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Wellington Management spiega come interpretare gli effetti della deglobalizzazione
A prescindere da come la deglobalizzazione si evolverà, rappresenterà probabilmente un driver di mercato fondamentale per il futuro: è tuttavia fondamentale comprenderne le implicazioni
di Leo Campagna 19 Maggio 2023 18:30
Se per decenni, il rapporto commercio globale/PIL ha registrato una costante tendenza al rialzo, negli ultimi dieci anni le restrizioni commerciali imposte dalle normative hanno raffreddato tale tendenza. Da alcuni anni stiamo infatti assistendo ad un percorso verso la deglobalizzazione che vede crescere le iniziative aziendali in tema di rilocalizzazione delle filiere produttive (nelle varie forme: reshoring, onshoring e nearshoring). La conferma che il nuovo paradigma è già avviato arriva dall'avvio di progetti costruttivi manifatturieri negli Stati Uniti ai massimi storici.
La volontà da parte delle autorità politiche e delle società di invertire alcuni aspetti della globalizzazione inizia ad avere un impatto sull'economia e sui mercati. “Il conflitto in Ucraina ha spazzato via le partecipazioni russe mentre le società cinesi colpite dalle sanzioni hanno accusato forti svendite sui mercati finanziari: gli investitori sono diventati cauti nell'investire capitale a livello internazionale” fa sapere Nick Petrucelli, Portfolio Manager di Wellington Management.
In uno scenario di deglobalizzazione in continuo aumento, è probabile ritrovarsi con tassi di crescita più bassi e inflazione più alta, dal momento che i beni e la manodopera diventeranno meno ottimizzati. In parallelo, i cicli economici potrebbero diventare più volatili in presenza di una minore cooperazione a livello internazionale e i margini aziendali potrebbero risentirne, soprattutto per le società che avevano beneficiato dell'esternalizzazione del lavoro.
Un quadro piuttosto negativo per i mercati dei capitali, nel quale, tuttavia, emergono anche delle opportunità. “Le catene di approvvigionamento meno efficienti e la concorrenza con i settori industriali nazionali per i servizi tendono ad far salire i costi marginali di produzione delle commodity: una dinamica che favorisce le materie prime nel lungo periodo” spiega Petrucelli che poi segnala anche i rischi di fornitura causati dall'instabilità geopolitica. “Ad esempio, almeno il 23% della produzione petrolifera avviene in Paesi attualmente sottoposti a sanzioni imposte da Washington” riferisce il manager di Wellington Management.
A questo proposito l’esempio delle aziende siderurgiche statunitensi è significativo. “La domanda di acciaio negli USA è attualmente sostenuta dall’incremento delle costruzioni manifatturiere e dall’attenzione dei clienti alle catene di fornitura. Nel frattempo, i dazi imposti dalle preoccupazioni geopolitiche, impediscono di incrementare le importazioni, consentendo all'industria siderurgica nazionale di ottenere margini di profitto elevati” riferisce Petrucelli.
La spesa per le infrastrutture nazionali e l'onshoring potrebbero poi favorire pure i settori industriali, come le società di ingegneria e costruzioni. Infatti, la capacità produttiva è ora limitata e l'aumento della domanda potrebbe portare ad ulteriori pressioni e un notevole potere di determinazione dei prezzi. A trarne beneficio sarebbero anche le imprese che noleggiano attrezzature a queste società di ingegneria e costruzione mentre l'aumento del transito tra i poli di produzione interna dovrebbe sostenere i servizi ferroviari.
“Queste tendenze potrebbe poi fornire un forte impulso ai servizi di automazione e di reclutamento del personale. La diminuzione dell'immigrazione e l'impegno a orientarsi verso la produzione locale potrebbero irrigidire i mercati del lavoro, aumentando potenzialmente la domanda di competenze del personale e di sostituzione sotto forma di automazione, a causa dell'aumento dei salari” specifica Petrucelli.
