali. Sempre secondo l’Abi, una famiglia italiana spende, in media, 87 euro all’anno per la gestione del conto corrente. Se si tratta di un conto online, la cifra scende a 15,50 euro. C’è poi da considerare il prezzo dell’imposta di bollo - 34,20 euro per le persone fisiche, 100 euro per le aziende, le imprese e i titolari di partita Iva - , una tassa con cadenza trimestrale che la banca versa all’Erario, nel caso in cui la giacenza media del conto superi i 5mila euro.
IL COSTO DELL’INFLAZIONE
Proprio in questi giorni si sente parlare dell’aumento dell’inflazione che spaventa le Borse mondiali. Per semplificare, fa paura agli investitori perché un aumento dei prezzi su base annua, potrebbe spingere le banche centrali a rivedere i tassi di interesse, alzandoli e, quindi, interrompendo la politica ultra espansiva che hanno adottato finora per sostenere la ripresa. Se l’inflazione aumenta, cala il valore dei propri risparmi. Almeno di quelli che sono bloccati a non fare niente. Di quanto? Facciamo un esempio in un anno: 20mila euro depositati nel 2020, diventerebbero 19.839,60 euro alla fine del 2021. Chi mettesse in banca 20mila euro oggi e li lasciasse fermi per 10 anni, nel 2031 quando andrà a ritirarli si troverà solo 16.178,04 euro.
È L’INFLAZIONE, BELLEZZA!
Per effettuare il calcolo, si sono utilizzati i dati Istat all’inflazione CPI registrati in Italia dal 1956, e per gli anni futuri si è preso in considerazione il tasso di inflazione stimato per il 2021 della Bce all’1%, con un target di inflazione al 2%. La proiezione riguarda un conto privo di remunerazione, come ormai tutti i conti correnti bancari. I conti deposito, invece, garantiscono un tasso di interesse ormai quasi irrisorio. Da sottolineare, inoltre, la maggiore tassazione del conto deposito rispetto al conto corrente: l’imposta di bollo annuale complessiva è pari allo 0,20%, mentre i rendimenti sono soggetti ad un’imposta del 26%.
LE PERFORMANCE DELLE AZIONI E DELLE OBBLIGAZIONI
Se da un lato il patrimonio lasciato in balìa dell’inflazione è destinato a sgretolarsi, dall’altro non può essere accresciuto dalle performance degli strumenti finanziari. Le opportunità di investimento mancate in azioni globali, per esempio, nel corso degli ultimi 120 anni, peserebbero per il 5,2%, contro il 2% delle obbligazioni e lo 0,8% dei titoli di Stato a breve termine. Nell’ultimo decennio, il rendimento reale delle azioni globali, ovvero al netto dell’inflazione, si è attestato ad un +7,6% annualizzato rispetto ad un rendimento reale delle obbligazioni pari al +3,6%, secondo le stime del Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2020.
GLI ULTIMI 10 ANNI
Ogni investimento finanziario è soggetto a dei rischi. È sempre bene ribadirlo. Ma se ci si dimentica dei soldi sul conto, la perdita del potere d’acquisto è una certezza. Chi investe i propri risparmi, con l’accortezza di puntare su un portafoglio ben diversificato per contenere i rischi e limitare la volatilità, può cogliere le opportunità dei mercati finanziari. Per concludere la nostra analisi, mettiamo sotto la lente gli ultimi 10 anni: la rivalutazione dei titoli di Stato internazionali (JPMorgan government Global bond index) è stata del 43,8%, quella dei titoli di Stato EMU (JPMorgan government EMU bond index) del 52,2% e quella delle Borse mondiali (MSCI world index total return) del 173,2%.
Trending