L'analisi
Transizione climatica: rischi ed opportunità per Paesi e settori
Per il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley IM, se da un lato la spinta per raggiungere zero emissioni rappresenta un rischio per coloro che nei settori ad alte emissioni stanno accumulando ritardo, dall’altro può creare opportunità per chi favorisce l’innovazione
di Stefano Caratelli 5 Novembre 2021 07:50
COP26, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è un’occasione importante, forse l’ultima, per prendere decisioni concrete a livello globale e fermare il cambiamento climatico che sta comportando gravi danni al pianeta. L’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro la metà del secolo si prospetta come uno dei temi determinanti per i mercati finanziari nei decenni a venire.
Il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley IM ha sviluppato un approccio scientifico che realizza la decarbonizzazione delle posizioni core del portafoglio in base allo scenario di riscaldamento medio di 1,5°C, in linea con le più recenti raccomandazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), e punta a raggiungere la neutralità carbonica dell’esposizione azionaria entro il 2050. Tale approccio si basa sui punteggi ottenuti dalle società relativi ai fattori ESG e alla transizione verso una riduzione delle emissioni e va poi integrato con l’ormai consolidato processo di asset allocation. “Puntare a una crescita basata su emissioni elevate – hanno sottolineato i membri del team Global Balanced Risk Control (GBaR) di Morgan Stanley Investment Management, Andrew Harmstone, Managing Director, Li Zhang, Executive Director, e Christian Goldsmith, Executive Director - comporterà molto probabilmente una distruzione del valore in conseguenza dei maggiori cambiamenti sul versante delle tecnologie e della regolamentazione. Il fattore determinante della crescita economica e di una forte riduzione delle emissioni sarà l’innovazione nello sviluppo di soluzioni innovative. Ecco perché secondo noi gli investitori continueranno a chiedere che i portafogli vengano allineati non solo alla riduzione dei rischi, ma anche alla possibilità di cogliere le opportunità presentate dalla transizione verso un’economia a basse emissioni”.
La recente pubblicazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sulle conseguenze fisiche dei cambiamenti climatici non lascia adito a dubbi: le attività umane, in particolare l’impiego di combustibili fossili, sta portando a un riscaldamento del pianeta e provocando eventi meteorologici estremi. Occorre perciò intervenire con urgenza, altrimenti supereremo quasi sicuramente il target dei 2°C prima del finire del secolo.
La COP26 è l’occasione per i Paesi membri di aggiornare i propri contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions, NDC) per la prima volta da quando l’Accordo di Parigi sul clima è stato sottoscritto, nel 2015. Ad agosto 2021, erano soltanto 107 i Paesi ad aver presentato i loro nuovi obiettivi NDC: molti di questi non sono stati ritenuti adeguati, mentre altre nazioni non hanno proprio presentato i propri obiettivi.
Ruolo cruciale rimane quello della Cina che emette da sola più di un quarto delle emissioni globali. Di recente, Pechino ha annunciato l’intenzione di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 e di portare al 25% del totale nazionale il consumo di energia verde entro il 2030, ma alle intenzioni non sono seguiti fatti concreti, soprattutto per l’aumento su base annua del consumo di carbone. Anche gli Stati Uniti, nella propria veste di potenza globale, svolgono un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico e i loro NDC segneranno la strada. L’amministrazione Biden si è impegnata ad accelerare la transizione verde, investendo miliardi di dollari in infrastrutture per l’energia pulita e nell’efficientamento dei consumi energetici e per dimezzare (obiettivo minimo) le emissioni nette entro il 2030 (una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005).
L’Europa si considera da sempre all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici. La svolta principale si è avuta quando, nel dicembre del 2019, l’UE ha varato l’European Green Deal, un programma teso a favorire il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050. Nel luglio del 2021, la Commissione europea ha proposto il ricco pacchetto legislativo “Fit for 55”, che si propone si supportare una riduzione più ambiziosa e più nel breve termine dei gas serra, pari ad almeno 55% entro il 2030.
