Dan Scott
Vontobel: l'inflazione è come il colesterolo, esiste anche quella buona
Dan Scott, Chief Investment Officer di Vontobel, sottolinea che un’inflazione modesta riflette la solidità della crescita e può contenere il costo del debito pubblico
6 Settembre 2021 16:52
Se va fuori controllo, come di recente in paesi come lo Zimbabwe, è una piaga per l'umanità, con gli stipendi che si svalutano sensibilmente da un giorno all’altro, è la ricetta per il declino dell'economia e persino per una rivoluzione. L'Europa, perseguitata dai ricordi dell'iperinflazione un secolo fa, può essere particolarmente sensibile ai segnali di aumento dei prezzi. Ma, come per il colesterolo, c'è un’inflazione cattiva e una buona. In quantità modesta è sana, riflette la solidità della crescita economica, degli utili aziendali o dei salari. C’è n’è bisogno come per le lipoproteine ad alta densità, il colesterolo "buono" che pulisce il sangue.
Lo sostiene Dan Scott, Chief Investment Officer di Vontobel, ricordando che dopo crisi finanziaria globale le banche centrali hanno cercato disperatamente di far risalire l'inflazione, purtroppo senza successo. Un aumento moderato dei prezzi tra il 4% o 5% circa sull'anno, in una fase di ripresa economica, dà alle autorità monetarie la possibilità di tagliare i tassi se arriva la recessione. Le tendenze deflazionistiche, legate alla digitalizzazione, all'invecchiamento della popolazione e alla globalizzazione, si invece dimostrate più incisive delle misure delle banche centrali.
Fino a poco fa, l’inflazione a doppia cifra sembra un fenomeno del passato per i paesi avanzati, sono livelli raggiunti in tempo di guerra tra il 1800 e la seconda guerra mondiale, e di nuovo durante gli "shock petroliferi" negli anni Settanta, il che ha portato le banche centrali a rivedere l’approccio di politica monetaria. Anche ora in varie aree l'inflazione registra dei picchi, e Scott si chiede se sia finalmente la conseguenza delle straordinarie misure delle maggiori banche centrali, ma solo per rispondere che il rialzo degli ultimi mesi è ancora principalmente dovuto agli effetti base, a pattern stagionali e ad alcune difficoltà a incrementare la capacità produttiva di motori già ben avviati.
Anche se si rivelasse qualcosa di più di un segnale sul radar dell'inflazione, secondo Scott non sarebbe molto preoccupante se l'aumento restasse sotto controllo, perché un'inflazione moderata, è anche un segno di vigorosa attività economica, e può contribuire a ridurre il debito pubblico, perché ne riduce il costo. Per questo argomenta l’esperto di Vontobel, dovremmo temere la deflazione, non l'inflazione, perché può essere molto più devastante e senza alcun aspetto positivo. Nei periodi di generalizzato calo dei prezzi, i consumatori non sono incentivati a spendere, le società devono tagliare i costi e licenziare, innescando un ciclo ribassista tossico.
In passato le tendenze deflazionistiche si sono dimostrate difficili da interrompere, sottolinea Scott ricordando il caso del Giappone, che per anni ha usato tutti i mezzi per contrastare la deflazione e cercare di sostenere i prezzi. La ‘giapponesizzazione’ dell'economia globale è ciò che banche centrali e governi hanno cercato di evitare. Secondo l’esperto di Vontobel, la liquidità iniettata nel nostro sistema globale dovrebbe alla fine portare almeno un'inflazione moderata. In tal caso, conclude Scott, potremmo assistere a una ripetizione dei ‘ruggenti anni Venti’, mentre se le cose dovessero andare diversamente, potremmo invece doverci preparare a un decennio perduto in stile giapponese.
POSITIVA UN’INFLAZIONE MODERATA
Lo sostiene Dan Scott, Chief Investment Officer di Vontobel, ricordando che dopo crisi finanziaria globale le banche centrali hanno cercato disperatamente di far risalire l'inflazione, purtroppo senza successo. Un aumento moderato dei prezzi tra il 4% o 5% circa sull'anno, in una fase di ripresa economica, dà alle autorità monetarie la possibilità di tagliare i tassi se arriva la recessione. Le tendenze deflazionistiche, legate alla digitalizzazione, all'invecchiamento della popolazione e alla globalizzazione, si invece dimostrate più incisive delle misure delle banche centrali.
ALTA INFLAZIONE FENOMENO DEL PASSATO
Fino a poco fa, l’inflazione a doppia cifra sembra un fenomeno del passato per i paesi avanzati, sono livelli raggiunti in tempo di guerra tra il 1800 e la seconda guerra mondiale, e di nuovo durante gli "shock petroliferi" negli anni Settanta, il che ha portato le banche centrali a rivedere l’approccio di politica monetaria. Anche ora in varie aree l'inflazione registra dei picchi, e Scott si chiede se sia finalmente la conseguenza delle straordinarie misure delle maggiori banche centrali, ma solo per rispondere che il rialzo degli ultimi mesi è ancora principalmente dovuto agli effetti base, a pattern stagionali e ad alcune difficoltà a incrementare la capacità produttiva di motori già ben avviati.
IL NEMICO DA TEMERE È LA DEFLAZIONE
Anche se si rivelasse qualcosa di più di un segnale sul radar dell'inflazione, secondo Scott non sarebbe molto preoccupante se l'aumento restasse sotto controllo, perché un'inflazione moderata, è anche un segno di vigorosa attività economica, e può contribuire a ridurre il debito pubblico, perché ne riduce il costo. Per questo argomenta l’esperto di Vontobel, dovremmo temere la deflazione, non l'inflazione, perché può essere molto più devastante e senza alcun aspetto positivo. Nei periodi di generalizzato calo dei prezzi, i consumatori non sono incentivati a spendere, le società devono tagliare i costi e licenziare, innescando un ciclo ribassista tossico.
LA LIQUIDITÀ INIETTATA DOVREBBE FARE EFFETTO
In passato le tendenze deflazionistiche si sono dimostrate difficili da interrompere, sottolinea Scott ricordando il caso del Giappone, che per anni ha usato tutti i mezzi per contrastare la deflazione e cercare di sostenere i prezzi. La ‘giapponesizzazione’ dell'economia globale è ciò che banche centrali e governi hanno cercato di evitare. Secondo l’esperto di Vontobel, la liquidità iniettata nel nostro sistema globale dovrebbe alla fine portare almeno un'inflazione moderata. In tal caso, conclude Scott, potremmo assistere a una ripetizione dei ‘ruggenti anni Venti’, mentre se le cose dovessero andare diversamente, potremmo invece doverci preparare a un decennio perduto in stile giapponese.