L'intervista

Dagli influencer ai virtual influencer

Parla Karim De Martino, Senior Vice President International Business Development di Open Influence, per fare il punto sull’evoluzione digitale dell’influencer marketing

di Stefano Silvestri 23 Giugno 2022 15:43

financialounge -  influencer karim de martino Metaverso Smart Life
Ha iniziato interessarsi di influencer nel 2009, lavorando con Chiara Ferragni per The Blond Salad. E da allora Karim De Martino ha intrapreso un lungo percorso che lo ha portato da Milano a Los Angeles, facendone uno dei massimi esperti di influencer marketing. Senz’altro a livello nazionale ma, sospettiamo, anche internazionale, essendo in questi anni diventato Senior Vice President, International Business Development di Open Influence, una delle più importanti realtà mondiali quando si tratta di imbrigliare la potenza comunicativa degli influencer.

Esperto anche di social media, creator economy e digital marketing, è fresco di nomina come membro della Board Of Directors della Camera di Commercio West tra Italia e America. Ed è con lui che abbiamo fatto il punto della situazione su tutte le tematiche che interessano chiunque voglia amplificare correttamente il proprio segnale per raggiungere la sfuggente Generazione Z.

Dall’avvento di Chiara Ferragni in poi, una delle più importanti rivoluzioni degli ultimi anni è stato senz’altro l’influencer marketing. Com’è cambiato dai suoi albori ad oggi?


La prima fase è stata quella dei blogger, che ha visto i singoli sostituirsi agli editori. È stato un momento importante perché ha consentito agli influencer di avere un controllo totale, non solo contenutistico ma anche economico, visto che sapevano con esattezza quanto incassavano dalla pubblicità che girava sulle loro pagine. The Blond Salad di Chiara Ferragni, che già collaborava coi grandi brand, all’epoca guadagnava essenzialmente dai banner promozionali. Nel 2012 aprimmo il blog della Marcuzzi, La Pinella, poi però il sistema cominciò a vacillare poiché il traffico iniziava a spostarsi su Instagram. La trasformazione dei blogger in instagrammer può essere considerata la seconda grande fase dell’influencer marketing, che ci porta alla terza fase, quella attuale, in cui gli influencer partono già da Instagram.

Quando noi analizziamo lo scenario attuale per capire con chi collaborare, abbiamo a disposizione tanto i profili della vecchia guardia, che hanno cominciato coi blog, quanto quelli più recenti che arrivano dai reality come ad esempio Uomini e Donne. Magari hanno gli stessi follower ma mentre i primi hanno impiegato quindici anni a conquistarli, i secondi vanno in onda una settimana in televisione e partono da cinquecento, seicento mila follower. Ciò si riflette sulla professionalità con cui poi ci si trova a lavorare, perché un conto è affidarsi a un influencer che sa come muoversi, un conto è interfacciarsi con persone che si trovano ad avere una grande fanbase da un giorno all’altro.

Basti pensare a Johnny Depp, che ha raggiunto 10 milioni di follower a 24 ore dal suo primo video su TikTok…


O a Will Smith che ne ha pochi meno (9,85 milioni, ndR) sul suo canale YouTube… Ovviamente dietro questi salti c’è una progettualità, non sono trovate estemporanee dei talent ma il risultato del lavoro di team dedicati. Però resta il fatto che il mondo dei social ha permesso a chiunque, famosi e non famosi, di creare un’audience e monetizzarla. Col risultato che anche i big, come attori e cantanti, si sono scoperti influencer visto che i numeri che circolano sui social sono ormai in linea con quelli della TV o della musica. E coi modelli di business tradizionali entrati in crisi, quelli nuovi sono tenuti in maggiore considerazione.

Open Influence si definisce una “award-winning influencer marketing company che collabora con oltre 1000 dei brand più famosi al mondo”. Com’è riuscita a raggiungere questo risultato?


