Non solo petrolio
L'Arabia Saudita alla conquista del mondo dei videogiochi
Il principe Bin Salman sta investendo pesantemente nel mondo del gaming e il Paese arabo, oltre a comprare quote di società, sta attirando le star dei videogame
di Stefano Silvestri 20 Aprile 2022 08:31
Quando si parla di videogiochi, l’istinto ci porta a guardare a Occidente (USA e Canada) e ad Oriente (Cina e Giappone). Stando a quanto ci apprestiamo a scrivere, però, in futuro potremmo trovarci a guardare in un’altra direzione, cioè a sud-est. Ossia, verso il Medio Oriente.
L'Arabia Saudita, infatti, sta investendo pesantemente nel gaming, il che rientra nelle grandi manovre in atto già da anni in tutta la penisola araba per affrancarsi dal petrolio. Turismo ed energie rinnovabili sono solo alcuni degli esempi, e non stupisce che il principe Mohammed Bin Salman abbia deciso di investire anche nei videogiochi e nel business che gravita attorno ad essi. Lo scorso gennaio, per cominciare, Savvy Gaming Group (SGG), un gruppo controllato dal fondo sovrano saudita, ha investito negli esport acquistando ESL Gaming (risultato dell’unione tra ESL e Dreamhack avvenuta nel 2020) e FACEIT per un valore complessivo di 1,5 miliardi di dollari. Salvo poi fonderle in un unicum ribattezzato, non senza una certa fantasia, ESL FACEIT.
L'Arabia Saudita ha poi annunciato Ignite, un fondo da 1,1 miliardi di dollari che, fra le altre cose, sarà volto allo sviluppo di videogiochi e contenuti digitali. A febbraio il Public Investment Fund (PIF) ha messo sul piatto altri 3,3 miliardi di dollari per fare shopping azionario tra Activision Blizzard, Take-Two Interactive ed Electronic Arts. Sullo slancio, già che c’era ha acquisito anche il 5% di Capcom e Nexon. Da ultimo, è notizia dello scorso 5 aprile che Electronic Gaming Development Company, di proprietà della Mohammed bin Salman Foundation, ha acquisito il 98% di SNK, sviluppatore giapponese celebre per le serie di Metal Slug e King of Fighters.
Ben consapevoli che per eccellere nel gaming non basta unicamente avere i soldi ma possederne anche conoscenza e cultura, gli arabi hanno provveduto a importare nella penisola il know how dall’estero. Savvy Gaming Group ha affidato la guida a Brian Ward, ex dirigente di Electronic Arts, Microsoft Game Studios e Activision Blizzard. L’amministratore delegato è invece Kadri Harma, che ha co-fondato il fondo di investimento GameFounders, mentre Yannick Theler, ex Ubisoft che nel 2011 ha aperto il distaccamento di Abu Dhabi del colosso franco-canadese, è amministratore delegato degli studi di sviluppo SGG. Da ultimo troviamo Jerry Gamez, amministratore delegato delle infrastrutture di SGG, con alle spalle esperienze in Walmart e Burger King.
Che l'Arabia Saudita sia fortemente impegnata nei videogiochi e negli esport, dunque, è fuori discussione, così come lo è il fatto che voglia proporsi in ambito internazionale come un polo tecnologico in grado di attrarre nuovi talenti e sparigliare i decennali equilibri del settore. Ma parliamo anche di una nazione spesso criticata dall’Occidente per una cultura che vede attribuiti ben pochi diritti a donne, omosessuali, transgender e a tutto quel corollario che invece in Occidente è sempre più centrale. Basti pensare ad Activision Blizzard, che ha recentemente nominato Kristen Hines come nuovo “Chief diversity, equity and inclusion officer” in risposta agli scandali degli ultimi mesi che hanno turbato pubblico, stampa e azionariato. E la Hines, nel presentarsi, ha prontamente annunciato che aumenterà del 50% le assunzioni di donne e di persone non binarie nei prossimi cinque anni. Uno scenario, questo, che fatichiamo a immaginare nell’Arabia Saudita, quanto meno nel prossimo futuro.
Come il mondo del gaming potrà convivere ed eventualmente metabolizzare un innesto così culturalmente diverso nel proprio genoma, è qualcosa che scopriremo col tempo. Non possiamo peraltro dimenticare che il principe Bin Salman è a oggi considerato il mandante del brutale assassinio del giornalista del Washington Post, Jamal Kashoggi, sequestrato e fatto a pezzi nel consolato dell'Arabia Saudita di Istanbul nel 2018. Negli anni scorsi Riot Games e Ubisoft hanno provato a saggiare l’attenzione dei gamer annunciando tornei di esport nella penisola Araba, salvo poi fare marcia indietro dopo le inevitabili polemiche innescatesi sui social. Ma non possiamo neppure dimenticare i tifosi del Newcastle, squadra oggi quattordicesima nella Premier League inglese, che hanno festeggiato la recente acquisizione del club da parte di Mohammed bin Salman indossando il turbante allo stadio. Pecunia non olet, dicevano i latini: da allora sono passati duemila anni ed è cambiato ben poco. Perché il gaming dovrebbe fare eccezione?
