Rischi economici della guerra
Russia-Ucraina, Pictet Asset Management: effetti economici soprattutto sull'Europa
L'escalation di tensione nell'Est ha conseguenze sia sull'aumento dei prezzi, dovuto al rincaro delle materie prime, sia sul rallentamento della crescita. Si stima che l'incremento del petrolio del 40% porterebbe a una riduzione della crescita dell’area euro di mezzo punto percentuale
di Annalisa Lospinuso 28 Febbraio 2022 20:00
L’invasione dell’Ucraina spinge la guerra alle porte dell’Ue e coinvolge i Paesi della Nato (Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, ma anche i Paesi baltici se si considera la Bielorussia come facente parte del “nuovo blocco sovietico” in quanto alleata storica della Russia). I recenti sviluppi non escludono, però, del tutto la possibilità di una de-escalation futura. Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management, analizzano l'attuale situazione geopolitica e gli impatti finanziari.
La posizione della Cina è cruciale, sottolineano gli analisti, in quanto il Paese asiatico sinora è rimasto sostanzialmente neutrale, nonostante il rifiuto da parte del Ministro degli Esteri di Pechino di definire “invasione” la manovra russa possa far sospettare un allineamento di interessi con i vicini di casa (un approccio simile a quello russo potrebbe essere usato per riportare Taiwan sotto il controllo diretto cinese). Tuttavia, la Cina ha anche un forte interesse a non danneggiare l’Ue, il suo principale partner commerciale, e potrebbe quindi decidere di non appoggiare ad oltranza l’iniziativa della Russia.
La reazione del mondo occidentale all’invasione dell’Ucraina sinora si è concretizzata in una serie di sanzioni, per gran parte di natura finanziaria. "Prima di tutto, sono state poste restrizioni all’accesso della Russia al mercato dei capitali - sottolineano Delitalia e Piersimoni - tutti i Titoli di Stato emessi sul mercato primario da marzo 2022 in poi non potranno essere negoziati dagli istituti americani ed europei (restano per ora possibili, invece, le operazioni sul mercato secondario). Sono state, inoltre, congelate le transazioni bancarie in dollari e in euro e, se inizialmente gli Stati Uniti avevano colpito solamente sei banche (di cui solo una aveva una rilevanza sistemica), la mattina del 24 febbraio l’Ue ha esteso il blocco a tutte le banche russe".
Potremmo assistere nei prossimi giorni a nuove forme di sanzioni, come misure mirate sulla tecnologia e sui semiconduttori e tariffe commerciali o restrizioni alle esportazioni che possano portare anche all’embargo completo, fino all’esclusione della Russia dallo Swift, il circuito dei pagamenti internazionali. "Tuttavia questa potrebbe rivelarsi una mossa controproducente nel lungo termine - dicono gli analisti di Pictet Asset Management - in quanto spingerebbe la Russia ad accelerare il passaggio a canali di pagamento alternativi, già ampiamente utilizzati per le transazioni interne (di cui rappresentano ormai un 20% circa del totale). Il risultato potrebbe essere la valorizzazione del prezzo del petrolio in valute diverse dal dollaro, come il renminbi, o persino in criptovalute, come il Bitcoin, un’eventualità che potrebbe quindi disincentivare gli Stati occidentali ad escludere la Russia dal circuito dello Swift".
Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi, il rischio di un conflitto armato ha esacerbato i timori inflazionistici. Tuttavia, l’aumento dei prezzi dovuto a inflazione importata, con ogni probabilità di carattere temporaneo, non sarebbe da combattere tramite manovre di politica monetaria che potrebbero arginare poco un’inflazione generata da strozzature nell’offerta aggregata, come abbiamo visto anche di recente con i problemi nelle filiere di approvvigionamento globali causati dal Covid.
"Guardando alla crescita - aggiungono Andrea Delitala e Marco Piersimoni - isolando l’effetto del rincaro energetico da quelli secondari sul sentiment dei consumatori, un aumento del 25% del prezzo del petrolio porterebbe a una riduzione della crescita del Pil globale compresa tra -0,1% e -0,3%. Un impatto quindi contenuto, che andrebbe a colpire in modo particolare l’Europa, la cui crescita lascerebbe per strada un -0,25% circa, poiché gli Usa sono ormai un colosso energetico e risentono in misura molto minore di rincari dei prezzi dell’energia)".
