Investimenti Esg

DPAM: “Dalla regolamentazione possibile soluzione al greenwashing”

C’è ancora mancanza di chiarezza e di comprensione per gli investitori che scelgono prodotti Esg, oltre alla complessità di soddisfare i requisiti normativi. Aumenta così il rischio di greenwashing

di Fabrizio Arnhold 26 Ottobre 2022 16:55

financialounge -  DPAM ESG investimenti sostenibili Ophélie Mortier regolamentazione
Investimenti sostenibili e regolamentazione. Il binomio è sempre più di interesse. Gli articoli critici sui temi Esg pubblicati dal The Economist confermano che i regolatori hanno ancora molto lavoro da fare. A poche settimane dalla scadenza dell’attuazione del secondo livello del regolamento SFDR1, il momento potrebbe essere buono per fare il punto sul fronte investimenti sostenibili e regole. “I primi risultati indicano uniformemente una mancanza di chiarezza e di comprensione per gli investitori, nonché la complessità di soddisfare i requisiti normativi e il rischio ancora maggiore di greenwashing”, commenta Ophélie Mortier, Chief Sustainable Investment Officer di DPAM.

MANCANZA DI CHIAREZZA


Il regolamento SFDR ha come obiettivo proprio quello di aumentare la trasparenza sui prodotti finanziari e sull’importanza degli obiettivi ambientali. “La normativa Mifid2 prevede che ai clienti vengano chieste le loro preferenze in materia di sostenibilità e che possano rispondere nel modo più appropriato e trasparente”, continua nella sua analisi il gestore di DPAM. “La questione del mancato allineamento dei tempi tra le due normative non verrà discussa in questa sede, poiché è possibile aggirare il problema”. Mettiamoci per un attimo nei panno di un investitore privato.

SFDR E PROBLEMI


Gli investitori che esprimono le loro preferenze in base a un grado di obiettivi di sostenibilità definiti dell’SFDR vanno incontro ad alcune criticità. Primo problema: l’SFDR non impone una percentuale minima di obiettivi sostenibili. Questo significa che “le prime ricerche mostrano una forbice tra il 5% e l’80% di obiettivi sostenibili a seconda dei prodotti della stessa categoria”, prosegue Mortier che poi evidenzia il secondo problema. “Mentre la Commissione europea ha voluto essere chiara sull'ambito di applicazione dell'articolo 9 e sul suo tasso minimo di sostenibilità, ossia un obiettivo del 100% di strumenti sostenibili esclusi i contanti e i derivati, il mercato ha optato per un minimo compreso tra il 20% e un massimo del 70% per questo tipo di prodotti”.

GLI INDICATORI AMBIENTALI


Gli investitori possono anche esprimere le loro preferenze in termini di PAI (Principal Adverse Impact Indicator). Si tratta di un elenco completo di 14 indicatori ambientali e sociali obbligatori che devono essere integrati e misurati dai prodotti che mirano allo sostenibilità. DPAM precisa come “sebbene questi indicatori siano certamente rilevanti”, come per esempio le emissioni di carbonio o la gestione delle acque pericolose, “è importante riconoscere che le metriche richieste non sono né misurabili né disponibili per tutti i settori e gli stakeholder”. Ma non solo. Il valore per gli investitori è poco misurabile perché sono riportati come media ponderata del portafoglio.

AUMENTA IL RISCHIO GREENWASHING


Il greenwashing è, semplicemente, un ecologismo di facciata. La complessità delle informazioni richieste per gli investimenti Esg aumenta il rischio. “A seconda della loro classificazione SFDR, i prodotti finanziari sono tenuti a presentare un documento in un formato rigoroso e preciso, che viene allegato al prospetto del prodotto o al contratto di gestione del cliente”, precisa la Chief Sustainable Investment Officer di DPAM. Il documento deve inoltre essere approvato dalle autorità di vigilanza entro il 1° gennaio 2023.

PAROLA D’ORDINE CAUTELA


Il livello di precisione degli impegni contrattuali spinge il mercato verso un approccio cauto. Perché? “Il motivo riguarda il rischio di accusa di greenwashing che è sempre presente”, spiega Mortier. “Di conseguenza, si usa cautela nel fissare le percentuali minime di impegno, per essere certi di raggiungerle tra un anno, quando sarà obbligatorio redigere il bilancio”. Il declassamento delle classificazione dei prodotti ha portato a una massa poco navigabile di prodotti di categoria 8 con varie forme di impegni sostenibili. Questo riduce la trasparenza per gli investitori.

PIÙ EQUILIBRIO TRA REALTÀ E IDEALI


Per l’esperta di DPAM è arrivato il momento di dimostrare che gli impegni, quando si parla di investimenti sostenibili, sono autentici in un mondo in cui le metriche e la quantità tendono a prevalere sulla qualità. La regolamentazione deve trovare il modo di arrivare a un giusto equilibrio tra ideali universali e realtà pragmatica. Soprattutto in un momento caratterizzato dalla crisi energetica che mette di fronte a scelte sull'approvvigionamento energetico del prossimo futuro.

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