L’oro, infine, potrebbe trarre vantaggio sia come copertura dal rischio di un mondo più instabile, sia da un eventuale indebolimento dello status di riserva del dollaro USA. “A prescindere da come la deglobalizzazione si evolverà, riteniamo che essa rappresenterà probabilmente un driver di mercato fondamentale per il futuro” conclude il Portfolio Manager di Wellington Management.
UN IMPATTO SULL’ECONOMIA E SUI MERCATI
La volontà da parte delle autorità politiche e delle società di invertire alcuni aspetti della globalizzazione inizia ad avere un impatto sull'economia e sui mercati. “Il conflitto in Ucraina ha spazzato via le partecipazioni russe mentre le società cinesi colpite dalle sanzioni hanno accusato forti svendite sui mercati finanziari: gli investitori sono diventati cauti nell'investire capitale a livello internazionale” fa sapere Nick Petrucelli, Portfolio Manager di Wellington Management.
COMPRENDERE LE IMPLICAZIONI
In uno scenario di deglobalizzazione in continuo aumento, è probabile ritrovarsi con tassi di crescita più bassi e inflazione più alta, dal momento che i beni e la manodopera diventeranno meno ottimizzati. In parallelo, i cicli economici potrebbero diventare più volatili in presenza di una minore cooperazione a livello internazionale e i margini aziendali potrebbero risentirne, soprattutto per le società che avevano beneficiato dell'esternalizzazione del lavoro.
INDIVIDUARE LE OPPORTUNITÀ
Un quadro piuttosto negativo per i mercati dei capitali, nel quale, tuttavia, emergono anche delle opportunità. “Le catene di approvvigionamento meno efficienti e la concorrenza con i settori industriali nazionali per i servizi tendono ad far salire i costi marginali di produzione delle commodity: una dinamica che favorisce le materie prime nel lungo periodo” spiega Petrucelli che poi segnala anche i rischi di fornitura causati dall'instabilità geopolitica. “Ad esempio, almeno il 23% della produzione petrolifera avviene in Paesi attualmente sottoposti a sanzioni imposte da Washington” riferisce il manager di Wellington Management.
L’ESEMPIO DELLE AZIENDE SIDERURGICHE STATUNITENSI
A questo proposito l’esempio delle aziende siderurgiche statunitensi è significativo. “La domanda di acciaio negli USA è attualmente sostenuta dall’incremento delle costruzioni manifatturiere e dall’attenzione dei clienti alle catene di fornitura. Nel frattempo, i dazi imposti dalle preoccupazioni geopolitiche, impediscono di incrementare le importazioni, consentendo all'industria siderurgica nazionale di ottenere margini di profitto elevati” riferisce Petrucelli.
FAVORITE ANCHE LE SOCIETÀ DI INGEGNERIA E COSTRUZIONE
La spesa per le infrastrutture nazionali e l'onshoring potrebbero poi favorire pure i settori industriali, come le società di ingegneria e costruzioni. Infatti, la capacità produttiva è ora limitata e l'aumento della domanda potrebbe portare ad ulteriori pressioni e un notevole potere di determinazione dei prezzi. A trarne beneficio sarebbero anche le imprese che noleggiano attrezzature a queste società di ingegneria e costruzione mentre l'aumento del transito tra i poli di produzione interna dovrebbe sostenere i servizi ferroviari.
FORTE IMPULSO AI SERVIZI DI AUTOMAZIONE
“Queste tendenze potrebbe poi fornire un forte impulso ai servizi di automazione e di reclutamento del personale. La diminuzione dell'immigrazione e l'impegno a orientarsi verso la produzione locale potrebbero irrigidire i mercati del lavoro, aumentando potenzialmente la domanda di competenze del personale e di sostituzione sotto forma di automazione, a causa dell'aumento dei salari” specifica Petrucelli.
UN POTENZIALE DOPPIO VANTAGGIO PER L’ORO
L’oro, infine, potrebbe trarre vantaggio sia come copertura dal rischio di un mondo più instabile, sia da un eventuale indebolimento dello status di riserva del dollaro USA. “A prescindere da come la deglobalizzazione si evolverà, riteniamo che essa rappresenterà probabilmente un driver di mercato fondamentale per il futuro” conclude il Portfolio Manager di Wellington Management.