Gaming
Videogame, la Cina rallenta ma il futuro è in crescita
Nonostante le restrizioni governative, il mercato è in salute: ha registrato nel 2021 una crescita del +5,5% anno su anno. E Metaverso ed esport trainano il futuro
di Stefano Silvestri 20 Maggio 2022 09:00
Come accade in molti altri settori, anche nel gaming quello cinese è il mercato più ambito. E probabilmente lo sarà ancor di più dopo le recenti analisi di Niko Partners.
Il mercato domestico cinese, inclusivo dei valori generati dai videogame per PC e mobile, ha infatti registrato nel 2021 una crescita del +5,5% anno su anno per un totale di $45.49 miliardi di ricavi, che dovrebbero salire a $55.23 miliardi nel 2026. Merito dei 706 milioni di gamer rilevati nel 2021, in calo del 3.7% anno su anno ma che, secondo le proiezioni, diverranno 730 milioni nel 2026. Questi risultati, stando alle analisi, si spiegano con le misure prese dal governo cinese che hanno impattato soprattutto il mercato mobile.
Non che la Cina sia mai stata accogliente verso i videogame provenienti da oltre la Grande Muraglia. Tutti i prodotti non possono ottenere l’approvazione dagli organi di controllo cinesi se prima non hanno ottenuto un certificato dalla National Copyright Administration. Le compagnie straniere non possono operare nel mercato domestico senza affiliarsi a un editore già operante a livello locale. Quest’ultimo deve assicurarsi di apportare all’opera tutti i cambiamenti del caso, affinché i contenuti e i sistemi di monetizzazione siano in linea con le normative vigenti. Fatte queste premesse, i videogame devono essere sottoposti al vaglio degli enti amministrativi locali per un’approvazione preliminare; una volta ottenuta, possono essere inviati alla State Administration of Press and Publication per l’approvazione finale.
Come se tutto ciò non fosse sufficiente, tutti i testi devono essere localizzati in cinese semplificato; il sistema delle lootbox (alla base di FIFA Ultimate Team, per prendere un esempio comune) è normato in modo ferreo. Qualsiasi cadavere raffigurato nei videogiochi (si pensi a titoli come Call of Duty) deve sparire velocemente e non sono consentite chiazze di sangue di alcun colore. Inoltre non dev’essere permesso ai minori l’accesso ad alcun sistema che permetta di sposarsi in-game (come in The Sims). Alla luce di tutte queste restrizioni, non sorprende che gli organi di controllo cinesi possano vagliare un limitato numero di videogiochi ogni anno. Il che se da un lato è servito a ridurre drasticamente il numero di cloni di poker e mah-jong, dall’altro ha reso lungo e farraginoso il processo di approvazione dei prodotti occidentali.
Se a questo aggiungiamo il recente blocco allo streaming di videogame non autorizzati dal The National Radio and Television Administration, l’ultimo dei tentativi di rimuovere contenuti non graditi al governo, viene da guardare al succitato calo del 3,7% come a un vero e proprio successo. E lo stesso dicasi per l’ARPU (Average Revenue per User), che dai $64 del 2021 dovrebbe raggiungere nel 2026 i $75. I videogiochi cinesi giocano però un ruolo sempre più importante all’estero, se è vero che il loro export (inclusivo di mobile e PC) ha generato ricavi per $17.3 miliardi nel 2021, che dovrebbero salire a $26.46 miliardi nel 2026 (+27.3%).
I numeri fin qui riportati raccontano un rapporto non certo paritario tra la Cina e il resto del mondo, che però fa buon viso a cattivo gioco visto che, oltre a quanto scritto, quello cinese è il mercato più importante al mondo per gli esport, con un’audience stimata in 434 milioni di fan. Non a caso nel 2021 si sono tenuti ben 220 eventi correlati agli investimenti nel gaming, il doppio rispetto al 2020. Ma ad attrarre l’attenzione del mercato (e anche la nostra, lo ammettiamo) sono gli oltre 16mila trademark legati a Metaversi registrati in Cina. Metaversi che viste le ferree normative appena spiegate, saranno probabilmente molto diversi da quelli occidentali. Che però dovranno stare attenti a non prendere una strada troppo divergente da quella cinese: in gioco c’è “solamente” il più importante mercato mondiale.
