Crisi di governo
Draghi vitale per Italia e asse atlantico, Usa e Ue fanno di tutto per tenerlo
Scenario opposto rispetto al commissariamento Monti di 11 anni fa. Senza Draghi la credibilità italiana, ma anche la tenuta europea e dell’alleanza atlantica, subirebbero un impatto violento. Voto peggior alternativa
di Stefano Caratelli 18 Luglio 2022 08:05
Undici anni fa di questi tempi veniva recapitata a Palazzo Chigi la famosa lettera del presidente della Bce Jean-Claude Trichet e del successore designato Mario Draghi che ‘raccomandava’ una drastica stretta ai conti pubblici per evitare che i BTP facessero la fine dei bond argentini. Imperversava la crisi del debito europeo e tra Berlino e Parigi l’idea di lasciar andare la penisola alla deriva nel Mediterraneo con la Grecia non veniva esclusa. Furono approvate misure draconiane ma non abbastanza, lo spread si avvicinava a quota 500 e alla fine l’allora presidente Napolitano dovette chiamare il ‘commissario’ Monti per evitare il peggio.
A inizio 2021, in una situazione molto diversa dove i problemi prima del debito erano il virus e la ripartenza dell’economia il successore di Napolitano, Mattarella, il commissario lo ha nominato direttamente senza bisogno di sollecitazioni nella persona dello stesso Draghi, che nel frattempo alla guida della Bce aveva salvato l’euro dal collasso. 18 mesi dopo, vinta la battaglia del covid grazie ai vaccini, rimessa in carreggiata l’economia con il PNRR e ridata credibilità a un’Europa presa alla sprovvista dalla guerra in Ucraina, Draghi vorrebbe sbattere la porta e andarsene, esasperato dal fuoco amico di componenti marginali ma numericamente ancora consistenti della sua stessa maggioranza.
Rispetto a 11 anni fa la situazione è capovolta, in 18 mesi Draghi non solo ha rimesso in rotta l’Italia, ma ancora di più ha preso per mano un’Europa disorientata dalla guerra in Ucraina e dalla crisi energetica, l’ha ricompattata nell’alleanza atlantica e se ne è fatto garante con gli americani, di cui è diventato il punto di riferimento e il numero di telefono che Biden compone quando vuole rassicurazioni sul vento che tira nelle capitali europee.
Dopo l’azzoppamento di Boris Johnson, Draghi era rimasto l’unico saldo ancoraggio di Washington da questa parte dell’Atlantico, a Berlino il cancelliere Scholz oscilla tra fedeltà alla Nato e convenienze nazionali, a Parigi Macron si ritrova con un governo privo di maggioranza in Assemblea Nazionale, finlandesi e svedesi non hanno il peso per orientare la politica continentale, mentre spagnoli e portoghesi sembrano del tutto indifferenti a quello che succede dall’altra parte dei Pirenei.
Inoltre, dopo la ‘cura’ Draghi fatta di ‘debito buono’ e un Pnrr credibile, l’Italia vanta una situazione solida, fatta di deficit contenuto, Prodotto in crescita, conti con l’estero in salute. Il fronte estero insomma, quello al quale l’Italia è da sempre più esposta, sia dal punto di vista politico che di mercati e investitori, arriva un coro unanime perché Draghi resti. I nemici sono tutti in casa, da un ex premier double face ossessionato dal protagonismo, ad altri ‘alleati’ di maggioranza tentati di incassare un presunto vantaggio elettorale ‘costi quel che costi’, in un whatever it thakes alla rovescia rispetto a quello con cui lo stesso Draghi salvò la moneta unica 10 anni fa.
Il coro di chi vuole che Draghi resti canta anche in Italia, dalle imprese alle istituzioni finanziarie alla società civile, ma sembra poco ascoltato dai politici. Il prestigio globale di Draghi è talmente alto che Bloomberg, in un’analisi ripresa domenica dalla Washington Post, arriva a sostenere che l’influenza del premier sia talmente radicata che potrebbe sopravvivere persino a un collasso della maggioranza, definendo ‘esagerate’ le paure su chi potrebbe guidare l’Italia dopo l’ex capo della Bce. Certo è che andare a votare a ottobre vorrebbe dire esercizio provvisorio di bilancio certo, Pnrr nel limbo per chissà quanti mesi, chiusura temporanea del rubinetto dei fondi europei e forse anche dello scudo anti-spread. Lo scenario potrebbe essere un po’ meno catastrofico con un ‘reggente’ affidabile per arrivare alle elezioni nella primavera del 2023.
Tornando da dove siamo partiti, si potrebbe immaginare lo stesso scenario di 11 anni fa ma capovolto. Chi, da Washington a Bruxelles crede che Draghi sia un tassello indispensabile della tenuta italiana e europea, almeno finché dura la guerra e la crisi energetica, potrebbe trovare la strada di una ‘moral suasion’ come quella che fece allora arrivare allora il ‘commissario’. Ora che c’è e funziona bene, non bisogna lasciarlo andare via, magari con l’aiuto dei non pochi che anche in Italia la pensano allo stesso modo. Qualcuno dovrà cadere dalla torre, e l’ex premier multi-task sembra un buon candidato.
