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Il Bund tedesco resta negativo nonostante l’inflazione, ecco perché

Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM SGR, spiega perché anche con un’inflazione tedesca ormai superiore al 2% il rendimento del Bund risale ma continua a rimanere in territorio negativo

30 Maggio 2021 09:30

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Dopo gli Stati Uniti, le attese d’inflazione salgono anche in Europa, ma come la Fed americana anche la Bce rassicura che si tratta di un fenomeno temporaneo. Sulla spinta del Treasury statunitense, il rendimento del Bund è risalito dai minimi, ma resta in territorio negativo a dispetto di un’inflazione tedesca superiore al 2%. In un commento dedicato alle attese di inflazione e alle reazioni delle banche centrali, Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia di GAM SGR, sottolinea che il leitmotiv che ha condizionato l’andamento dei mercati negli ultimi mesi è certamente legato all’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo e alla conseguente reazione delle banche centrali.

RENDIMENTI MENO IMPATTATI IN EUROPA


In Europa, il rialzo delle attese d’inflazione e dei rendimenti governativi è stato certamente più moderato rispetto agli Stati Uniti, ma non trascurabile. Dopo il crollo del 2020, i prezzi al consumo sono tornati a salire quest’anno, con un dato aggregato dell’1,6% per l’Area Euro e del 2,1% per la Germania, causando un movimento sulle curve dei rendimenti Euro, anche se la reazione dei tassi finora è stata decisamente inferiore a quella dell’inflazione, quantomeno per il Bund. L’esperto di GAM SGR ricorda infatti che il decennale tedesco resta in territorio negativo, anche se di poco e lontano dal rendimento di -0,64% toccato a dicembre.

LE CERTEZZE ASSOLUTE DI FED E BCE


Da un lato la retorica di Fed e Bce afferma con assoluta certezza che l’attuale trend inflazionistico è transitorio e che non ci saranno modifiche a breve delle attuali politiche monetarie. Lo ha ribadito di recente Fabio Panetta, membro del Board della Bce, assicurando che è assolutamente prematuro parlare di tapering e che, stante l’attuale situazione economica, il PEPP da 1.850 miliardi di euro continuerà senza interruzioni almeno fino a marzo del 2022. Ma, osserva Mauri Brusa, uno degli effetti “collaterali” dello stimolo monetario è la riduzione del flottante sul Bund disponibile sul mercato per gli investitori privati.

FLOTTANTE SEMPRE PIÙ SOTTILE PER IL BUND


Banche centrali e Fondi Sovrani hanno ridotto questa disponibilità al 20% dello stock totale alla fine del 2020 e, se si aggiunge quanto detenuto dalle banche commerciali tedesche, il flottante si riduce a un misero 10%, sottolinea Mauri Brusa, mentre era al 60% nel 2004 ed è rimasto oltre il 45% fino all’inizio del 2015, quando è iniziato il QE lanciato allora da Mario Draghi. La scarsità di “carta”, spiega Mauri Brusa, influisce fortemente sui rendimenti, rendendo la curva tedesca meno reattiva rispetto a quella americana e limitandone la risalita pur in presenza di aspettative d’inflazione crescenti.

QUANTO SARÀ TRANSITORIA L’INFLAZIONE?


Questa “inelasticità” è amplificata dalla percepita transitorietà dell’inflazione, ma secondo Mauri Brusa la domanda fondamentale riguarda cosa succederebbe se il concetto di inflazione “transitoria” si dovesse protrarre per un paio d’anni, come avvenuto dopo la crisi del debito del 2011. Mauri Brusa osserva che la Bundesbank difficilmente diventerà venditrice di Bund, ma lo stesso non si può dire per tutti gli altri investitori istituzionali, in particolare quelli internazionali.

POSSIBILI EFFETTI SULLA CURVA DEI RENDIMENTI


Attualmente banche centrali e Fondi Sovrani stranieri detengono oltre 900 miliardi di euro di Bund, ma tra il 2014 e il 2016 avevano ridotto lo stock di ben 150 miliardi, salvo poi ricostituire le loro posizioni negli anni successivi. Secondo l’esperto di GAM SGR è ora probabile che questa dinamica possa riproporsi, con evidenti conseguenze sia sulla curva dei rendimenti tedesca che, a cascata, su tutte le altre curve dell’Area Euro.

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