La crisi economica colpirebbe l'Europa su tre fronti: il primo è quello delle relazioni commerciali. Ad oggi, la Russia rappresenta meno del 3% delle esportazioni complessive dei Paesi della regione a moneta unica, una percentuale che è andata calando rapidamente negli ultimi anni (nel 2014, prima della questione della Crimea, era quasi il doppio). Si può dire, quindi, che le conseguenze per l’export europeo dovrebbero essere di entità trascurabile. Il secondo canale di trasmissione è relativo, invece, alle relazioni finanziarie. Anche questo non desta particolare preoccupazione, considerato che i crediti verso la Russia delle banche della zona euro pesano per l’1% circa del Pil della regione (costituiscono approssimativamente il 2% dell’ammontare totale dei crediti di questi istituti). L'ultimo è l'impatto sull’economia causato dalle materie prime: un rincaro del petrolio nell’ordine del 40% porterebbe a una riduzione della crescita dell’area euro di mezzo punto percentuale. Non solo, dalla Russia proviene il 44% del palladio estratto a livello globale, un metallo raro cruciale per il settore automobilistico. Per quanto riguarda, invece, le importazioni europee di gas russo sono quasi dimezzate rispetto al 2021: delle quattro rotte di importazione attive, solo Nordstream 1 lavora di fatto a pieno regime (in realtà anche la rotta turca, ma ha dimensioni molto inferiori). Nell’immediato, sarà comunque complicato per l’industria energetica europea sostituire l’approvvigionamento dalla Russia con quello proveniente da altri Paesi, come Stati Uniti o Qatar.
"Lo stato di estrema incertezza - sottolineano i manager di Pictet Asset Management - originato dall’evoluzione negativa delle tensioni tra Russia e Ucraina ha chiaramente colpito in modo deciso i mercati finanziari. Il movimento attuale mostra azioni russe in perdita quasi del 50%, un rublo svalutatosi del 15% circa contro dollaro e un ampliamento del premio dei Cds sulla Russia a 5 anni di 540 pb. Si tratta di una reazione ben più forte rispetto a quella a cui abbiamo assistito in occasione dell’annessione della Crimea nel 2014 e delle sanzioni al gigante dell’alluminio Rusal nel 2018. Osservando l’andamento dei listini globali in concomitanza con gli ultimi episodi recenti assimilabili alla guerra in Ucraina, l’invasione del Kuwait nel 1991 e il conflitto in Iraq del 2003, dopo la prima fase di vendite generalizzate, i mercati tendono a rimbalzare con decisione, anche se la tensione non si è ancora attenuata. Con i rapporti PE tornati su livelli interessanti e una crescita degli utili ancora molto generosa per il 2022 (l’impatto della crisi attuale dovrebbe essere limitata a un -1%), potrebbe non mancare molto prima che si presentino le condizioni giuste per ricomprare rischio, monitorando sempre da vicino l’evoluzione della situazione in Ucraina".
CRUCIALE LA POSIZIONE DELLA CINA
La posizione della Cina è cruciale, sottolineano gli analisti, in quanto il Paese asiatico sinora è rimasto sostanzialmente neutrale, nonostante il rifiuto da parte del Ministro degli Esteri di Pechino di definire “invasione” la manovra russa possa far sospettare un allineamento di interessi con i vicini di casa (un approccio simile a quello russo potrebbe essere usato per riportare Taiwan sotto il controllo diretto cinese). Tuttavia, la Cina ha anche un forte interesse a non danneggiare l’Ue, il suo principale partner commerciale, e potrebbe quindi decidere di non appoggiare ad oltranza l’iniziativa della Russia.
LE SANZIONI
La reazione del mondo occidentale all’invasione dell’Ucraina sinora si è concretizzata in una serie di sanzioni, per gran parte di natura finanziaria. "Prima di tutto, sono state poste restrizioni all’accesso della Russia al mercato dei capitali - sottolineano Delitalia e Piersimoni - tutti i Titoli di Stato emessi sul mercato primario da marzo 2022 in poi non potranno essere negoziati dagli istituti americani ed europei (restano per ora possibili, invece, le operazioni sul mercato secondario). Sono state, inoltre, congelate le transazioni bancarie in dollari e in euro e, se inizialmente gli Stati Uniti avevano colpito solamente sei banche (di cui solo una aveva una rilevanza sistemica), la mattina del 24 febbraio l’Ue ha esteso il blocco a tutte le banche russe".
BENI DI RIFUGIO
Potremmo assistere nei prossimi giorni a nuove forme di sanzioni, come misure mirate sulla tecnologia e sui semiconduttori e tariffe commerciali o restrizioni alle esportazioni che possano portare anche all’embargo completo, fino all’esclusione della Russia dallo Swift, il circuito dei pagamenti internazionali. "Tuttavia questa potrebbe rivelarsi una mossa controproducente nel lungo termine - dicono gli analisti di Pictet Asset Management - in quanto spingerebbe la Russia ad accelerare il passaggio a canali di pagamento alternativi, già ampiamente utilizzati per le transazioni interne (di cui rappresentano ormai un 20% circa del totale). Il risultato potrebbe essere la valorizzazione del prezzo del petrolio in valute diverse dal dollaro, come il renminbi, o persino in criptovalute, come il Bitcoin, un’eventualità che potrebbe quindi disincentivare gli Stati occidentali ad escludere la Russia dal circuito dello Swift".
