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Disastro Biden, meno male che c’è Powell

Investitori e mercati temevano un errore della Fed, rischio che Powell ha sapientemente cancellato, in contrasto con il disastro combinato a Kabul. La crescita degli Emergenti e l’incognita dell’universo Islam

30 Agosto 2021 08:20

financialounge -  Biden Bullettin emergenti mercati Morning News Powell
Anche agosto se ne va, con tutte le turbolenze che tradizionalmente si scatenano nel mese, soprattutto sul versante geopolitico, finite sullo sfondo nei radar di mercati e investitori, che sono rimasti tutto l’anno concentrati sul rischio più temuto, quello di un errore di politica monetaria da parte della Federal Reserve. Le pillole avvelenate certo non mancavano, dal risveglio violento e non del tutto previsto dell’inflazione, all’esuberanza della ripartenza economica cifrata dai dati ad alta frequenza, fino a un mercato del lavoro che potrebbe dare l’illusione di essere tornato alla piena normalità. Il tutto condito da uscite estemporanee di qualche governatore, come Robert Steven Kaplan, presidente della Fed di Dallas, che a inizio agosto ha gridato al lupo sull’inflazione per poi fare parzialmente marcia indietro. Nella sua apparizione alla Jackson Hole virtuale di venerdì 27 agosto il numero uno della banca centrale Jerome Powell non ha abboccato, ha preparato la strada all’avvio di un tapering morbido entro l’anno, tenendo ben fermo al primo posto della sua agenda il ritorno stabile e consolidato alla piena occupazione, lasciando invece sullo sfondo l’inflazione, infischiandosi altamente dell’aumento delle previsioni arrivate dalla Casa Bianca.

UNA DIFFERENZA SOPRATTUTTO DI ‘EXECUTION’


Gli investitori hanno apprezzato e spinto a nuovi massimi i principali indici di Wall Street, evitando sia di precipitarsi a comprare che scatenarsi a vendere i titoli del Tesoro, come era successo a più riprese in corso d’anno. A differenza dei tempi di Donald Trump, a quasi un anno dal cambio di guardia alla Casa Bianca non si registrano battibecchi tra il presidente degli Stati Uniti e quello della Fed, anche perché di questi tempi Joe Biden ha ben altri grattacapi, a cominciare dalla catastrofica uscita dall’Afghanistan, insanguinata dall’attentato dell’Isis (o come si chiama ora) andata all’attacco sia degli americani che dei talebani. Ma c’è anche il passaggio del pacchetto di investimenti da 3.500 miliardi di dollari, non ancora portato a casa, con divergenze notevoli anche in campo democratico. Gli errori di Biden a Kabul sono stati indubbiamente clamorosi in termini di ‘execution’. L’uscita dall’Afghanistan era pianificata dai tempi di Trump ed era stata negoziata con i talebani perché avvenisse in modo ordinato e controllato. Invece è stata prima una figuraccia globale e poi un letterale bagno di sangue, condito da lacrime in diretta tv mai viste prima da parte di un presidente americano.

UN ALTRO COMMANDER IN CHIEF A WASHINGTON


Ovviamente i disastri che lasciano sul campo centinaia di morti innocenti non sono paragonabili agli effetti di un crollo di mercato o di una violenta frenata dell’economia, anche se alla fine sempre di destini umani si tratta. Per fortuna, è il caso di dirlo, agli errori logistico-militari dell’Amministrazione Biden non sono seguiti a ruota errori di politica monetaria, grazie all’impeccabile ‘execution’ di Powell. È anche la forza dell’America, se alla Casa Bianca c’è un ‘commander in chief’ confuso che non sa che pesci pigliare, a poco più di un miglio di distanza, nel maestoso edificio neoclassico che ospita la Fed, c’è n’è un altro che sa bene cosa fare e soprattutto ‘come’ farlo, il che spesso fa la differenza tra successo e disastro. L’Afghanistan, con la sua ventina di miliardi di dollari di PIL e un reddito pro-capite che non arriva a mille dollari l’anno non rappresenta certo un fattore per economie e mercati. Ma simboleggia in miniatura il bivio che ha di fronte l’universo musulmano, che conta più o meno un quinto dell’umanità, concentrato tra Africa, Medio Oriente e Sud Est asiatico.

AFGHANISTAN ANCHE UN TEST PER L’UNIVERSO EMERGENTE


Sono, con qualche eccezione nel Golfo, tutti paesi che rientrano nel grande universo dei mercati e delle economie emergenti, che tutti gli esperti e gli investitori considerano i protagonisti della crescita, con le loro classi medie in costante espansione, sostenute non più dal vantaggio del basso costo del lavoro e delle produzioni ma sempre più da una capacità propria di spesa per consumi e investimenti. Non tutti i paesi a larga maggioranza musulmana sono uguali, l’Indonesia è il più grande di tutti ma anche tra i meno esposti alle tensioni ideologiche e alla violenza. In generale però, non c’è dubbio che il radicalismo e l’ancoraggio a stili di vita come minimo ‘datati’ rappresenta un freno a mano tirato che impedisce l’aggancio al treno della crescita e dell’avanzata tecnologica globale. In Afghanistan, almeno una fazione dei talebani sembra iniziare a riflettere sul fatto che governare vuol dire anche in qualche modo avviare la transizione verso qualche forma di modernità. Ai terroristi dell’Isis non piace e vogliono inchiodarli alle logiche del passato.

UN POTENZIALE FORMIDABILE


Paesi ben più ‘pesanti’, come Nigeria e Iran, hanno un formidabile potenziale di crescita represso dall’ancoraggio ideologico e dalle tensioni violente conseguenti. Guardando un po’ oltre il presente insanguinato, magari l’Afghanistan potrebbe diventare un laboratorio per capire se qualche forma di transizione è possibile e con quali modalità. Tutto sommato, anche a quelli che sembrano i nuovi ‘santi protettori’, Cina e Russia, alla fine conviene un mondo che continua a crescere economicamente, a prescindere dalle bandiere piantate nei vari paesi. Per questo, come chiede Mario Draghi, bisogna aggiungere molti posti al tavolo del vecchio G7, dove siede tra i grandi il Canada ma non Cina e India.

BOTTOM LINE


Powell si sta rivelando una garanzia per i mercati e la prima economia del pianeta, e con la sua linea di prudenza e saggezza sull’uscita dallo stimolo monetario si è probabilmente guadagnato la conferma alla guida della Federal Reserve fino all’inizio del 2026. La disastrosa gestione afgana di Biden è più una debacle personale che americana, a meno che non ci metta ancora del suo per peggiorare le cose. Intanto guardare con attenzione cosa succede nello sterminato universo che si ispira all’Islam è importante anche per capire le potenzialità e i rischi del percorso di crescita globale.

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