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Schroders: le sanzioni potrebbero far diventare la Russia il nuovo Iran

George Brown, Economist di Schroders, prevede un impatto di lungo termine e propone un parallelo con l’Iran la cui economia è stata devastata dalle sanzioni dopo la rivoluzione, costituendo un monito severo

di Stefano Caratelli 20 Marzo 2022 10:00

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Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia è ora il Paese più sanzionato al mondo. Sono più di 2.000 le sanzioni occidentali aggiuntive contro un gruppo di individui, società e istituzioni, più le misure per escludere Mosca dai sistemi internazionali di pagamento, dall’uso delle principali valute di riserva o dall’accesso a tecnologie chiave come i semiconduttori. L’impatto a breve termine sembra inevitabilmente una profonda recessione: Mosca si era costruita una riserva di guerra pari a 643 miliardi di dollari, ma le mosse a sorpresa degli occidentali hanno messo sotto pressione banche e rublo, con la banca centrale costretta ad alzare aggressivamente i tassi e imporre controlli sui capitali.

RUSSIA PIÙ DEBOLE ANCHE A LUNGO TERMINE


George Brown, Economist di Schroders, allunga lo sguardo all’impatto a lungo termine, che punta a un’economia della Russia più debole. Per avere successo le sanzioni devono essere imposte rapidamente e multilateralmente, per limitare la capacità di adattamento, e con certezza è il caso della Russia. Brown sottolinea che la crescita russa era già debole con una media di appena l’1,8% nello scorso decennio, e l’azione coordinata di sanzioni dell’Occidente suggerisce che potrebbe addirittura fermarsi nel prossimo decennio.

COLPITO IL LATO DELL’OFFERTA


Il lato dell’offerta sarà quasi certamente colpito, l’esodo di massa delle multinazionali porterà a una disoccupazione strutturalmente più alta e a una produzione più bassa, gli investimenti soffriranno per l’incertezza e le restrizioni tecnologiche, che costringeranno la Russia a diventare più autosufficiente. Ma l’annientamento dell’offerta significa che dovrà anche importare più beni, spingendo l’inflazione. Secondo Brown sarà fondamentale ottenere la valuta estera necessaria a finanziare le importazioni, il che dipenderà dalla capacità di esportare petrolio e gas, che rappresentano il 15-20% del PIL.

LA DIPENDENZA ENERGETICA


I Paesi occidentali stanno accelerando per porre fine alla dipendenza dall’energia russa, impresa particolarmente difficile per la Ue, che importa circa il 40% del gas dalla Russia. La Cina e gli altri mercati emergenti saranno invece in grado di compensare parzialmente il calo della domanda. Pechino probabilmente otterrà uno sconto ma potrebbe procedere con cautela per paura di subire sanzioni secondarie.

LA STORIA DELLA CADUTA VERTICALE DELL’IRAN


Brown propone un parallelismo con le sanzioni all’Iran, grande esportatore di petrolio negli anni ‘70 con oltre l’11% della produzione globale, poi scesa dopo la rivoluzione al 7%, causando una crisi energetica globale che portò il mondo alla recessione. Le sanzioni hanno successivamente inflitto un pesante tributo all’Iran, embarghi petroliferi e restrizioni tecnologiche hanno visto la sua principale industria soffrire di un sotto-investimento cronico, e oggi la produzione è di un terzo inferiore ai livelli pre-rivoluzione, con il FMI che stima che il prezzo di pareggio del petrolio sia di 400 dollari al barile.

UN MONITO CHE MOSCA NON PUÒ IGNORARE


L’inflazione affligge l’Iran, alimentata da carenze diffuse e dal deprezzamento della valuta, il rial, che in 40 anni è sceso da 70 a 42.000 per un dollaro, con un calo annuo composto del 17%, mentre sul mercato nero viene scambiato vicino a 300.000. La caduta in disgrazia di Teheran è un avvertimento che Mosca non può ignorare, sottolinea Brown. Le sanzioni possono avere effetti contrastanti, ma lasciano cicatrici profonde e durature sul Paese colpito. Anche se sopraggiungerà un ripensamento, è improbabile che un voltafaccia di Mosca possa fare la differenza, perché la sua reputazione è stata distrutta agli occhi del mondo e potrebbe non riprendersi più.

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