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Bregret, cos’è il nuovo fenomeno post-Brexit

Voluta, cercata e ottenuta: l’uscita dall’UE della Gran Bretagna però non dà i risultati sperati e promessi, lasciando dubbiosi gli inglesi. Tra riunioni segrete e rimorsi, ora che succede?

di Lorenzo Cleopazzo 19 Febbraio 2023 09:30

financialounge -  Brexit economia sunday view
I neologismi fanno parte della nostra lingua da sempre. Anche perché qualsiasi parola, prima di entrare nel vocabolario comune, sarà stata inventata o anche solo tradotta dal greco o dal latino da qualcuno.

Dalle espressioni dantesche - ormai comunissime – come ‘galeotto fu [inserire elemento a piacere]’, o ‘senza infamia e senza lode’, passando poi dal ‘tramezzino’ di D’Annunzio, fino ai super-contemporanei ‘spoilerare’, ‘googlare’ e altri. E non scomodiamo ‘petaloso’, per carità.

Il nostro linguaggio si evolve con noi e spesso è anche cartina di tornasole di ciò che impregna maggiormente una società. Non a caso, da qualche anno a questa parte nel vocabolario comune è entrato anche un altro termine, conosciutissimo e diffuso, quasi tautologico: ‘Brexit’.

Eccolo qui, coniato ad hoc per l’occasione che rappresenta, se ne sta bello bello nei molti servizi al tg, sugli articoli di giornale e sui vocabolari stampati dal 2016 in avanti.

Nella notte del 31 gennaio 2020 questo termine astratto è diventato un fatto concreto, con la conseguenza che molti inglesi avrebbero voluto che questa parola rimanesse tale.

Sotto il Big Ben ci si mangia le mani, e non è la prima volta che da quelle parti sbagliano qualche calcolo.

BREGRET


Un solo inglese su cinque è convinto che uscire dall’UE sia stata una buona idea. Non un plebiscito.

Il percepito sotto la corona di Re Carlo non è il massimo, e anche se tutto ciò che è successo e che continua a succedere in questi anni sembra far passare la questione in secondo piano, tra le strade di Londra si avverte un’aria un po’ pesante. A questo aggiungiamoci gli scioperi che hanno coinvolto trasporti, sanità, poste e telecomunicazioni, oltre alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale che vede una contrazione del Pil dello 0.6%, obbligando il Regno Unito al ruolo di peggior paese del G7 nell’anno.

Il crollo delle esportazioni verso l'UE ha portato le imprese britanniche a una generale diminuzione dei profitti, che va poi a ripercuotersi sui consumatori finali. E non è un caso che gli inglesi si siano anche mobilitati per protestare. Ecco allora che nasce e cresce a dismisura il movimento del Bregret, dall’unione di ‘Brexit’ e ‘Regret’ - a proposito di neologismi – di chi si dice pentito di essere stato a favore dell’uscita dall’Unione Europea. Un moto d’animo capace persino di unire europeisti ed euroscettici attorno allo stesso tavolo per difendere il Paese dal crollo, e che porta i Brexiter più accaniti a riconoscere il fallimento.

BREOUT


Royal Navy e RAF. E poi ancora Waterloo e le altre vittorie nelle guerre napoleoniche, oltre ai successi economici della Compagnia delle Indie Orientali. L’Impero Britannico ha senz’altro una lunga fila di successi all’attivo, e del resto non si diventa un impero vincendo alla lotteria. Ma cosa sarebbe una bella storia, senza qualche inciampo nel mezzo?

Lungo i suoi secoli di vita, il regno inglese si è trovato più volte a incassare delle sconfitte che ne hanno compromesso l’integrità geografica ed economica. In poco meno di un secolo, a Londra hanno dovuto fare i conti con ben due moti indipendentisti che hanno portato all’indipendenza delle colonie americane nel 1783 e alla rivolta dei Sepoy dell’India nel 1857 – che segnerà inevitabilmente la colonia britannica fino alla sua indipendenza meno di un secolo dopo. Non proprio delle Brexit, ma più che altro delle Bre-Out senza appello e che hanno spianato la strada ad altri protagonisti vecchi e nuovi dello scacchiere economico mondiale. In entrambi i casi, infatti, i forti moti indipendentisti sfociarono poi in vere e proprie guerre che minarono la forza dell’Impero britannico agli occhi del mondo intero, causando anche il declino economico che prima era legato anche all’import-export con altri paesi. Cittadini arrabbiati ed economia sottomessa, costi della vita alti e scontento generale. Ricorda qualcosa?

La differenza sta nel modo in cui sono state espresse certe preferenze: se oggi si usano matite e schede colorate, allora si sono utilizzate armi varie e assortite.

BRE…?


In primo piano il quadro dipinto dalla Brexit è disastroso, ma sullo sfondo sembra muoversi qualcosa.

Come dicevamo in conclusione del secondo paragrafo, il sentimento del Bregret è arrivato fino alle alte sfere dell’establishment: secondo alcune indiscrezioni rilanciate anche dal quotidiano La Repubblica, sarebbe stata organizzata addirittura una riunione bipartisan tra Conservatori, Laburisti, capi di varie multinazionali e persino dei rappresentanti Nato. Tema del rendez-vous: come arginare i danni causati dall’uscita dall’UE.

E se è vero – com’è vero – che europeisti e brexiter non si siedono allo stesso tavolo neanche all’ora del tè, allora la questione è seria.

Tra chi preannuncia un nuovo referendum Leave or Remain tra 5 o 7 anni e chi continua a protestare, lo sguardo di tutti è già rivolto a gennaio 2025, quando le elezioni potrebbero riportare la sinistra al potere dopo 15 anni griffati Tories. Il Bregret ora è fortissimo, ma chissà che in questi anni non si quietino gli animi e le eminenze grigie che si sono trovate per arginare i problemi della Brexit non ci riescano davvero. Il futuro è incerto, e noi possiamo solo stare a guardare sotto la nostra morbida e calda coperta blu con tante stelle gialle rammendate sopra.

BONUS TRACK


‘London Calling’ dei Clash, ‘Another Brick in The Wall’ dei Pink Floyd, ‘That’s Entertainment’ dei The Jam e tante altre canzoni che hanno fatto la storia della musica britannica – e non solo – sono nate proprio dalla protesta verso le scelte economico-sociali della politica inglese attorno agli anni ‘80.

A questo punto è lecito chiedersi quanti dischi verranno incisi sull’onda della Brexit.

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