IN CRESCITA MA NON TROPPO
Il mercato domestico cinese, inclusivo dei valori generati dai videogame per PC e mobile, ha infatti registrato nel 2021 una crescita del +5,5% anno su anno per un totale di $45.49 miliardi di ricavi, che dovrebbero salire a $55.23 miliardi nel 2026. Merito dei 706 milioni di gamer rilevati nel 2021, in calo del 3.7% anno su anno ma che, secondo le proiezioni, diverranno 730 milioni nel 2026. Questi risultati, stando alle analisi, si spiegano con le misure prese dal governo cinese che hanno impattato soprattutto il mercato mobile.
RESTRIZIONI DRACONIANE
Non che la Cina sia mai stata accogliente verso i videogame provenienti da oltre la Grande Muraglia. Tutti i prodotti non possono ottenere l’approvazione dagli organi di controllo cinesi se prima non hanno ottenuto un certificato dalla National Copyright Administration. Le compagnie straniere non possono operare nel mercato domestico senza affiliarsi a un editore già operante a livello locale. Quest’ultimo deve assicurarsi di apportare all’opera tutti i cambiamenti del caso, affinché i contenuti e i sistemi di monetizzazione siano in linea con le normative vigenti. Fatte queste premesse, i videogame devono essere sottoposti al vaglio degli enti amministrativi locali per un’approvazione preliminare; una volta ottenuta, possono essere inviati alla State Administration of Press and Publication per l’approvazione finale.
CENSURA FERREA
Come se tutto ciò non fosse sufficiente, tutti i testi devono essere localizzati in cinese semplificato; il sistema delle lootbox (alla base di FIFA Ultimate Team, per prendere un esempio comune) è normato in modo ferreo. Qualsiasi cadavere raffigurato nei videogiochi (si pensi a titoli come Call of Duty) deve sparire velocemente e non sono consentite chiazze di sangue di alcun colore. Inoltre non dev’essere permesso ai minori l’accesso ad alcun sistema che permetta di sposarsi in-game (come in The Sims). Alla luce di tutte queste restrizioni, non sorprende che gli organi di controllo cinesi possano vagliare un limitato numero di videogiochi ogni anno. Il che se da un lato è servito a ridurre drasticamente il numero di cloni di poker e mah-jong, dall’altro ha reso lungo e farraginoso il processo di approvazione dei prodotti occidentali.
SENSO UNICO
Se a questo aggiungiamo il recente blocco allo streaming di videogame non autorizzati dal The National Radio and Television Administration, l’ultimo dei tentativi di rimuovere contenuti non graditi al governo, viene da guardare al succitato calo del 3,7% come a un vero e proprio successo. E lo stesso dicasi per l’ARPU (Average Revenue per User), che dai $64 del 2021 dovrebbe raggiungere nel 2026 i $75. I videogiochi cinesi giocano però un ruolo sempre più importante all’estero, se è vero che il loro export (inclusivo di mobile e PC) ha generato ricavi per $17.3 miliardi nel 2021, che dovrebbero salire a $26.46 miliardi nel 2026 (+27.3%).
POTENZIALITÀ
I numeri fin qui riportati raccontano un rapporto non certo paritario tra la Cina e il resto del mondo, che però fa buon viso a cattivo gioco visto che, oltre a quanto scritto, quello cinese è il mercato più importante al mondo per gli esport, con un’audience stimata in 434 milioni di fan. Non a caso nel 2021 si sono tenuti ben 220 eventi correlati agli investimenti nel gaming, il doppio rispetto al 2020. Ma ad attrarre l’attenzione del mercato (e anche la nostra, lo ammettiamo) sono gli oltre 16mila trademark legati a Metaversi registrati in Cina. Metaversi che viste le ferree normative appena spiegate, saranno probabilmente molto diversi da quelli occidentali. Che però dovranno stare attenti a non prendere una strada troppo divergente da quella cinese: in gioco c’è “solamente” il più importante mercato mondiale.
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