INTERESSE SAUDITA
L'Arabia Saudita, infatti, sta investendo pesantemente nel gaming, il che rientra nelle grandi manovre in atto già da anni in tutta la penisola araba per affrancarsi dal petrolio. Turismo ed energie rinnovabili sono solo alcuni degli esempi, e non stupisce che il principe Mohammed Bin Salman abbia deciso di investire anche nei videogiochi e nel business che gravita attorno ad essi. Lo scorso gennaio, per cominciare, Savvy Gaming Group (SGG), un gruppo controllato dal fondo sovrano saudita, ha investito negli esport acquistando ESL Gaming (risultato dell’unione tra ESL e Dreamhack avvenuta nel 2020) e FACEIT per un valore complessivo di 1,5 miliardi di dollari. Salvo poi fonderle in un unicum ribattezzato, non senza una certa fantasia, ESL FACEIT.
ALTRE OPERAZIONI
L'Arabia Saudita ha poi annunciato Ignite, un fondo da 1,1 miliardi di dollari che, fra le altre cose, sarà volto allo sviluppo di videogiochi e contenuti digitali. A febbraio il Public Investment Fund (PIF) ha messo sul piatto altri 3,3 miliardi di dollari per fare shopping azionario tra Activision Blizzard, Take-Two Interactive ed Electronic Arts. Sullo slancio, già che c’era ha acquisito anche il 5% di Capcom e Nexon. Da ultimo, è notizia dello scorso 5 aprile che Electronic Gaming Development Company, di proprietà della Mohammed bin Salman Foundation, ha acquisito il 98% di SNK, sviluppatore giapponese celebre per le serie di Metal Slug e King of Fighters.
IL MANAGEMENT
Ben consapevoli che per eccellere nel gaming non basta unicamente avere i soldi ma possederne anche conoscenza e cultura, gli arabi hanno provveduto a importare nella penisola il know how dall’estero. Savvy Gaming Group ha affidato la guida a Brian Ward, ex dirigente di Electronic Arts, Microsoft Game Studios e Activision Blizzard. L’amministratore delegato è invece Kadri Harma, che ha co-fondato il fondo di investimento GameFounders, mentre Yannick Theler, ex Ubisoft che nel 2011 ha aperto il distaccamento di Abu Dhabi del colosso franco-canadese, è amministratore delegato degli studi di sviluppo SGG. Da ultimo troviamo Jerry Gamez, amministratore delegato delle infrastrutture di SGG, con alle spalle esperienze in Walmart e Burger King.
QUESTIONI D’IMMAGINE
Che l'Arabia Saudita sia fortemente impegnata nei videogiochi e negli esport, dunque, è fuori discussione, così come lo è il fatto che voglia proporsi in ambito internazionale come un polo tecnologico in grado di attrarre nuovi talenti e sparigliare i decennali equilibri del settore. Ma parliamo anche di una nazione spesso criticata dall’Occidente per una cultura che vede attribuiti ben pochi diritti a donne, omosessuali, transgender e a tutto quel corollario che invece in Occidente è sempre più centrale. Basti pensare ad Activision Blizzard, che ha recentemente nominato Kristen Hines come nuovo “Chief diversity, equity and inclusion officer” in risposta agli scandali degli ultimi mesi che hanno turbato pubblico, stampa e azionariato. E la Hines, nel presentarsi, ha prontamente annunciato che aumenterà del 50% le assunzioni di donne e di persone non binarie nei prossimi cinque anni. Uno scenario, questo, che fatichiamo a immaginare nell’Arabia Saudita, quanto meno nel prossimo futuro.
PECUNIA NON OLET
Come il mondo del gaming potrà convivere ed eventualmente metabolizzare un innesto così culturalmente diverso nel proprio genoma, è qualcosa che scopriremo col tempo. Non possiamo peraltro dimenticare che il principe Bin Salman è a oggi considerato il mandante del brutale assassinio del giornalista del Washington Post, Jamal Kashoggi, sequestrato e fatto a pezzi nel consolato dell'Arabia Saudita di Istanbul nel 2018. Negli anni scorsi Riot Games e Ubisoft hanno provato a saggiare l’attenzione dei gamer annunciando tornei di esport nella penisola Araba, salvo poi fare marcia indietro dopo le inevitabili polemiche innescatesi sui social. Ma non possiamo neppure dimenticare i tifosi del Newcastle, squadra oggi quattordicesima nella Premier League inglese, che hanno festeggiato la recente acquisizione del club da parte di Mohammed bin Salman indossando il turbante allo stadio. Pecunia non olet, dicevano i latini: da allora sono passati duemila anni ed è cambiato ben poco. Perché il gaming dovrebbe fare eccezione?
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