L'analisi
L’Energy crunch non solo causa inflazione, ma può frenare la crescita
Il Bond Bulletin settimanale del team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan AM consiglia gli investitori obbligazionari di andare su duration brevi. Europa più esposta al caro energia
di Stefano Caratelli 26 Ottobre 2021 20:00
Mentre il dibattito sull’inflazione si fa sempre più acceso, è utile esaminare i fattori che determinano il rialzo e le implicazioni sulle politiche delle Banche Centrali a termine. I prezzi elevati dell’energia si ripercuotono sull’inflazione e potrebbero, indirettamente, far salire i rendimenti obbligazionari. Per questo nell’attuale contesto, la scelta migliore per gli investitori sarebbe posizionare i portafogli per una duration breve. Inoltre, l’impennata dei prezzi dell’energia espone più l’Europa fortemente dipendente dalle importazioni a un rischio elevato, mentre avvantaggia i Paesi esportatori. Con tassi d’inflazione di breakeven a 10 anni già sui massimi post-2008 nel Regno Unito, ai massimi decennali in Germania e al livello più alto da maggio negli Stati Uniti, gli investitori dovrebbero tentare di capire quando il mercato smetterà di guardare al caro energia come causa di forte inflazione per considerarlo un freno alla crescita.
Sono le conclusioni del Bond Bulletin settimanale, a cura dal team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management, secondo cui i mercati obbligazionari dovranno confrontarsi con un’impennata inflazionistica più lunga del previsto. Negli Stati Uniti, a settembre l’inflazione ha bissato l’incremento più consistente dal 2008, e le Banche Centrali temono sempre più che se il fenomeno dovesse persistere, potrebbe a lungo andare, sfociare in rivendicazioni salariali e incidere sulle aspettative. A novembre la Fed dovrebbe annunciare il ridimensionamento degli acquisti, Banca d’Inghilterra ha prospettato la possibilità di un rialzo dei tassi, mentre esattamente opposto è l’orientamento della BCE.
Il chief economist Philip Lane ha detto che la BCE guarderà oltre i fattori inflativi transitori, sembrando non tener conto delle difficoltà delle filiere produttive, che dovrebbero proseguire fino a 2022 inoltrato, né dei crescenti timori sul rincaro del gas naturale, che a settembre hanno spinto l’inflazione 3,4%, con aspettative che rimangono sopra gli obiettivi della banca centrale. Il nervoso dibattito sull’inflazione ha fatto salire i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito. La crescita, tuttora superiore al tendenziale, e l’annuncio della Fed, stanno spingendo i rendimenti dei Treasury verso l’obiettivo prospettico a sei mesi dell’1,5-2,0% indicato da J. P. Morgan Asset Management.
Per di più, sottolinea il Bond Bulletin, il mercato sta scontando un aumento dei tassi solo dello 0,4%, nonostante l’inflazione statunitense viaggi sopra l’obiettivo della Fed. Nel Regno Unito e in Canada, invece, il mercato si aspetta un aumento dei tassi superiore a 0,8 punti percentuali, mentre nell’Eurozona sta scontando un aumento di appena 10 punti base di qui a fine 2022. In questo quadro, il team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management ritiene che gli investitori farebbero bene a tenere un posizionamento breve di duration, sottopesando i mercati dove la normalizzazione arriverà prima. La preferenza è per un posizionamento trasversale su più mercati, privilegiando i Bund ai Treasury, alla luce delle diverse politiche adottate per affrontare l’inflazione.
ONDATA INFLAZIONISTICA PIÙ LUNGA DEL PREVISTO
Sono le conclusioni del Bond Bulletin settimanale, a cura dal team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management, secondo cui i mercati obbligazionari dovranno confrontarsi con un’impennata inflazionistica più lunga del previsto. Negli Stati Uniti, a settembre l’inflazione ha bissato l’incremento più consistente dal 2008, e le Banche Centrali temono sempre più che se il fenomeno dovesse persistere, potrebbe a lungo andare, sfociare in rivendicazioni salariali e incidere sulle aspettative. A novembre la Fed dovrebbe annunciare il ridimensionamento degli acquisti, Banca d’Inghilterra ha prospettato la possibilità di un rialzo dei tassi, mentre esattamente opposto è l’orientamento della BCE.
RENDIMENTI DEI TREASURY
Il chief economist Philip Lane ha detto che la BCE guarderà oltre i fattori inflativi transitori, sembrando non tener conto delle difficoltà delle filiere produttive, che dovrebbero proseguire fino a 2022 inoltrato, né dei crescenti timori sul rincaro del gas naturale, che a settembre hanno spinto l’inflazione 3,4%, con aspettative che rimangono sopra gli obiettivi della banca centrale. Il nervoso dibattito sull’inflazione ha fatto salire i rendimenti dei titoli di Stato a 10 anni negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito. La crescita, tuttora superiore al tendenziale, e l’annuncio della Fed, stanno spingendo i rendimenti dei Treasury verso l’obiettivo prospettico a sei mesi dell’1,5-2,0% indicato da J. P. Morgan Asset Management.
IL MERCATO SCONTA AUMENTI CONTENUTI DEI TASSI
Per di più, sottolinea il Bond Bulletin, il mercato sta scontando un aumento dei tassi solo dello 0,4%, nonostante l’inflazione statunitense viaggi sopra l’obiettivo della Fed. Nel Regno Unito e in Canada, invece, il mercato si aspetta un aumento dei tassi superiore a 0,8 punti percentuali, mentre nell’Eurozona sta scontando un aumento di appena 10 punti base di qui a fine 2022. In questo quadro, il team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management ritiene che gli investitori farebbero bene a tenere un posizionamento breve di duration, sottopesando i mercati dove la normalizzazione arriverà prima. La preferenza è per un posizionamento trasversale su più mercati, privilegiando i Bund ai Treasury, alla luce delle diverse politiche adottate per affrontare l’inflazione.