Per un vero cambiamento di rotta, sottolineano gli autori del report, non si può prescindere dal passaggio dai combustibili fossili (in particolare carbone e petrolio) alle fonti rinnovabili, migliorando al contempo l’efficienza delle reti elettriche e dei consumi energetici. Le utility che sapranno decarbonizzare i rispettivi portafogli in modo efficiente saranno in grado di ridurre anche il rischio dei prezzi delle emissioni in modo più efficiente.
L’utilizzo di combustibili fossili nel settore dei trasporti genera il 24% circa delle emissioni dirette di CO2 e i veicoli su strada contribuiscono a questa percentuale per tre quarti circa: è evidente come anche questo settore sarà interessato da una rivoluzione nei prossimi anni. In particolar modo si assisterà, secondo il team GBaR di Morgan Stanley IM, a un aumento della domanda di veicoli elettrici. Un incremento delle vendite di automobili elettriche si è già registrato nell’ultimo decennio, e nel 2018 il numero di unità ha superato la soglia dei 5 milioni, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, le vendite globali di tali veicoli costituiscono ancora solo il 2,6% delle vendite totali di auto a livello globale e nel 2019 erano solo l’1% di tutti i mezzi circolanti.
Esercitando un’influenza diretta e indiretta sull’economia, il settore finanziario può svolgere un ruolo rilevante nel tracciare il percorso verso la neutralità carbonica. Le società finanziarie che sono particolarmente esposte ad attività con un’elevata intensità di carbonio (sia tramite finanziamenti che attraverso i portafogli di investimento) rischiano di ritrovarsi posizionate in modo controproducente se la normativa o gli sviluppi tecnologici rendono tali settori meno sostenibili. Sul fronte opposto, quelle che colgono l’opportunità possono beneficiare dei maggiori ricavi e dei vantaggi reputazionali derivanti dal fatto di aver contribuito alla svolta ecologica. Occorre un’attenta analisi per individuare le opportunità migliori per gli investitori e, nello stesso tempo, aiutare la transizione ecologica.
L’APPROCCIO MORGAN STANLEY IM
Il team Global Balanced Risk Control di Morgan Stanley IM ha sviluppato un approccio scientifico che realizza la decarbonizzazione delle posizioni core del portafoglio in base allo scenario di riscaldamento medio di 1,5°C, in linea con le più recenti raccomandazioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), e punta a raggiungere la neutralità carbonica dell’esposizione azionaria entro il 2050. Tale approccio si basa sui punteggi ottenuti dalle società relativi ai fattori ESG e alla transizione verso una riduzione delle emissioni e va poi integrato con l’ormai consolidato processo di asset allocation. “Puntare a una crescita basata su emissioni elevate – hanno sottolineato i membri del team Global Balanced Risk Control (GBaR) di Morgan Stanley Investment Management, Andrew Harmstone, Managing Director, Li Zhang, Executive Director, e Christian Goldsmith, Executive Director - comporterà molto probabilmente una distruzione del valore in conseguenza dei maggiori cambiamenti sul versante delle tecnologie e della regolamentazione. Il fattore determinante della crescita economica e di una forte riduzione delle emissioni sarà l’innovazione nello sviluppo di soluzioni innovative. Ecco perché secondo noi gli investitori continueranno a chiedere che i portafogli vengano allineati non solo alla riduzione dei rischi, ma anche alla possibilità di cogliere le opportunità presentate dalla transizione verso un’economia a basse emissioni”.
L’ALLARME DELL’IPCC
La recente pubblicazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sulle conseguenze fisiche dei cambiamenti climatici non lascia adito a dubbi: le attività umane, in particolare l’impiego di combustibili fossili, sta portando a un riscaldamento del pianeta e provocando eventi meteorologici estremi. Occorre perciò intervenire con urgenza, altrimenti supereremo quasi sicuramente il target dei 2°C prima del finire del secolo.
