Mercati e geopolitica
Xi Jinping ha chiuso la Cina in un vicolo cieco, ci vorrebbe un Deng Xiaoping per tirarla fuori
Dopo una crescita vertiginosa per trent’anni gli scambi con gli USA sono crollati e con il centralismo e la pianificazione l’economia non riparte. La lezione del comunista Deng Xiaoping che puntò sul capitalismo
di Stefano Caratelli 14 Agosto 2023 08:10
Spesso un grafico racconta più cose di migliaia di parole, come quello riportato qui sotto che disegna la parabola della Cina come partner commerciale degli USA dal 1987, l’anno in cui cominciano ad agire gli ‘spiriti animali’ liberati da Deng Xiaoping, asceso ai massimi vertici del grande paese cinque anni prima ma già saldamente al comando dal 1978. Aveva ereditato una nazione stremata dalla ‘rivoluzione culturale’ e praticamente irrilevante sulla scena economica globale. Deng non rinuncia al comunismo, perché rappresenta la continuità e la legittimazione del potere, ma ribalta il teorema in materia di economia e crescita: il capitalismo funziona meglio. E lancia la politica delle quattro grandi modernizzazioni: liberalizzazione economica, agricoltura, scienza e tecnologia, difesa.
Scambi commerciali degli Usa con il resto del mondo (aggiornati a giugno 2023)
Il risultato fu spettacolare, come mostra l’esplosione degli scambi con gli USA passati in trent’anni da quasi zero a oltre il 15% del totale globale, sorpassando tutti gli altri grandi partner commerciali, ma a beneficiarne furono i successori di Deng, da Hu Jintao a Jiang Zemin fino a Xi Jinping, come Angela Merkel vissuta per vent’anni di rendita sulle riforme di Gerhard Schroeder. Ma, soprattutto l’ultimo sembra aver dimenticato la lezione di Deng secondo cui il capitalismo funziona meglio. Come? Facendo girare i soldi. Quelli accumulati dai cinesi in trent’anni di boom delle esportazioni sono rimasti in gran parte sotto il materasso, o investiti in immobili, alimentando una colossale bolla, mentre i consumi, che in USA rappresentano il 70% del PIL, non sono mai arrivati al 40% e dopo il Covid la quota è scesa al 38%. L’economia capitalista crea ricchezza, ma poi bisogna spenderla, altrimenti la macchina si inceppa.
Una crescita tutta basata sulle esportazioni può essere un vantaggio anche per i partner commerciali, fino a che vuol dire prodotti a basso costo che non fanno imbarcare inflazione. Ma quando si passa a produzioni o materiali strategici vitali per lo sviluppo tecnologico il discorso diventa diverso e può provocare guerre dei dazi alla Trump o restrizioni ancora più rigide come quelle di Biden. Una via d’uscita può essere passare dalle ambizioni economiche a quelle geopolitiche, magari cercando sponde dall’Africa al Sudamerica. Ma non risolve il problema della crescita interna, destinata nei prossimi anni a galleggiare intorno al 4%, non male per gli standard dei Paesi sviluppati ma insufficiente a raggiungerli in termini di ricchezza diffusa, con il rischio di effetti boomerang. Come se ne esce? E’ chiaro che la Cina ha bisogno di una svolta, che può essere impressa dallo stesso Xi oppure con un drastico cambio della guardia, che anche nelle autocrazie è però complicato, soprattutto in un sistema articolato come quello cinese.
Ma anche con la svolta, la Cina avrebbe bisogno comunque di una sponda, che ovviamente non può essere Putin ma nemmeno l’armata Brancaleone dei Brics. L’Europa può essere una formidabile sponda economica, ma non offre le garanzie geopolitiche e militari necessarie. L’unico candidato restano come al solito gli USA, che non a caso nel 1978 furono la meta del primo viaggio importante della stella nascente Deng, che trovò in Jimmy Carter una sponda solida per arginare l’aggressività sovietica e per l’occasione non si fece mancare una visita alle fabbriche di Ford e Coca Cola, tanto per capire come faceva il capitalismo a funzionare meglio del comunismo in economia.
L’anno elettorale che sta per iniziare in America complica non poco le cose. La nebbia che circonda la corsa alla Casa Bianca potrebbe essere vista da Xi come l’opportunità per forzare la mano in qualche parte del mondo, a cominciare da Taiwan. Oppure per aprire nuovi fronti di competizione economica e tecnologica, magari estesa alla ‘space economy’ con le ovvie ricadute militari. Alla fine la chiave di tutto resta l’economia, il disastro lasciato da Mao e dalla ‘banda dei quattro’ con la rivoluzione culturale fu l’autostrada che consentì a Deng di importare il modello capitalistico sotto le insegne con la falce e il martello. Xi sta battendo la testa contro l’evidenza che la pianificazione e la centralizzazione non sono la ricetta per far ripartire la crescita. Con 7 anni meno di Trump e 10 di Biden avrebbe anche il tempo per ripensarci.
