Scambi commerciali
Vincitori e perdenti della deglobalizzazione secondo PGIM
Tra i potenziali beneficiari, dovrebbero figurare le aziende statunitensi che producono cavi, ponti, veicoli elettrici, strade e semiconduttori e le catene di approvvigionamento del Sudest asiatico e dell’India
di Leo Campagna 24 Aprile 2023 15:00
La globalizzazione è decollata negli anni Cinquanta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, per poi accelerare al momento della costituzione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 1995. Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, tuttavia, ha accusato un progressivo rallentamento, con i tre grandi blocchi commerciali del mondo (USA, Cina, Europa) che si stanno chiudendo in se stessi, nel tentativo di favorire le proprie industrie strategiche.
“L’accesa concorrenza tra le grandi potenze e i crescenti problemi di sicurezza stanno aumentando i rischi per la crescita economica e i rendimenti degli investimenti” fanno sapere gli esperti di PGIM. A mano a mano che le grandi economie adottano forme di protezionismo, si creano blocchi commerciali basati sulle alleanze geopolitiche in materia di sicurezza e sulla regionalizzazione.
“Queste iniziative stanno comportano già una riorganizzazione dei flussi commerciali e un aumento dei rischi di protezionismo. La deglobalizzazione provocherà non soltanto un rallentamento della crescita, ma anche una significativa diminuzione dei redditi nazionali per tutte le economie, anche per quelle più grandi e diversificate” ha commentato Kenneth Rogoff, professore di economia e politica pubblica dell’Università di Harvard, secondo il quale la deglobalizzazione potrebbe accentuare le pressioni inflazionistiche al rialzo per un periodo prolungato.
Se i prezzi al consumo a medio termine fossero spinti dalla deglobalizzazione ad un livello più elevato rispetto al 2% circa registrato da molte economie nei 10 anni precedenti la pandemia di Covid-19, la crescita economica globale potrebbe subire una contrazione. L’OCSE stima che la trasformazione verso catene del valore localizzate potrebbe portare a una diminuzione del PIL reale globale di oltre il 5%. Inoltre, l’aumento del costo del capitale tenderebbe a generare rendimenti inferiori sugli investimenti come le azioni.
“Tuttavia, ci sarebbero comunque vincitori e perdenti, aumentando la necessità di selezionare accuratamente gli investimenti per ridurre al minimo il rischio” tengono a sottolineare i manager di PGIM. Ad esempio, grazie alle tre leggi dell’amministrazione Biden che iniettano 2.000 miliardi di dollari nella reindustrializzazione dell’America, le aziende statunitensi che producono cavi, ponti, veicoli elettrici, strade e semiconduttori, si troveranno al centro dell’attenzione di questo progetto. Allo stesso tempo, tuttavia, esiste il rischio che le imprese americane con lunghe catene di approvvigionamento che si estendono in Cina possano essere penalizzate.
Ad essere favorite dovrebbero risultare anche le compagnie capaci di sfruttare al meglio l’adozione e l’integrazione della tecnologia nella loro produzione in modo da affermarsi come produttori a basso costo. “Alla luce dell’incertezza sulle prospettive dei mercati azionari e obbligazionari, gli investitori potrebbero scegliere una strategia macroeconomica globale agile, selezionando posizioni lunghe (al rialzo) e corte (che si avvantaggiano invece dei ribassi) in attività meno correlate al mercato complessivo, tenendo conto dei profondi cambiamenti del sentiment o delle aspettative del mercato” tengono a precisare i professionisti di PGIM.
Secondo i quali, adottando una strategia di questo tipo si beneficerà della flessibilità necessaria per reagire in modo agile al variare delle condizioni. Dal punto di vista geografico, la diversificazione delle catene di approvvigionamento potrebbe favorire il Sudest asiatico e l’India: secondo un’analisi del Boston Consulting Group, le aziende statunitensi, europee e cinesi probabilmente ricorreranno sempre di più agli approvvigionamenti da questa regione.
Sembra insomma che sia avviato un processo di deglobalizzazione e uno di regionalizzazione alimentati dalla competitività economica e dalla sicurezza nazionale. “Non si può escludere un impatto profondo sull’economia globale e sui portafogli di investimento. Per quanto riguarda l’entità dell’impatto, molto dipenderà dalla possibilità che i responsabili politici riescano a trovare un giusto equilibrio tra liberalizzazione del commercio senza restrizioni e protezionismo. L’unico aspetto positivo è la probabile accelerazione della decarbonizzazione” concludono gli esperti di PGIM.