COP26, UN’OCCASIONE IMPERDIBILE
La COP26 è l’occasione per i Paesi membri di aggiornare i propri contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions, NDC) per la prima volta da quando l’Accordo di Parigi sul clima è stato sottoscritto, nel 2015. Ad agosto 2021, erano soltanto 107 i Paesi ad aver presentato i loro nuovi obiettivi NDC: molti di questi non sono stati ritenuti adeguati, mentre altre nazioni non hanno proprio presentato i propri obiettivi.
RUOLO CRUCIALE DI CINA E USA
Ruolo cruciale rimane quello della Cina che emette da sola più di un quarto delle emissioni globali. Di recente, Pechino ha annunciato l’intenzione di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060 e di portare al 25% del totale nazionale il consumo di energia verde entro il 2030, ma alle intenzioni non sono seguiti fatti concreti, soprattutto per l’aumento su base annua del consumo di carbone. Anche gli Stati Uniti, nella propria veste di potenza globale, svolgono un ruolo chiave nella lotta al cambiamento climatico e i loro NDC segneranno la strada. L’amministrazione Biden si è impegnata ad accelerare la transizione verde, investendo miliardi di dollari in infrastrutture per l’energia pulita e nell’efficientamento dei consumi energetici e per dimezzare (obiettivo minimo) le emissioni nette entro il 2030 (una riduzione del 50-52% rispetto ai livelli del 2005).
EUROPA ALL’AVANGUARDIA
L’Europa si considera da sempre all’avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici. La svolta principale si è avuta quando, nel dicembre del 2019, l’UE ha varato l’European Green Deal, un programma teso a favorire il raggiungimento dell’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050. Nel luglio del 2021, la Commissione europea ha proposto il ricco pacchetto legislativo “Fit for 55”, che si propone si supportare una riduzione più ambiziosa e più nel breve termine dei gas serra, pari ad almeno 55% entro il 2030.
LA SFIDA GREEN DELLE UTILITY
Per un vero cambiamento di rotta, sottolineano gli autori del report, non si può prescindere dal passaggio dai combustibili fossili (in particolare carbone e petrolio) alle fonti rinnovabili, migliorando al contempo l’efficienza delle reti elettriche e dei consumi energetici. Le utility che sapranno decarbonizzare i rispettivi portafogli in modo efficiente saranno in grado di ridurre anche il rischio dei prezzi delle emissioni in modo più efficiente.
VERSO I VEICOLI ELETTRICI
L’utilizzo di combustibili fossili nel settore dei trasporti genera il 24% circa delle emissioni dirette di CO2 e i veicoli su strada contribuiscono a questa percentuale per tre quarti circa: è evidente come anche questo settore sarà interessato da una rivoluzione nei prossimi anni. In particolar modo si assisterà, secondo il team GBaR di Morgan Stanley IM, a un aumento della domanda di veicoli elettrici. Un incremento delle vendite di automobili elettriche si è già registrato nell’ultimo decennio, e nel 2018 il numero di unità ha superato la soglia dei 5 milioni, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, le vendite globali di tali veicoli costituiscono ancora solo il 2,6% delle vendite totali di auto a livello globale e nel 2019 erano solo l’1% di tutti i mezzi circolanti.
IL RUOLO DETERMINANTE DELLA FINANZA
Esercitando un’influenza diretta e indiretta sull’economia, il settore finanziario può svolgere un ruolo rilevante nel tracciare il percorso verso la neutralità carbonica. Le società finanziarie che sono particolarmente esposte ad attività con un’elevata intensità di carbonio (sia tramite finanziamenti che attraverso i portafogli di investimento) rischiano di ritrovarsi posizionate in modo controproducente se la normativa o gli sviluppi tecnologici rendono tali settori meno sostenibili. Sul fronte opposto, quelle che colgono l’opportunità possono beneficiare dei maggiori ricavi e dei vantaggi reputazionali derivanti dal fatto di aver contribuito alla svolta ecologica. Occorre un’attenta analisi per individuare le opportunità migliori per gli investitori e, nello stesso tempo, aiutare la transizione ecologica.