CRESCONO TIMORI INFLAZIONISTICI
Per quanto riguarda l’andamento dei prezzi, il rischio di un conflitto armato ha esacerbato i timori inflazionistici. Tuttavia, l’aumento dei prezzi dovuto a inflazione importata, con ogni probabilità di carattere temporaneo, non sarebbe da combattere tramite manovre di politica monetaria che potrebbero arginare poco un’inflazione generata da strozzature nell’offerta aggregata, come abbiamo visto anche di recente con i problemi nelle filiere di approvvigionamento globali causati dal Covid.
TIMORI PER LA CRESCITA
"Guardando alla crescita - aggiungono Andrea Delitala e Marco Piersimoni - isolando l’effetto del rincaro energetico da quelli secondari sul sentiment dei consumatori, un aumento del 25% del prezzo del petrolio porterebbe a una riduzione della crescita del Pil globale compresa tra -0,1% e -0,3%. Un impatto quindi contenuto, che andrebbe a colpire in modo particolare l’Europa, la cui crescita lascerebbe per strada un -0,25% circa, poiché gli Usa sono ormai un colosso energetico e risentono in misura molto minore di rincari dei prezzi dell’energia)".
CRISI MATERIE PRIME
La crisi economica colpirebbe l'Europa su tre fronti: il primo è quello delle relazioni commerciali. Ad oggi, la Russia rappresenta meno del 3% delle esportazioni complessive dei Paesi della regione a moneta unica, una percentuale che è andata calando rapidamente negli ultimi anni (nel 2014, prima della questione della Crimea, era quasi il doppio). Si può dire, quindi, che le conseguenze per l’export europeo dovrebbero essere di entità trascurabile. Il secondo canale di trasmissione è relativo, invece, alle relazioni finanziarie. Anche questo non desta particolare preoccupazione, considerato che i crediti verso la Russia delle banche della zona euro pesano per l’1% circa del Pil della regione (costituiscono approssimativamente il 2% dell’ammontare totale dei crediti di questi istituti). L'ultimo è l'impatto sull’economia causato dalle materie prime: un rincaro del petrolio nell’ordine del 40% porterebbe a una riduzione della crescita dell’area euro di mezzo punto percentuale. Non solo, dalla Russia proviene il 44% del palladio estratto a livello globale, un metallo raro cruciale per il settore automobilistico. Per quanto riguarda, invece, le importazioni europee di gas russo sono quasi dimezzate rispetto al 2021: delle quattro rotte di importazione attive, solo Nordstream 1 lavora di fatto a pieno regime (in realtà anche la rotta turca, ma ha dimensioni molto inferiori). Nell’immediato, sarà comunque complicato per l’industria energetica europea sostituire l’approvvigionamento dalla Russia con quello proveniente da altri Paesi, come Stati Uniti o Qatar.
A PICCO I MERCATI RUSSI
"Lo stato di estrema incertezza - sottolineano i manager di Pictet Asset Management - originato dall’evoluzione negativa delle tensioni tra Russia e Ucraina ha chiaramente colpito in modo deciso i mercati finanziari. Il movimento attuale mostra azioni russe in perdita quasi del 50%, un rublo svalutatosi del 15% circa contro dollaro e un ampliamento del premio dei Cds sulla Russia a 5 anni di 540 pb. Si tratta di una reazione ben più forte rispetto a quella a cui abbiamo assistito in occasione dell’annessione della Crimea nel 2014 e delle sanzioni al gigante dell’alluminio Rusal nel 2018. Osservando l’andamento dei listini globali in concomitanza con gli ultimi episodi recenti assimilabili alla guerra in Ucraina, l’invasione del Kuwait nel 1991 e il conflitto in Iraq del 2003, dopo la prima fase di vendite generalizzate, i mercati tendono a rimbalzare con decisione, anche se la tensione non si è ancora attenuata. Con i rapporti PE tornati su livelli interessanti e una crescita degli utili ancora molto generosa per il 2022 (l’impatto della crisi attuale dovrebbe essere limitata a un -1%), potrebbe non mancare molto prima che si presentino le condizioni giuste per ricomprare rischio, monitorando sempre da vicino l’evoluzione della situazione in Ucraina".