Il dopo Mattarella

Nella corsa al Quirinale votano anche i mercati, perché Mario Draghi è la scelta giusta

Investitori pronti a ritirare la fiducia all’Italia se non avranno la garanzia dell’ex capo della Bce come presidente della Repubblica. Meglio sette anni al Quirinale che solo pochi mesi a Palazzo Chigi

di Stefano Caratelli 28 Dicembre 2021 08:00

financialounge -  elezioni Mario Draghi mercati Morning News Quirinale
Un anno fa di questi tempi gli investitori esposti sull’Italia guardavano al nuovo anno con una certa apprensione. Nonostante il recupero dai minimi da Covid la Borsa di Milano continuava a sotto-performare e lo spread BTP-BUND mandava segnali di tensione. Si avvicinava la scadenza del Recovery Plan e c’era la prospettiva di un vestito di Arlecchino cucito a misura delle mille istanze dei partiti della coalizione, destinato alla bocciatura della Ue, il che avrebbe potuto spedire lo spread ai massimi di maggio 2018. Poi, come auspicato anche da Financialounge.com, Draghi ha preso il timone, accompagnando Piazza Affari a un ottimo 2021, con una performance positiva del 22%, mentre lo spread è rimasto sotto controllo nonostante il balzo del debito/Pil a ben oltre il 150% rispetto al 135% pre-Covid. Un anno fa il principale appeal dell’azionario italiano erano i prezzi da saldi, da quando c’è Draghi attira gli investitori per le prospettive di solida crescita con un saldo ancoraggio in Europa.

EQUAZIONE A TRE INCOGNITE


Ma ora torna il nervosismo e iniziano tre settimane con un’equazione a tre incognite. Verso il 20 gennaio il Parlamento sarà convocato per eleggere il successore del presidente Mattarella, con tre esiti possibili: il premier Draghi trasloca da Palazzo Chigi al colle più alto dopo meno di un anno, oppure resta dove sta per portare avanti Pnrr e il resto fino alla scadenza della legislatura nella primavera del 2023 e al Quirinale arriva un nome che magari non è neanche tra quelli del toto-Presidente, o infine le convulsioni politiche lo costringono a gettare la spugna. L’ultima variabile, che potrebbe verificarsi se i partiti trasformassero l’elezione del Presidente in un anticipo del voto politico del 2023, sarebbe catastrofica e i mercati ritirerebbero immediatamente la fiducia che da febbraio non hanno lesinato all’ex capo della Bce. Sarebbe un disastro anche per l’Europa, che sta cercando un nuovo equilibrio post-Merkel e post-Brexit sul triangolo Parigi-Roma Berlino.

UNA LUNGHISSIMA CAMPAGNA ELETTORALE


Ma anche il secondo esito, favorito da diversi investitori che preferiscono un Draghi garante del Pnrr e della ripresa economica a Palazzo Chigi per un altro annetto, non sembra così auspicabile. Dopo l’elezione del successore di Mattarella si aprirà infatti una lunghissima campagna elettorale con (tanti) partiti sempre più interessati a inseguire il consenso elettorale esibendo più quello che li fa diversi da quello che li unisce, rendendo così incrementalmente difficile il compito del premier di una coalizione larghissima che però alle elezioni si presenterà divisa. La prima resta la scelta più auspicabile, perché consentirebbe al Draghi presidente della Repubblica, eletto dalla larghissima maggioranza che oggi lo sostiene come premier, di ‘orientare’ il Parlamento senza mettere a rischio la tenuta del governo.

MEGLIO ANCORA SE SI VOTA PRIMA


In questo scenario, la guida dell’esecutivo potrebbe essere lasciata a un ‘garante’ dell’equidistanza e della neutralità del governo stesso nel lunghissimo anno elettorale che ci aspetta. E se magari accorciasse l’orizzonte all’autunno, quel che basta al migliaio di deputati e senatori che ancora compongono il Parlamento per arrivare alla pensione, non sarebbe per niente male. Con Draghi al Quirinale garante della continuità europea e del Pnrr anche con le nuove Camere, un anticipo del voto potrebbe essere positivo se non altro perché cancellerebbe 5-6 mesi di surriscaldamento pre-elettorale dei rapporti tra i partiti. I mercati hanno ovviamente già annusato la criticità delle prossime settimane, lo spread BTP-BUND si è avvicinato ai 140 punti e anche per la Borsa italiana potrebbero essere in arrivo sedute complicate.

UN AIUTO ANCHE PER LAGARDE


Draghi al Quirinale garante del Pnrr e della crescita aiuterebbe moltissimo anche Christine Lagarde a continuare a supportare la sostenibilità del debito italiano per tutto il tempo necessario a invertire sensibilmente la dinamica del rapporto con il Pil. Con il Pandemic Emergency Purchase Programme che scade a marzo, la Bce ha assorbito finora 250 miliardi di debito italiano, con la conseguenza non banale che per Roma il costo del debito sia sceso al 3,1% del Pil contro il 4,5% del 2007, prima della Crisi Finanziaria e prima di quella del debito sovrano del 2011-2012, quando il rapporto con il Pil viaggiava appena sopra il 100% e lo spread era un termine sconosciuto a investitori e opinioni pubbliche.

GLI ACQUISTI POSSONO CONTINUARE ANCHE DOPO IL PEPP


La fine del Pepp non vuol dire fine degli acquisti della Bce, che proseguiranno rafforzati con il vecchio Quantitative Easing, sempre che la politica italiana non si avviti di nuovo in uno scomposto ‘tutti contro tutti’. Le stime puntano all’assorbimento da parte della Banca centrale di 60 miliardi nel 2022, pari al 75% delle emissioni nette attese. E la Bce non è l’unico compratore di debito italiano. Gli investitori giapponesi sono stati in prima linea nel 2021, ma da ottobre hanno chiuso i rubinetti.

BOTTOM LINE


Per gli investitori esposti all’Italia e anche all’Europa, che Draghi resti è cruciale. Se resta da presidente della Repubblica e si tira fuori dalla campagna elettorale in arrivo, ancora meglio. Qualche tensione accompagnata da nervosismo sui mercati nelle prossime settimane sembra inevitabile. L’importante è che sia limitata ai tempi dell’elezione, e che per febbraio sia alle spalle. L’alternativa sono 18 mesi da incubo.

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