I RISCHI PER LA CRESCITA ECONOMICA E PER I RENDIMENTI FINANZIARI
“L’accesa concorrenza tra le grandi potenze e i crescenti problemi di sicurezza stanno aumentando i rischi per la crescita economica e i rendimenti degli investimenti” fanno sapere gli esperti di PGIM. A mano a mano che le grandi economie adottano forme di protezionismo, si creano blocchi commerciali basati sulle alleanze geopolitiche in materia di sicurezza e sulla regionalizzazione.
PRESSIONI INFLAZIONISTICHE AL RIALZO
“Queste iniziative stanno comportano già una riorganizzazione dei flussi commerciali e un aumento dei rischi di protezionismo. La deglobalizzazione provocherà non soltanto un rallentamento della crescita, ma anche una significativa diminuzione dei redditi nazionali per tutte le economie, anche per quelle più grandi e diversificate” ha commentato Kenneth Rogoff, professore di economia e politica pubblica dell’Università di Harvard, secondo il quale la deglobalizzazione potrebbe accentuare le pressioni inflazionistiche al rialzo per un periodo prolungato.
UNA DIMINUZIONE DEL PIL REALE GLOBALE DI OLTRE IL 5%
Se i prezzi al consumo a medio termine fossero spinti dalla deglobalizzazione ad un livello più elevato rispetto al 2% circa registrato da molte economie nei 10 anni precedenti la pandemia di Covid-19, la crescita economica globale potrebbe subire una contrazione. L’OCSE stima che la trasformazione verso catene del valore localizzate potrebbe portare a una diminuzione del PIL reale globale di oltre il 5%. Inoltre, l’aumento del costo del capitale tenderebbe a generare rendimenti inferiori sugli investimenti come le azioni.
VINCITORI E PERDENTI DELLA DEGLOBALIZZAZIONE
“Tuttavia, ci sarebbero comunque vincitori e perdenti, aumentando la necessità di selezionare accuratamente gli investimenti per ridurre al minimo il rischio” tengono a sottolineare i manager di PGIM. Ad esempio, grazie alle tre leggi dell’amministrazione Biden che iniettano 2.000 miliardi di dollari nella reindustrializzazione dell’America, le aziende statunitensi che producono cavi, ponti, veicoli elettrici, strade e semiconduttori, si troveranno al centro dell’attenzione di questo progetto. Allo stesso tempo, tuttavia, esiste il rischio che le imprese americane con lunghe catene di approvvigionamento che si estendono in Cina possano essere penalizzate.
LE AZIENDE FAVORITE
Ad essere favorite dovrebbero risultare anche le compagnie capaci di sfruttare al meglio l’adozione e l’integrazione della tecnologia nella loro produzione in modo da affermarsi come produttori a basso costo. “Alla luce dell’incertezza sulle prospettive dei mercati azionari e obbligazionari, gli investitori potrebbero scegliere una strategia macroeconomica globale agile, selezionando posizioni lunghe (al rialzo) e corte (che si avvantaggiano invece dei ribassi) in attività meno correlate al mercato complessivo, tenendo conto dei profondi cambiamenti del sentiment o delle aspettative del mercato” tengono a precisare i professionisti di PGIM.
L’ANALISI DEL BOSTON CONSULTING GROUP
Secondo i quali, adottando una strategia di questo tipo si beneficerà della flessibilità necessaria per reagire in modo agile al variare delle condizioni. Dal punto di vista geografico, la diversificazione delle catene di approvvigionamento potrebbe favorire il Sudest asiatico e l’India: secondo un’analisi del Boston Consulting Group, le aziende statunitensi, europee e cinesi probabilmente ricorreranno sempre di più agli approvvigionamenti da questa regione.
UNA PROBABILE ACCELERAZIONE DELLA DEGLOBALIZZAZIONE
Sembra insomma che sia avviato un processo di deglobalizzazione e uno di regionalizzazione alimentati dalla competitività economica e dalla sicurezza nazionale. “Non si può escludere un impatto profondo sull’economia globale e sui portafogli di investimento. Per quanto riguarda l’entità dell’impatto, molto dipenderà dalla possibilità che i responsabili politici riescano a trovare un giusto equilibrio tra liberalizzazione del commercio senza restrizioni e protezionismo. L’unico aspetto positivo è la probabile accelerazione della decarbonizzazione” concludono gli esperti di PGIM.