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Nuove frontiere di business

Ecco come sta cambiando l’industria dei videogame

Free to play, microtransazioni e “game as a service”: i publisher producono meno giochi ma aumentano i guadagni sempre più con i servizi “extra”

di Stefano Silvestri 18 Febbraio 2022 11:09
financialounge -  Activision Blizzard smart videogame

Le prime avvisaglie le avevamo avute nel 2016, quando Electronic Arts annunciò che “il business dei contenuti extra si aggira attorno a 1,3 miliardi di dollari all’anno, la metà dei quali provenienti da Ultimate Team". La celebre modalità di gioco della serie di videogiochi FIFA, che vuole gli appassionati acquistare pacchetti di figurine digitali e schierarle in campo, negli anni è passata dall’essere un piacevole orpello al recitare la parte del leone. Tant’è che sono anni che i creator generano traffico (e quindi views) su Twitch e YouTube anche solo “sbustando” in diretta i pacchetti acquistati.

DA MICRO A MACRO


A ben guardare il trend appariva già chiaro quando Take-Two, che possiede Rockstar Games (Grand Theft Auto, GTA Online e Red Dead Redemption) e 2K Games (la serie NBA2K, l’equivalente cestistico di FIFA), annunciò che nel primo trimestre dell'anno fiscale 2019-2020 il 58% dei guadagni derivava da DLC e microtransazioni. Coi primi che stanno a indicare i contenuti scaricabili digitalmente e le seconde quei beni virtuali acquistabili tramite micro pagamenti che danno accesso a funzionalità e contenuti extra.

LA LEZIONE DI EA


Quello che nel 2016 sarebbe stato audace immaginare è che oggi, non molti anni dopo (anche se il tempo nel gaming scorre più velocemente che altrove), Electronic Arts, relativamente all'ultimo quarto dell’anno fiscale, ha annunciato un fatturato di 5,6 miliardi di dollari. Soprattutto grazie a DLC e microtransazioni che sfruttano la modalità FIFA Ultimate Team (che nel frattempo ha coagulato attorno a sé oltre 25 milioni di giocatori), ai ricavi del free to play Apex Legends (1 miliardo di dollari da che è stato lanciato), all’Ultimate Team di Madden 21 (l’equivalente di FIFA, dedicato al football americano) e a tutto il corollario del publisher americano, che rappresentano il 76% dei cosiddetti net booking. La vendita dei giochi tradizionali in compenso è scivolata al 24% delle revenue, con una contrazione del 10% anno su anno.

E ACTIVISION BLIZZARD?


Chi pensa che i dati di Electronic Arts siano falsati dalla presenza di una modalità di successo quale l’Ultimate Team di FIFA, farebbe meglio a guardare Activision Blizzard, recentemente acquistata da Microsoft per 68,7 miliardi di dollari. La casa di Call of Duty non hai mai guadagnato tanto dalle microtransazioni come l’anno scorso: a fronte di ricavi per 8,8 miliardi di dollari (3,62 miliardi l’utile operativo), ha generato 5,1 miliardi di dollari dagli acquisti in game. E non si pensi solo agli abbonamenti a World of Warcraft o ai pacchetti di carte per Hearthstone. Il franchise di Call of Duty sta vivendo un momento di gloria non tanto nella sua veste tradizionale quanto in quella per smartphone (Call of Duty Mobile) e nella sua declinazione battle royale, ossia Call of Duty Warzone. Secondo Superdata, sito di market intelligence (ora chiuso), insieme a Modern Warfare avrebbe fatturato 1,93 miliardi di dollari nel 2020. Quando si parla di microtransazioni, però, il protagonista resta Fortnite, che pur essendo a tutti gli effetti un gioco gratuito, nel 2020 ha generato 5,1 miliardi di dollari di guadagni. Un valore superiore del 37% rispetto al 2019, sebbene inferiore ai 5,4 miliardi del 2018.

VIDEOGAME PERSISTENTI


Quanto scritto finora ci spiega per quale ragione sempre più publisher stiano adottando il modello free to play (abbreviato in F2P). E per quale motivo si stia arrivando al paradosso per cui i produttori di videogiochi sono sempre meno interessati a produrne di nuovi. Stando a un rapporto di NPD Group, l’anno scorso il 60% dei guadagni delle vendite di videogiochi è derivato da microtransazioni e abbonamenti. Nel 2016 questo valore non superava il 30%. Perché investire centinaia di milioni di dollari per lanciare nuovi prodotti (col rischio che falliscano) quando basta averne in portafoglio uno di successo e aggiornarlo costantemente, macinando utili anno dopo anno? Benvenuti nell’era dei cosiddetti game as a service (GaaS) in cui i videogame, veicolati gratuitamente attraverso la formula del free to play, si trasformano in un servizio di fornitura costante di contenuti, monetizzati nel tempo.
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