Lavorando sui dati. Rispetto ad altre realtà abbiamo un approccio sì da agenzia, offrendo una consulenza personalizzata e non self-service come accade in alcuni casi, ma basato sempre sui numeri. Non lavoriamo coi nostri influencer perché sono alla moda, quelli del momento o quelli che i clienti chiedono perché ne leggono in giro, ma perché poi portano risultati. La nostra piattaforma, che ormai ha nove anni, si è evoluta e sviluppata nel tempo col risultato che, ad esempio, la settimana scorsa abbiamo annunciato una partnership con TikTok. Il che non vuol dire solo lavorare insieme sulle creatività e le strategie per i clienti (loro lato ADV, noi lato influencer) ma anche condividere la tecnologia. La nostra piattaforma ora implementa le API (ossia le librerie software, ndR) di TikTok, ne aggreghiamo le informazioni insieme a quelle che derivano da altre fonti e offriamo al cliente uno scenario attendibile sulle reali possibilità degli influencer.

In cosa differisce il vostro servizio rispetto a uno gratuito come Not Just Analytics?


Not Just Analytics analizza una serie di KPI, noi ne consideriamo molti di più e incrociamo informazioni come engagement e fanbase alla nostra intelligenza artificiale, che riconosce gli oggetti nelle immagini. Il nostro sistema, ad esempio, ci dice se il pubblico di un food blogger reagisce bene o male quando lui pubblica foto di pasta, facendoci così capire se sia il caso di coinvolgerlo o meno per una certa operazione. Incrociamo poi queste informazioni con quelle ricavate dagli altri social: l’audience di un talent su TikTok è la stessa che ha su Instagram? È un pubblico diverso o c’è sovrapposizione? Noi possiamo saperlo perché abbiamo più data point e perché mentre altri tool, pur validi, sono a compartimenti stagni, i nostri interagiscono tra loro.


Karim De Martino

Qual è oggi il volume d’affari dell’influencer marketing? E quali prospettive ha? Abbiamo già visto il grosso o è solo la punta dell’iceberg?


Nel 2021 l’influencer marketing è valso 272 milioni di euro in Italia e 3,7 miliardi di dollari negli USA. Queste sono cifre ufficiali e rappresentano il valore investito dalle aziende nell’influencer marketing. Ma sono valori destinati a crescere ancora moltissimo, visto che sono sempre più famosi i testimonial che vengono coinvolti. Se si considera che oggi negli Stati Uniti è prassi vedere impiegati sui social giocatori di NFL ed NBA, oppure le Kardashian (che solo loro fatturano cifre iperboliche), parliamo di medie che ogni anno non possono che essere ritoccate verso l’alto.

Dagli influencer ai virtual influencer: come ci si è arrivati? Perché s’è sentito il bisogno di crearli? E sono una moda passeggera o sono destinati a restare?


Il concetto è lo stesso dei film d’animazione di Pixar: perché usare la computer grafica anziché utilizzare attori in carne ed ossa? Perché puoi fargli fare quello che vuoi e li puoi mettere nelle situazioni più disparate in cui l’unico limite è la fantasia, nonché spostarli da una parte all’altra del mondo senza alcuno sforzo. Da Lil Miquela in poi il fenomeno ha preso sempre più piede e ora ci sono migliaia di virtual influencer; la prima attività su cui abbiamo lavorato in questo ambito è stata nel 2019 col Colonnello Sanders virtuale per KFC. Tecnicamente non l’abbiamo realizzato noi ma l’abbiamo portato virtualmente al Coachella, facendolo interagire con gli altri influencer lì presenti.

Quali sono i rischi connessi a questo fenomeno?


Ci sono sicuramente degli ottimi profili di influencer virtuali, tutto sta a capire come li si è costruiti. E come sempre ci sono due strade: quella più lunga, che richiede sudore, in cui si costruisce un profilo e si acquisiscono organicamente follower, e poi c’è quella veloce basata sul comprare. Nel peggiore dai casi, acquistando follower con bot o altri sistemi che non fanno crescere altro se non il “vanity number”; altrimenti si acquistano profili già esistenti, che prima ospitavano altri contenuti, che vengono quindi ripuliti e i cui numeri sono poi falsamente attribuiti al virtual influencer. Ai brand, prima d’investire, non posso che suggerire di guardare lo storico, così come per gli influencer in carne e ossa.

Web 3.0, metaversi, NFT: internet sta cambiando, quali sono le nuove sfide da affrontare?