Per l’investitore che guarda un po’ oltre la chiusura giornaliera dei mercati i temi di riflessione non mancano. Tenendo anche presente, per dirla come Adam Smith o Jamie Dimon, che spesso le crisi rappresentano occasioni da non sprecare.
Scambi commerciali degli Usa con il resto del mondo (aggiornati a giugno 2023)
IL BOOM DELL’EXPORT E LA BOLLA IMMOBILIARE
Il risultato fu spettacolare, come mostra l’esplosione degli scambi con gli USA passati in trent’anni da quasi zero a oltre il 15% del totale globale, sorpassando tutti gli altri grandi partner commerciali, ma a beneficiarne furono i successori di Deng, da Hu Jintao a Jiang Zemin fino a Xi Jinping, come Angela Merkel vissuta per vent’anni di rendita sulle riforme di Gerhard Schroeder. Ma, soprattutto l’ultimo sembra aver dimenticato la lezione di Deng secondo cui il capitalismo funziona meglio. Come? Facendo girare i soldi. Quelli accumulati dai cinesi in trent’anni di boom delle esportazioni sono rimasti in gran parte sotto il materasso, o investiti in immobili, alimentando una colossale bolla, mentre i consumi, che in USA rappresentano il 70% del PIL, non sono mai arrivati al 40% e dopo il Covid la quota è scesa al 38%. L’economia capitalista crea ricchezza, ma poi bisogna spenderla, altrimenti la macchina si inceppa.
GUERRE COMMERCIALI E TENSIONI GEOPOLITICHE
Una crescita tutta basata sulle esportazioni può essere un vantaggio anche per i partner commerciali, fino a che vuol dire prodotti a basso costo che non fanno imbarcare inflazione. Ma quando si passa a produzioni o materiali strategici vitali per lo sviluppo tecnologico il discorso diventa diverso e può provocare guerre dei dazi alla Trump o restrizioni ancora più rigide come quelle di Biden. Una via d’uscita può essere passare dalle ambizioni economiche a quelle geopolitiche, magari cercando sponde dall’Africa al Sudamerica. Ma non risolve il problema della crescita interna, destinata nei prossimi anni a galleggiare intorno al 4%, non male per gli standard dei Paesi sviluppati ma insufficiente a raggiungerli in termini di ricchezza diffusa, con il rischio di effetti boomerang. Come se ne esce? E’ chiaro che la Cina ha bisogno di una svolta, che può essere impressa dallo stesso Xi oppure con un drastico cambio della guardia, che anche nelle autocrazie è però complicato, soprattutto in un sistema articolato come quello cinese.
SERVE COMUNQUE UNA SPONDA FORTE
Ma anche con la svolta, la Cina avrebbe bisogno comunque di una sponda, che ovviamente non può essere Putin ma nemmeno l’armata Brancaleone dei Brics. L’Europa può essere una formidabile sponda economica, ma non offre le garanzie geopolitiche e militari necessarie. L’unico candidato restano come al solito gli USA, che non a caso nel 1978 furono la meta del primo viaggio importante della stella nascente Deng, che trovò in Jimmy Carter una sponda solida per arginare l’aggressività sovietica e per l’occasione non si fece mancare una visita alle fabbriche di Ford e Coca Cola, tanto per capire come faceva il capitalismo a funzionare meglio del comunismo in economia.
LA NEBBIA CIRCONDA LE ELEZIONI USA
L’anno elettorale che sta per iniziare in America complica non poco le cose. La nebbia che circonda la corsa alla Casa Bianca potrebbe essere vista da Xi come l’opportunità per forzare la mano in qualche parte del mondo, a cominciare da Taiwan. Oppure per aprire nuovi fronti di competizione economica e tecnologica, magari estesa alla ‘space economy’ con le ovvie ricadute militari. Alla fine la chiave di tutto resta l’economia, il disastro lasciato da Mao e dalla ‘banda dei quattro’ con la rivoluzione culturale fu l’autostrada che consentì a Deng di importare il modello capitalistico sotto le insegne con la falce e il martello. Xi sta battendo la testa contro l’evidenza che la pianificazione e la centralizzazione non sono la ricetta per far ripartire la crescita. Con 7 anni meno di Trump e 10 di Biden avrebbe anche il tempo per ripensarci.
BOTTOM LINE
Per l’investitore che guarda un po’ oltre la chiusura giornaliera dei mercati i temi di riflessione non mancano. Tenendo anche presente, per dirla come Adam Smith o Jamie Dimon, che spesso le crisi rappresentano occasioni da non sprecare.
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