Se si riuscisse a far restare Draghi, con un bis o perdendo una ruota, chiaramente scatterebbe l’applauso di mercati e investitori nel più classico dei relief rally, il sospiro di sollievo che spinge Borsa e prezzi dei Btp in rialzo e lo spread in calo. Ma tutte le incertezze globali restano e le elezioni nel 2023 restano un passaggio non evitabile. Anche se si evita la catastrofe la strada resta accidentata.
RIDATA CREDIBILITÀ ALL’EUROPA
A inizio 2021, in una situazione molto diversa dove i problemi prima del debito erano il virus e la ripartenza dell’economia il successore di Napolitano, Mattarella, il commissario lo ha nominato direttamente senza bisogno di sollecitazioni nella persona dello stesso Draghi, che nel frattempo alla guida della Bce aveva salvato l’euro dal collasso. 18 mesi dopo, vinta la battaglia del covid grazie ai vaccini, rimessa in carreggiata l’economia con il PNRR e ridata credibilità a un’Europa presa alla sprovvista dalla guerra in Ucraina, Draghi vorrebbe sbattere la porta e andarsene, esasperato dal fuoco amico di componenti marginali ma numericamente ancora consistenti della sua stessa maggioranza.
PUNTO DI RIFERIMENTO PER GLI USA
Rispetto a 11 anni fa la situazione è capovolta, in 18 mesi Draghi non solo ha rimesso in rotta l’Italia, ma ancora di più ha preso per mano un’Europa disorientata dalla guerra in Ucraina e dalla crisi energetica, l’ha ricompattata nell’alleanza atlantica e se ne è fatto garante con gli americani, di cui è diventato il punto di riferimento e il numero di telefono che Biden compone quando vuole rassicurazioni sul vento che tira nelle capitali europee.
ERA RIMASTO L’UNICO ANCORAGGIO
Dopo l’azzoppamento di Boris Johnson, Draghi era rimasto l’unico saldo ancoraggio di Washington da questa parte dell’Atlantico, a Berlino il cancelliere Scholz oscilla tra fedeltà alla Nato e convenienze nazionali, a Parigi Macron si ritrova con un governo privo di maggioranza in Assemblea Nazionale, finlandesi e svedesi non hanno il peso per orientare la politica continentale, mentre spagnoli e portoghesi sembrano del tutto indifferenti a quello che succede dall’altra parte dei Pirenei.
NEMICI TUTTI IN CASA
Inoltre, dopo la ‘cura’ Draghi fatta di ‘debito buono’ e un Pnrr credibile, l’Italia vanta una situazione solida, fatta di deficit contenuto, Prodotto in crescita, conti con l’estero in salute. Il fronte estero insomma, quello al quale l’Italia è da sempre più esposta, sia dal punto di vista politico che di mercati e investitori, arriva un coro unanime perché Draghi resti. I nemici sono tutti in casa, da un ex premier double face ossessionato dal protagonismo, ad altri ‘alleati’ di maggioranza tentati di incassare un presunto vantaggio elettorale ‘costi quel che costi’, in un whatever it thakes alla rovescia rispetto a quello con cui lo stesso Draghi salvò la moneta unica 10 anni fa.
VOTO SUBITO SCENARIO PEGGIORE
Il coro di chi vuole che Draghi resti canta anche in Italia, dalle imprese alle istituzioni finanziarie alla società civile, ma sembra poco ascoltato dai politici. Il prestigio globale di Draghi è talmente alto che Bloomberg, in un’analisi ripresa domenica dalla Washington Post, arriva a sostenere che l’influenza del premier sia talmente radicata che potrebbe sopravvivere persino a un collasso della maggioranza, definendo ‘esagerate’ le paure su chi potrebbe guidare l’Italia dopo l’ex capo della Bce. Certo è che andare a votare a ottobre vorrebbe dire esercizio provvisorio di bilancio certo, Pnrr nel limbo per chissà quanti mesi, chiusura temporanea del rubinetto dei fondi europei e forse anche dello scudo anti-spread. Lo scenario potrebbe essere un po’ meno catastrofico con un ‘reggente’ affidabile per arrivare alle elezioni nella primavera del 2023.
MORAL SUASION INTERNAZIONALE
Tornando da dove siamo partiti, si potrebbe immaginare lo stesso scenario di 11 anni fa ma capovolto. Chi, da Washington a Bruxelles crede che Draghi sia un tassello indispensabile della tenuta italiana e europea, almeno finché dura la guerra e la crisi energetica, potrebbe trovare la strada di una ‘moral suasion’ come quella che fece allora arrivare allora il ‘commissario’. Ora che c’è e funziona bene, non bisogna lasciarlo andare via, magari con l’aiuto dei non pochi che anche in Italia la pensano allo stesso modo. Qualcuno dovrà cadere dalla torre, e l’ex premier multi-task sembra un buon candidato.
BOTTOM LINE
Se si riuscisse a far restare Draghi, con un bis o perdendo una ruota, chiaramente scatterebbe l’applauso di mercati e investitori nel più classico dei relief rally, il sospiro di sollievo che spinge Borsa e prezzi dei Btp in rialzo e lo spread in calo. Ma tutte le incertezze globali restano e le elezioni nel 2023 restano un passaggio non evitabile. Anche se si evita la catastrofe la strada resta accidentata.
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