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Avocado sempre più oro verde, aumenta la produzione in Puglia

Nel corso degli anni questo frutto tropicale è diventato di grande tendenza e ora è destinato a diventare un asset di investimento

23 Giugno 2021 13:23

financialounge -  coldiretti materie prime Puglia Savino Muraglia
Simbolo di un regime alimentare sano ed equilibrato, l'avocado è un frutto molto apprezzato per le sue proprietà nutritive e per la sua versatilità: condimento per insalate, salsa per nachos, ingrediente di toast e panini e così via. La sua produzione però richiede molte risorse che contribuiscono a far aumentare i prezzi. Importare l'avocado dal Sudafrica o dalla California rincarerebbe ulteriormente il prezzo finale, per questo in Italia sono sorte le prime coltivazioni: la Puglia la regione più produttiva. E ora è anche nel mirino degli investitori.

ORO VERDE


Coltivare l'avocado è un processo molto lento: servono 4 anni prima che un campo ottenga il primo raccolto e almeno 15 prima che raggiunga la sua massima produzione. La domanda aumenta e l'offerta non può seguire lo stesso ritmo, così i prezzi aumentano. Ciononostante, il mercato dell'avocado non ha subito importanti oscillazioni durante la pandemia perché la sua vendita è sempre stata garantita dalla costanza delle catena di approvvigionamento e alla continua richiesta da parte dei consumatori. Molto probabilmente, si rivelerà resiliente anche in futuro.

NUMERI DA CAPOGIRO


Attualmente il prezzo dell'avocado si aggira attorno agli 8 euro per un costo ad unità (300gr) di circa 2,50. Ciò non ne arresta la richiesta: secondo la FAO, infatti il consumo di avocado è passato dalle 3.600 tonnellate del 2007 alle oltre 13 mila del 2016 (+261%). Un dato che continua a restare più o meno stabile anche oggi. Per questo consulenti e investitori puntano molto su questa materia prima che sembra non conoscere né crisi né volatilità.

QUALITA' NATURALE


Come dicevamo, coltivare l'avocado è un processo molto lento che richiede molte risorse: acqua, fertilizzanti, controllo dei parassiti, protezione delle piante e potatura. Dai quattro ai cinque anni per ottenere il primo raccolto. E una volta ottenuta la produzione, anche la catena di distribuzione è molto articolata al fine di garantire al consumatore il prodotto fresco e maturo. Un'attenzione così specifica non può fare altro che elevare la qualità del prodotto, cosa che lo renderà sempre più richiesto. La grande attenzione verso uno stile alimentare sano e l'alta qualità del frutto finale renderanno la domanda costante, o addirittura in aumento.

SUD ITALIA TROPICALE


Nel corso degli anni anche l'Italia si è adeguata a questo trend e sono sorte le prime coltivazioni autoctone, complice l'innalzamento delle temperature. La Puglia, ad esempio, ha spinto molto la produzione di frutti tropicali. "In poco tempo si è passati da pochi ettari piantati con frutti tropicali ad oltre 150 ettari con un incremento esponenziale negli ultimi anni - spiega Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia - Il fenomeno della frutta esotica in Puglia spinto anche dall’impegno di tanti giovani agricoltori, è un esempio della capacità di innovazione delle imprese agricole italiane nel settore ortofrutticolo che troppo spesso viene però ostacolata da un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che ha impedito alle imprese di agganciare la ripresa della domanda all’estero, con un crollo nell’ortofrutta fresca esportata nel 2019 dell’11% in quantità e del 7% in valore, rispetto all’anno precedente”.

NON SOLO AVOCADO


Vista la crescente richiesta, in Puglia si coltivano anche altri frutti tropicali quali mango, bacche di Goji, bacche di aronia, banane e lime. Secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè, il 61% dei consumatori sceglierebbe banane, manghi, avocado italiani invece che quelli stranieri e i 71% pagherebbe anche di più per avere la garanzia del made in Italy. Questo dato dimostra quanto al centro delle scelte degli italiani ci sia sempre la sicurezza alimentare considerando che in Italia sia presente il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,8%), quota inferiore di 1,6 volte alla media dell’Unione Europea (1,3%) e ben 7 volte a quella dei Paesi extracomunitari (5,5%).

 

 

 

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