Innanzitutto, bisogna restare sempre al passo con le nuove tecnologie e i nuovi social, basti pensare che tre anni fa TikTok praticamente non esisteva mentre oggi rappresenta il 50% delle nostre attività. E poi senz’altro si deve guardare dove sta andando il digitale, ossia metaversi, NFT e criptovalute, che sono parti di un ecosistema sempre più articolato. Accade già che si organizzino eventi virtuali nei metaversi e che si usino influencer per portare traffico ad essi. Con metaversi ed NFT stiamo senz’altro assistendo alla nascita di qualcosa di nuovo, destinato a diventare parte del nostro ecosistema.

I metaversi sono visti come tasselli indispensabili per raggiungere la Generazione Z ma se pensiamo che quello più popolare ha pochi milioni di iscritti, contro il miliardo abbondante di utenti di Instagram, il volerci investire oggi pare più una questione d’immagine che di reach…


Allargando il concetto di Metaverso anche a Fortnite e Roblox, che offrono una user experience simile, i numeri sono senz’altro più alti. Ma va detto che la Generazione Z oggi può essere raggiunta in molti modi e che si possono incrociare i segnali tra loro, così da realizzare attività nei metaversi e promuoverle al loro esterno riproponendole su canali più tradizionali come TikTok e YouTube.

Gli influencer, sia reali che virtuali, oggi vivono prevalentemente su Instagram, non esattamente lo strumento più moderno. Perché non li vediamo ancora all’interno dei metaversi?


Così come oggi presidiano i social, gli influencer dovrebbero senz’altro iniziare a presidiare i Metaversi, ma effettivamente oggi non c’è nulla di organico, solamente eventi pop-up. Probabilmente accade perché i Metaversi non sono vasi comunicanti. Si sta però lavorando per fare sì che i nostri avatar possano spostarsi liberamente tra un Metaverso e l’altro grazie a plug-in come Ready Player Me, che permette di portare il proprio alter ego digitale in tutti i Metaversi compatibili, ridisegnandolo in base alle singole specifiche tecniche.

Meta apre il primo virtual store in cui acquistare capi d’abbigliamento firmati per i propri avatar, a prezzi piuttosto economici. Come stanno cambiando le regole d’ingaggio dei grandi brand? È corretto acquistare un capo di Prada, ancorché virtuale, a meno di 10 dollari? O siamo ancora in una fase di sperimentazione?


Siamo senz’altro in una fase sperimentale ma ricordo che Diesel ha lanciato la settimana scorsa una collezione che andava dai 300 dollari di un portachiavi ai 1500 delle scarpe, fino ai 4000 di una giacca. Parliamo di NFT che davano accesso sia al prodotto fisico che alla controparte digitale. Non va però dimenticato che mentre nel mondo reale c’è un limite fisico alla quantità di beni che si possono produrre, nel digitale non ci sono restrizioni e si possono collocare anche milioni di pezzi.

Influencer, virtual influencer, social network, esport… quant’è difficile raggiungere la Generazione Z? È un mercato enorme ma anche dispersivo: il gioco vale sempre la candela?


Quand’eravamo giovani noi, bastava presidiare televisione e giornali per raggiungere quasi tutta l’audience. Oggi i brand devono accettare le sfide imposte dal concetto di multi-channel, ossia raggiungere persone diverse che interagiscono in ambiti diversi. Pensiamo all’operazione di Absolut per il Coachella di quest’anno: ha sponsorizzato il festival fisico, il che ha comportato che chiunque fosse lì presente ha visto il brand ovunque, dai banner ai gonfiabili. Poi ha creato uno spazio Absolut su Decentraland, in cui si sono tenute delle feste e dove degli avatar riproponevano gli eventi che si stavano tenendo dal vivo. All’interno di quell’esperienza si potevano vincere degli NFT contenenti oggetti per i propri avatar, e si poteva anche partecipare a un concorso in cui si arrivava a una landing page dove lasciare i propri dati per vincere un biglietto per il Coachella. Questa operazione è stata registrata e portata fuori dal Metaverso trasmettendola sulle piattaforme di streaming e, in ultimo, è stata promossa su Instagram. In un’unica operazione c’è stato l’evento fisico, il Metaverso, lo streaming, i social, gli influencer e gli NFT. Oggi è molto più complesso che una volta ma anche più stimolante.

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