Focus sull'azionario

Invesco: la crisi ucraina non dovrebbe interrompere il ciclo del Toro

Luca Tobagi, CFA – Investment Strategist, Invesco Investment Solutions, analizza i cicli storici di economie, azioni e materie prime per concludere che è prematuro pensare a una fine del ciclo di rialzo delle azioni

di Stefano Caratelli 17 Marzo 2022 08:00

financialounge -  azionario Invesco investimenti Luca Tobagi
Il rialzo dei prezzi di energia e materie prime porta gli investitori a porsi molte domande sull’impatto sul mercato, a cominciare dall’azionario. Uno sguardo alla storia dei cicli economici può aiutare a trovare risposte. La nozione di ciclo indica la sequenza delle varie fasi che un’economia attraversa periodicamente e che si ripetono in una serie piuttosto simile. Dopo la contrazione arriva la ripresa, poi l’espansione, poi il rallentamento, che può portare a un’altra contrazione. Il variare del contesto può creare un ambiente più favorevole ad alcune attività finanziarie, per cui l’analisi delle performance storiche ha permesso di creare i cosiddetti ‘investment clock’, per associare a ciascuna fase le asset class che in passato si sono rivelate più appropriate.

I CICLI DI BORSE E ECONOMIE


Parte da qui l’analisi di Luca Tobagi, CFA – Investment Strategist, Invesco Investment Solutions, Product Director, che osserva come negli USA la media storica, da un minimo a un minimo successivo, è stata di circa 5 anni, e di 6 anni e 3 mesi dal secondo dopoguerra a oggi, con l’ultimo ciclo che ha visto la fase di espansione più lunga della storia da giugno 2009 a febbraio 2020. A questa regolarità empirica corrisponde la ciclicità dei mercati azionari, alcuni dei quali, come l’S&P 500, hanno avuto storicamente un trend ascendente sul quale si sono innestati cicli di durata variabile, ma comparabile a quella delle varie fasi dei cicli economici o poco più lunga.

L’INTRECCIO TRA LE DINAMICHE DI ASSET CLASS DIVERSE


Oggi che il rialzo dei prezzi di energia e materie prime è conclamato, gli investitori si chiedono se potrà provocare una crisi economica o un crollo dei mercati azionari. Tobagi fa notare che quando si analizza l’interazione fra i prezzi di attività diverse, ad esempio S&P 500 e petrolio, i cicli si allungano molto. A lunghe fasi in cui l’andamento dell’S&P 500 è migliore quello del petrolio, seguono estesi periodi in cui è peggiore. La performance relativa dell’S&P 500 rispetto al Wti, alle materie prime agricole, ai metalli industriali e all’oro mostra che i cicli “intrecciati” durano molto di più. Dal secondo dopoguerra, la performance relativa dell’S&P 500 ha avuto solo due cicli completi, uno di 32 anni, 21 anni di ascesa e 11 in calo, e il secondo di 28 anni.

DIVERSIFICARE CON LE MATERIE PRIME


Le conclusioni che Tobagi trae sono due. La prima è che l’attuale fase ascendente del ciclo dell’S&P 500 rispetto alle materie prime o al petrolio è più breve, e nonostante le preoccupazioni potrebbe durare ancora, anche se con qualche turbolenza. La seconda è che, quando la dinamica si inverte e la performance dell’S&P 500 diventa peggiore, si apre una fase che storicamente è durata vari anni. Di qui la raccomandazione di diversificare, ove possibile, un portafoglio che contenga azioni con materie prime, per contenere i rischi e ottenere performance migliori.

PREMATURO PENSARE CHE IL TORO SIA A FINE CORSA


Un’ultima considerazione riguarda in particolare l’S&P 500 rispetto al petrolio: gli ultimi due anni hanno rappresentato la prima volta nella storia in cui la performance del secondo è stata superiore al primo senza che l’S&P 500 correggesse, mentre ha invece ha ripetutamente aggiornato i massimi. Questo prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Se il contesto macro e geopolitico non dovesse deteriorarsi troppo, secondo Tobagi potrebbe essere un ulteriore elemento a favore dell’idea che potrebbe essere prematuro pensare alla fine della fase rialzista dell’azionario, USA in particolare

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